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Il segno di Zorro

Gino Cervi

Zvonimir Boban e il caos rossonero dell'epoca Elliott

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Nel giugno 2019 Zvonimir Boban è tornato al Milan, la squadra con la quale da giocatore, in nove stagioni di militanza (1992-2001) aveva vinto 4 scudetti, una Champions League, 3 Supercoppe italiane e una Supercoppa Uefa. Solito club, nuovo ruolo: dirigente. A chi, ben sapendo che l’ultracentenaria A.C. Milan negli ultimi anni era passata dalle mani del tycoon delle televisioni italiane a quelle del più grande fondo d’investimento internazionale – per tramite, a dirla tutta, di un fantomatico imprenditore proprietario della più grande miniera di fosforo della Cina –, gli chiedeva in un’intervista poco prima dell’inizio del campionato come si sarebbe potuto evitare che il calcio contemporaneo, tutto fosforescente di show-business e finanza, uccidesse quello che c’è di sentimentale, di immateriale e, soprattutto, di non contabilizzabile intorno al tifo e alla passione per una squadra di calcio, Zvonimir Boban aveva risposto così: “Tutti noi siamo un po’ romantici e ci sentiamo legati agli anni della nostra giovinezza e a quei momenti che in cui abbiamo per la prima volta incontrato il mondo del calcio. È una cosa naturale. Ma anche a quei tempi giravano molti soldi e i giocatori erano superpagati, erano stelle assolute. Ovvio, in un mondo dove imperversa il Dio denaro, in un mondo dove il giornalismo è molto poco giornalismo e i valori da testimoniare sembrano sempre di meno, dove il gioco è l’ultima cosa su cui ci si sofferma a discutere, dove i dirigenti, ossessionati da se stessi, sono diventati più importanti dei giocatori… a noi che siamo un 'po’ più grandi' tutto sembra meno vero e meno bello. Ed e cosi anche per me. Ma le nuove generazioni amano i loro club, amano il calcio, amano questo mondo che continuano a vedere come qualcosa di magico e di irraggiungibile. Noi pensiamo a noi stessi e alle nostre storie e spesso ci scordiamo che loro vivono le loro storie con le stesse passioni e dolori, con gli stessi colori. Per parafrasare Tucidide, cambiano la materia, cambiano i numeri, cambiano le forme, ma l’indole umana rimane la stessa”.

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Nel giugno 2019 Zvonimir Boban è tornato al Milan, la squadra con la quale da giocatore, in nove stagioni di militanza (1992-2001) aveva vinto 4 scudetti, una Champions League, 3 Supercoppe italiane e una Supercoppa Uefa. Solito club, nuovo ruolo: dirigente. A chi, ben sapendo che l’ultracentenaria A.C. Milan negli ultimi anni era passata dalle mani del tycoon delle televisioni italiane a quelle del più grande fondo d’investimento internazionale – per tramite, a dirla tutta, di un fantomatico imprenditore proprietario della più grande miniera di fosforo della Cina –, gli chiedeva in un’intervista poco prima dell’inizio del campionato come si sarebbe potuto evitare che il calcio contemporaneo, tutto fosforescente di show-business e finanza, uccidesse quello che c’è di sentimentale, di immateriale e, soprattutto, di non contabilizzabile intorno al tifo e alla passione per una squadra di calcio, Zvonimir Boban aveva risposto così: “Tutti noi siamo un po’ romantici e ci sentiamo legati agli anni della nostra giovinezza e a quei momenti che in cui abbiamo per la prima volta incontrato il mondo del calcio. È una cosa naturale. Ma anche a quei tempi giravano molti soldi e i giocatori erano superpagati, erano stelle assolute. Ovvio, in un mondo dove imperversa il Dio denaro, in un mondo dove il giornalismo è molto poco giornalismo e i valori da testimoniare sembrano sempre di meno, dove il gioco è l’ultima cosa su cui ci si sofferma a discutere, dove i dirigenti, ossessionati da se stessi, sono diventati più importanti dei giocatori… a noi che siamo un 'po’ più grandi' tutto sembra meno vero e meno bello. Ed e cosi anche per me. Ma le nuove generazioni amano i loro club, amano il calcio, amano questo mondo che continuano a vedere come qualcosa di magico e di irraggiungibile. Noi pensiamo a noi stessi e alle nostre storie e spesso ci scordiamo che loro vivono le loro storie con le stesse passioni e dolori, con gli stessi colori. Per parafrasare Tucidide, cambiano la materia, cambiano i numeri, cambiano le forme, ma l’indole umana rimane la stessa”.

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Il 13 maggio 1990, sul prato dello stadio Maksimir, prima dell’inizio di una partita, Dinamo Zagabria-Stella Rossa che non si giocò mai, Zvone ha poco più di vent’anni ed è il giovane capitano della storia della Dinamo. Tra le opposte tifoserie c’è un clima di guerra annunciata. Quasi tutti i giocatori riparano negli spogliatoi. Tutti tranne Boban. Quando i manganelli e gas lacrimogeni delle forze dell’ordine sembrano rivolgersi solo contro la tifoseria croata, Zvone non ci sta. Si slancia contro un poliziotto urlando: “Vergognatevi, li state massacrando!”. Aggrediscono anche lui. Per difendersi sferra una ginocchiata che spacca la mascella a un agente di polizia. Arrestato e processato per aggressione, viene scagionato dalle immagini che testimoniano che si è legittimamente difeso e che, diffuse in tutto il mondo, diventano il simbolo della catastrofe che si abbatterà di lì a poco sulla Jugoslavia: la guerra civile.

 

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Quasi trent’anni dopo, il 29 febbraio di un bisesto 2020, Zvonimir Boban, per brevità chiamato Zorro, ha lasciato il suo inconfondibile segno sulla pancia del sergente Gazidis. Al confronto col dramma balcanico, per nostra fortuna, l’incancrenita crisi societaria del Milan è solo una variante di repertorio di quel decrepito Circo Barnum che diventato il calcio nazionale e quel che gli ruota intorno alzando polvere e altri virus (vedi anche l’assai poco appassionante sketch Mirabelli-Maldini). Ma Zvone resta di un’altra categoria e per lui possiamo tranquillamente continuare a parafrasare Tucidide: cambia la materia – non più il rettangolo verde ma le sale riunioni –, cambiano i numeri – da quelli sulla schiena, l’8, il 20 o il 10 dell’anno dello scudetto del 1999, a quelli del Fair Play Finanziario –, cambiano le forme – non più maglia, calzoncini, calzettoni e scarpette ma giacca e cravatta – ma l’indole umana rimane la stessa. Quella che dà più ascolto al cuore delle cose che alla loro convenienza.

   


  

L’intervista che Zvonimir Boban ha rilasciato nell’agosto del 2019 la si può leggere integralmente come postfazione al libro di Michele Ansani, Gino Cervi, Gianni Sacco e Claudio Sanfilippo, 1899. AC Milan: le storie, pubblicato da Hoepli.

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