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Perché il Milan non poteva non vendere Bonucci

Giovanni Battistuzzi

Il ritorno dell'ex capitano rossonero alla Juventus e la necessaria damnatio memoriae nei confronti dell'acquisto simbolo della fallimentare proprietà cinese

Non per il bilancio e neppure per scelta tecnica, non per opportunità e neppure per tattica. O almeno non solo per questo. Leonardo Bonucci che lascia il Milan per ritornare alla Juventus, lì da dove era partito neppure dodici mesi fa, lo ha fatto per necessità, per forza di cose, perché così doveva andare. Certo ci sono le ragioni dei bianconeri, che l'ormai ex capitano del Milano lo hanno cercato e voluto, questo non è in discussione, perché un difensore così forte ed esperto, capace di impostare il gioco e di marcare, non può fare che comodo anche ai campioni d'Italia. Ma ci sono anche le ragioni dei rossoneri e sono ragioni ancor più evidenti, che con il campo di gioco centrano poco. Anche se chi è arrivato, Mattia Caldara, è difensore altrettanto abile, con meno anni e minori esigenze di contratto. Bonucci andava venduto, punto. Anche se avrebbe fatto comodo, anche se non fosse arrivato da Torino il suo sostituto. E andava venduto perché dopo ogni rivoluzione andata male, e quella cinese del Milan male lo è andata almeno nella percezione dei tifosi che troppo avevano immaginato e troppo avevano sperato dopo i 191 milioni di euro investiti nello scorso calciomercato estivo, serve una reazione. Perché dopo ogni caduta di un impero, le immagini di quello che è stato vengono sostituite dalle immagini di quello che è e che sarà. Così la fine di quello coi piedi di balsa di Yonghong Li – l'ex presidente del Milan che ha dovuto cedere alla Elliott Management Corporation la proprietà della società per non essere riuscito, dopo averla acquistata da Fininvest, a saldare il prestito contratto con il fondo –, andava cancellato dal ricordo e la migliore damnatio memoriae era quella di cedere il "colpaccio" estivo, eliminare il simbolo dell'insuccesso del duo Fassone-Mirabelli. Per questo la società rossonera entrata nell'èra americana, in quella di Leonardo e Scaroni, sotto il vessillo di Elliott, aveva bisogno di un segno di discontinuità con il recente passato.

  

 

Bonucci era il candidato perfetto per estirpare dodici mesi di prestazioni altalenanti, di speranze finite male, di vittorie a singhiozzo e alcune sconfitte un po' troppo d'effetto. Perché il difensore era arrivato con la fama di quello con la "mentalità vincente", a dirla con Fassone, con il piglio di quello che doveva sistemare il mondo milanista e con tanto di fascia di capitano e numero 19 "gentilmente" ceduto da Franck Kessié.

  

Anche perché da quel 21 luglio 2017, da quando Bonucci è entrato a Milanello, il mercato del Milan si è trasformato da sostanza a copertina, ha smesso di seguire un filo logico, quello tracciato con mestiere nei primi mesi dal duo che doveva guidare la rinascita rossonera, si è messo a inseguire il non necessario, ha ignorato l'essenziale. Quei 42 milioni di euro hanno segnato la conclusione della ricerca di una prima punta capace di guidare l'attacco, hanno imposto una virata che ha portato a Nikola Kalinić. Poteva andare bene, il croato è giocatore prezioso, capace di sacrificarsi, di fare come pochi il lavoro sporco. Ma sporco lavoro è pure quello del goleador e ai rossoneri questo è mancato.

  

E' mancato a tal punto che la nuova dirigenza ha immediatamente capito che per quanto si può giocare bene uno davanti che butti la palla in rete serve, che forse è pure essenziale, anche se si ha Patrick Cutrone in rosa, uno forte e che i gol li sa fare. Ma anche uno che ha il futuro davanti e ancora diverse cose da imparare. E così è arrivato Gonzalo Higuain, che la maglia bianconera l'ha vestita sino a quest'estate, ma un po' meno di cuore di come l'aveva vissuta Bonucci. Soprattutto, Higuain in Italia gioca da cinque anni e nell'ultimo lustro ha segnato 146 volte. L'argentino a 31 anni può garantire almeno un paio di buone stagioni e dopo queste lasciare il ruolo di centravanti al ragazzino delle giovanili.

 


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E a maggior ragione, per tutto questo, Bonucci andava immolato, spinto via, anche perché lui stesso, pare, non era poi così convinto di rimanere, di rischiare con l'America come aveva fatto con la Cina. Molto meglio ritornare sui propri passi, rivestire il bianconero, guardare ancora gli spalti dell'Allianz Arena e consigliare ai tifosi rivali di sciacquarsi la bocca.

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