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Al Genoa Prandelli prova a esorcizzare la maledizione brasiliana

Leo Lombardi

Il tecnico ritrova un panchina italiana dopo il fallimento Mondiale nel 2018. Ci sono voluti otto anni per rivederlo, grazie a Enrico Preziosi e al terzo allenatore stagionale sulla panchina dei rossoblu

Eravamo rimasti al 24 giugno 2014, a una rocambolesca eliminazione dal Mondiale al primo turno. Il caldo infernale di Natal, l'Italia che affronta l'Uruguay in una partita in cui ha comunque a disposizione due risultati su tre per andare avanti, dopo l'inaspettato tonfo con la Costa Rica. Ovviamente esce il terzo, quello non desiderato. Una sconfitta a opera di Diego Godin, ancora una volta pronto a colpire di testa, come quell'anno aveva già fatto contro il Barcellona, nel match che avrebbe consegnato una storica Liga all'Atletico Madrid, e contro il Real Madrid, in una finale di Champions League sfuggita di mano ai supplementari, dopo essere stati raggiunti nel recupero da una capocciata di Sergio Ramos. Una partita polemica per le decisioni dell'arbitro Marco Rodriguez, che prima espelle Claudio Marchisio con un rosso almeno frettoloso e poi è l'unico a non accorgersi di un morso di Luis Suarez a Claudio Chiellini che avrebbe potuto lasciare i sudamericani in dieci.

 

In quel pomeriggio finisce la gestione di Cesare Prandelli, che si dimette dopo la sconfitta. Avrebbe potuto restare, forte di un contratto rinnovato poco tempo prima di volare in Brasile, preferisce lasciare, facendo proprio il gesto del presidente Giancarlo Abete e del suo vice Demetrio Albertini. Un addio spontaneo e naturale, conseguenza del fallimento sportivo. Quello cui non avremmo assistito all'eliminazione nelle qualificazioni mondiali, per mano della Svezia, dell'Italia gestita dalla coppia Tavecchio-Ventura. Quel 24 giugno 2010 è stata l'ultima volta di Cesare Prandelli su una panchina italiana, ci sono voluti otto anni per rivederlo, grazie a Enrico Preziosi e al terzo allenatore stagionale sulla panchina del Genoa (dopo Davide Ballardini e Ivan Juric) nel giro di appena 14 giornate di campionato.

  

Da quell'avventura mondiale Prandelli non ne aveva azzeccata più una, sbeffeggiato da una critica che aveva dimenticato in fretta la finale europea di due anni prima persa contro la Spagna, punto più alto mai raggiunto dall'Italia dal titolo mondiale del 2006 a oggi. Chi lo aveva elogiato quando era sull'altare, era stato pronto a rinfacciargli di tutto una volta caduto nella polvere: le pressioni per il rinnovare il contratto prima di partire per il Mondiale, l'aver chiamato il figlio Niccolò nello staff azzurro, una venatura moralista per il Codice etico varato in nazionale, perfino la nuova vicenda affettiva, dopo la morte della moglie Manuela, e l'amicizia con il premier Matteo Renzi, gran tifoso della Fiorentina che fu di Prandelli. In realtà l'unica vera colpa dell'allenatore era stata tecnica, ovvero l'aver affidato le fortune dell'Italia alle bizze di Mario Balotelli, costruendo la squadra su di lui e sul suo presunto talento: all'Europeo in Polonia e Ucraina gli era andata bene, in Brasile era stato il disastro, vista l'impossibilità di gestire l'indolenza del centravanti, fino alla sostituzione per disperazione all'intervallo della partita con l'Uruguay.

 

Una maledizione brasiliana che si sarebbe allungata su Prandelli, facendogli sbagliare tutte le scelte successive, a cominciare da un ritorno troppo repentino quando, due settimane dopo le dimissioni dall'Italia, accetta la ricca proposta del Galatasaray. Un'avventura già terminata a novembre, con l'esonero per l'eliminazione dalla Champions. Come nuove dimissioni sarebbero arrivate in fretta a Valencia nel dicembre 2016 e come una nuova cacciata sarebbe giunta in meno di un anno nell'insolita avventura negli Emirati Arabi con l'Al Nasr. In questi ultimi tempi Prandelli sembrava essere diventato incapace a tutto, il pallido ricordo dell'eccellente gregario che vinceva sul campo nella Juventus di Giovanni Trapattoni, come del tecnico capace di generare talenti e conquistare titoli nel vivaio dell'Atalanta, prima di diventare apprezzato allenatore. Quello che avrebbe lasciato il segno soprattutto alla Fiorentina, in un quinquennio d'oro dal 2005 al 2010 da aspirante grande, brava a qualificarsi per tre volte alla Champions League (una cancellata da Calciopoli) e a raggiungere una semifinale di Coppa Uefa nel 2007-08, perdendo ai rigori con i Rangers. Negli anni in viola Prandelli aveva affinato l'idea di un calcio bello, da coniugare ad atteggiamenti positivi sul campo: lo avevano applaudito per il primo e alquanto sopportato sui secondi (come l'idea di emulare il terzo tempo del rugby). A Genova gli chiedono innanzitutto la salvezza, speriamo gli diano anche il tempo per tornare il Prandelli che conoscevamo. E apprezzavamo.

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