PUBBLICITÁ

Soundcheck

L'Ue si può fidare del governo italiano sul Recovery plan?

Nonostante lo slanciato entusiasmo dell'esecutivo, sono stati numerosi i critici che dopo aver letto la prima bozza ufficiale hanno attaccato il piano nazionale di ripresa e resilienza

Lorenzo Borga

Il debito comune europeo, di cui il Next Generation Eu è un primo passo, può sembrare solo una montagna di soldi da spendere. Ma in realtà è il frutto di un rapporto di fiducia tra chi ci mette i soldi (in questo caso soprattutto Germania, Francia e Paesi Bassi) e chi li riceve

PUBBLICITÁ

L’(ex?) governo si è sempre dichiarato soddisfatto del lavoro fatto sul Recovery plan italiano, che – stando alle richieste europee – in realtà è ben lontano dall’essere terminato.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


L’(ex?) governo si è sempre dichiarato soddisfatto del lavoro fatto sul Recovery plan italiano, che – stando alle richieste europee – in realtà è ben lontano dall’essere terminato.

PUBBLICITÁ

  

Dopo diverse settimane in cui il piano è stato modificato bozza dopo bozza, il presidente del Consiglio ne ha rivendicato la chiarezza e il coraggio nell’introduzione del documento inviato al Parlamento: "Il piano ha una strategia chiara […] e un orizzonte di lungo periodo". Anche il ministro dell’economia Roberto Gualtieri ha espresso grande soddisfazione su Twitter: è "il più grande piano di investimenti mai visto in Italia" ed "è stato un gran lavoro".

 

PUBBLICITÁ

Ma nonostante lo slanciato entusiasmo, sono stati numerosi i critici che – dopo aver letto la prima bozza ufficiale – hanno attaccato il governo. La voce più forte, come spesso è capitato nell’ultimo anno, è stata quella di Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, che ha criticato il Pnrr nell’audizione degli industriali al Parlamento perché il testo "rimane ancora lontano dal livello di dettaglio richiesto dalla Commissione europea". Una critica a cui ha risposto il ministro Patuanelli, replicando che invece all'interno del piano nazionale di ripresa e resilienza sarebbero dettagliati tutti gli step.

     

In effetti, è difficile dare torto a Confindustria questa volta. L’Unione europea ha pubblicato il regolamento definitivo sulla Recovery and Resilience Facility, il piatto forte del Next Generation Eu (quello che in Italia chiamiamo gergalmente “Recovery Fund”). Le nuove regole sono state concordate a livello politico il 18 dicembre 2020, quando Parlamento e Consiglio europeo hanno trovato un accordo sotto la regia di Irene Tinagli. E saranno rigorose. Una volta che il piano nazionale verrà consegnato alla Commissione, a Bruxelles avranno due mesi di tempo per analizzarlo e giudicarlo. Sarà un punteggio a determinare se si supererà il vaglio. Il rating sarà basato sui criteri di rilevanza, efficacia, efficienza e coerenza. E dopo l’eventuale approvazione della Commissione, toccherà al Consiglio europeo (probabilmente all’Ecofin, la riunione dei ministri dell’economia) dare il via libera a ogni piano nazionale.

  

Cosa Bruxelles si attende dai recovery plan è spiegato in un altro documento, anche questo aggiornato da pochi giorni. Si tratta delle linee guida ai paesi membri per la scrittura dei piani nazionali. Il testo specifica che ogni progetto e riforma di cui gli stati vogliano richiedere il finanziamento attraverso il Next Generation Eu devono essere corredati da step di avanzamento e obiettivi finali. La Commissione li chiama target e milestone: i primi sono quantitativi (per esempio, il numero di chilometri di ferrovia costruiti), i secondi qualitativi (sulle riforme, per esempio, l’adozione dei decreti attuativi). Nell’ultima versione delle linee guida viene invece precisato che non saranno necessari “indicatori d’impatto”: non servirà quindi indicare l’aumento occupazionale o di valore aggiunto che ci si attende – per esempio – dalla costruzione di una nuova autostrada, come invece era stato ipotizzato, secondo una certa interpretazione delle prime guidance, da alcuni economisti italiani. Da Bruxelles specificano che target e milestone devono essere "chiari e realistici". E proprio questo è un tasto dolente per il piano italiano: l’unica versione ufficiale che conosciamo infatti non contiene, sostanzialmente, gli obiettivi di percorso così richiesti dall’Unione europea. Il testo infatti è per ora soltanto un’enunciazione dei progetti di spesa che il governo intende mettere in piedi entro il 2026, accompagnata dagli stanziamenti necessari. Ma è privo del cronoprogramma e dei target misurabili richiesti dall’Ue. A oggi quindi è probabile che non passerebbe il vaglio della Commissione, come denuncia Confindustria. Va detto che la bozza del piano risalente al 29 dicembre 2020 e trapelata alla stampa conteneva questi elementi: per ogni programma di spesa erano definite percentuali di avanzamento dei progetti corredati da una tempistica. Ma quel documento era appunto non ufficiale, e per giunta non risulta più aggiornato rispetto alla nuova allocazione dei fondi.

PUBBLICITÁ

    

PUBBLICITÁ

La serietà con cui verranno redatti gli obiettivi di percorso sarà fondamentale non solo per l’approvazione del Recovery plan, ma anche per ricevere effettivamente i rimborsi. Il regolamento europeo chiarisce anche questo aspetto (articolo 19a): solo il 13 per cento dei fondi, il cosiddetto pre-finanziamento, verrà erogato indipendentemente da target e milestone. Per il restante lo stato italiano dovrà anticipare i soldi per far partire i progetti, e due volte all’anno potrà richiedere il rimborso all’Ue, che valuterà caso per caso l’avanzamento dei lavori rispetto alla roadmap concordata nel Recovery plan. E se troverà ritardi o variazioni rispetto al percorso concordato potrà sospendere per sei mesi l’erogazione dei fondi. Una volta trascorso il semestre, se lo stato non avrà recuperato il ritardo, i fondi saranno ridotti proporzionalmente e in modo definitivo. Se addirittura si arrivasse allo scontro totale con Bruxelles, l’Europa potrebbe anche richiedere indietro il pre-finanziamento del 13 per cento.

      

PUBBLICITÁ

I documenti europei stanno lì a dirci che non si scherza con il fuoco. Il debito comune europeo, di cui il Next Generation Eu è un primo passo, può all’apparenza sembrare solo una montagna di soldi da spendere. Ma in realtà è il frutto di un rapporto di fiducia tra chi ci mette i soldi (in questo caso soprattutto Germania, Francia e Paesi Bassi) e chi li riceve. E il governo guidato da Giuseppe Conte per ora nei documenti ufficiali non ha ancora fornito prove sufficienti perché ci si possa effettivamente fidare dell’Italia.

   

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ