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Perché la modifica di aliquote e detrazioni Irpef genera liti

Lorenzo Borga

La legge delega non ha tra i suoi obiettivi accentuare la progressività del sistema fiscale. La difficoltà di tagliare le tasse al ceto medio-basso

In Italia si litiga sulle tasse. Per di più quando bisogna decidere chi potrà pagarne meno. Lo ha dimostrato, se ce ne fosse bisogno, il dibattito seguito alla proposta di modifica avanzata dal governo per le aliquote e le detrazioni dell’Irpef, l’imposta a carico principalmente di dipendenti e pensionati. Una discussione andata in cortocircuito: da una parte infatti, sindacati in testa, si sono alzate critiche perché si sarebbero favoriti eccessivamente i benestanti a discapito dei più poveri, mentre dall’altra parte alcuni liberali hanno criticato la misura perché sfavorirebbe il ceto borghese produttivo. L’unica certezza è che nessuno andrà a perderci, coerentemente con tutte le scelte recenti: la politica italiana, ancora una volta, appare spaventata dall’ipotesi di far pagare qualcosa in più a qualcuno, anche in nome di una maggiore efficienza ed equità. Il dietrofront sul catasto sta lì a dimostrarlo.

Perché i partiti litigano sulla riforma dell'Irpef    

La schizofrenia del dibattito è figlia anche dell’incertezza che ancora aleggia sulla manovra. Dapprima il governo aveva annunciato esclusivamente la rimodulazione delle aliquote – da 5 a 4 con un taglio per i redditi tra i 28mila e i 50mila euro. Attraverso semplici simulazioni a detrazioni invariate (in realtà in via di modifica, come vedremo) era facile accorgersi dell’impianto regressivo delle novità: il risparmio maggiore – sia in valore assoluto che in termini percentuali – ricadeva sui contribuenti che dichiarano tra i 40 e i 50mila euro annui, mentre sui redditi inferiori i tagli si riducevano fino a scomparire sotto i 28mila. Ma questi conti si basavano sull’ipotesi che le detrazioni non sarebbero cambiate, al contrario di quanto annunciato dalla maggioranza di governo. Il Consiglio dei ministri di fine settimana ha fatto chiarezza: la detrazione per lavoratori dipendenti verrà aumentata fino a più di 3mila euro annui dai circa 1800 di oggi, anche per inglobare l’ex bonus 80 euro, come dovrebbe essere ritoccata al rialzo la detrazione per i pensionati. In questo modo i risparmi sono stati redistribuiti e la regressività si è attenuata. D’altronde per dichiarare progressiva o regressiva una modifica del sistema fiscale va tenuto conto di cosa accade a tutti i contribuenti, e non solo al singolo. Secondo calcoli del ministero dell’Economia, dei 7 miliardi stanziati l’85 per cento andrebbe a contribuenti che dichiarano meno di 50mila euro all’anno, e circa la metà a chi guadagna meno di 28mila euro lordi. È chiaro: benché i risparmi per i singoli contribuenti meno benestanti siano più bassi rispetto a quelli di chi guadagna di più, i primi sono molto più numerosi dei secondi. Secondo i dati del Mef infatti 8 contribuenti su 10 dichiarano meno di 28mila euro.

Tagliare le imposte al ceto medio-basso è un'impresa ardua    

Il dibattito, per evitare altri cortocircuiti, dovrebbe prendere in considerazione due fatti. Il primo: la legge delega di cui questa modifica è il primo passo non ha tra i suoi obiettivi accentuare la progressività del sistema fiscale, bensì semplificarlo e incentivare l’offerta di lavoro. Secondo: tagliare le imposte in modo significativo al ceto medio-basso è un’impresa ardua dal momento che gran parte di esso paga già una ridottissima fetta dell’Irpef. Secondo l’analisi di Itinerari Previdenziali il gettito totale di 172,56 miliardi di euro è pagato per quasi l’80 per cento da un quinto dei contribuenti, quelli più “ricchi” che guadagnano almeno 29mila euro annui. Al restante contribuisce la stragrande maggioranza degli italiani, che riesce però a pagare solo il 20 per cento del gettito.

    

Peraltro gli interventi dell’ultimo decennio sono andati tutti a tutelare – in modo più o meno efficace – le fasce meno benestanti. Prima, con il bonus Irpef di 80 euro, poi saliti a 100, che inizialmente era riservato a chi guadagnava meno di 26mila euro. Poi con il reddito di cittadinanza, destinato ad arrotondare il reddito di famiglie povere, incapienti e working poors.

   

È vero che il sistema fiscale italiano è contraddistinto da una bassa progressività, per giunta in calo negli ultimi anni. Ma non sono gli interventi su aliquote e detrazioni che possono rinvigorirla. Per riuscirci va invece domata la chimera di tutti gli ultimi governi: il taglio delle numerose aliquote sostitutive flat che man mano hanno finito per ridurre l’Irpef a un’imposta per lavoratori dipendenti e pensionati. La maggior parte degli esecutivi ha predicato bene e razzolato male, dal momento che le tasse flat settoriali continuano a proliferare. Questo sarà il vero campo di battaglia per chi vuole cambiare il fisco italiano, per evitare che - come oggi - riesca a ridurre meno le disuguaglianze rispetto a quanto accade in Francia e in Germania. Non ci possiamo attendere certo che basti un taglio delle aliquote per riuscirci.

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