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L’Inghilterra si vaccina, l’Europa non ancora. Ma non è per la Brexit

Lorenzo Borga

Londra, tuttora sotto la competenza dell’Ema, ha scelto di attivare l’autorizzazione d’emergenza nazionale. Più cauti gli altri paesi Ue

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La corsa ai vaccini è ormai iniziata. E non solo quella per le dosi, inaugurata dalla 91enne Margaret Keenan, la prima donna a ricevere il vaccino Pfizer-BioNTech all’University Hospital di Coventry, nelle West Midlands, nel centro dell’Inghilterra. Ma anche quella delle bufale. E a inaugurarla in questo caso non poteva che essere il nostro Matteo Salvini, sbeffeggiato giusto qualche settimana fa dall’inglese Independent che lo aveva definito “Trump’s Italian cheerleader”. Salvini infatti ha gongolato quando gli inglesi hanno approvato l’uso del vaccino Pfizer il 2 dicembre, primo paese occidentale a farlo: “Sul fronte vaccini l’Europa non fa una bella figura: la Gran Bretagna sta già vaccinando, e se la grande Europa arriva dopo un paese che non è più in Europa allora qualcosa non va” e ha continuato: “Pareva che uscire dall’Unione europea fosse una disdetta per i britannici, ma sul fronte sanitario non è così”. In realtà Salvini è in buona compagnia. Il ministro britannico della Salute, Matt Hancock, si è vantato di un “successo inglese” reso possibile dal fatto che “noi abbiamo potuto accelerare grazie alla Brexit”.

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La corsa ai vaccini è ormai iniziata. E non solo quella per le dosi, inaugurata dalla 91enne Margaret Keenan, la prima donna a ricevere il vaccino Pfizer-BioNTech all’University Hospital di Coventry, nelle West Midlands, nel centro dell’Inghilterra. Ma anche quella delle bufale. E a inaugurarla in questo caso non poteva che essere il nostro Matteo Salvini, sbeffeggiato giusto qualche settimana fa dall’inglese Independent che lo aveva definito “Trump’s Italian cheerleader”. Salvini infatti ha gongolato quando gli inglesi hanno approvato l’uso del vaccino Pfizer il 2 dicembre, primo paese occidentale a farlo: “Sul fronte vaccini l’Europa non fa una bella figura: la Gran Bretagna sta già vaccinando, e se la grande Europa arriva dopo un paese che non è più in Europa allora qualcosa non va” e ha continuato: “Pareva che uscire dall’Unione europea fosse una disdetta per i britannici, ma sul fronte sanitario non è così”. In realtà Salvini è in buona compagnia. Il ministro britannico della Salute, Matt Hancock, si è vantato di un “successo inglese” reso possibile dal fatto che “noi abbiamo potuto accelerare grazie alla Brexit”.

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In realtà si tratta di un’affermazione falsa. Il Regno Unito fino a fine dicembre risulta essere sempre un paese membro dell’Unione europea, seppur in periodo di transizione verso l’uscita: la Brexit, su cui ora affannosamente si cerca un accordo, non è infatti ancora operativa. Ciò significa dunque che la Mhra, l’agenzia del farmaco britannica, si è attenuta alle regole europee per dare il via libera alla distribuzione del vaccino. Infatti il paese – fino a che la Brexit non sarà completata – ricade sotto la competenza dell’Ema, l’agenzia europea del farmaco, che ha il ruolo di dare il via libera alla commercializzazione dei vaccini e dei farmaci nell’Unione europea. Non a caso nel comunicato con cui l’agenzia inglese ha dato temporaneamente il via libera al vaccino è citato per sei volte il regolamento europeo sui medicinali, l’Eu Gmp.

  

Ciò che hanno fatto gli inglesi sarebbe nelle possibilità anche di tutti gli altri 27 paesi: bypassare gli esperti europei e attivare l’autorizzazione d’emergenza nazionale. Insomma, la Brexit non c’entra nulla, checché ne dicano il governo inglese e Matteo Salvini. C’entra invece la legittima scelta delle autorità inglesi di approfondire con meno attenzione i dati forniti dalle case farmaceutiche, con una scelta meno prudente rispetto alle autorità americane ed europee. L’unico altro paese dell’Ue che sembra voler seguire le sue tracce è – guarda caso – l’Ungheria, che sta ragionando sull’autorizzazione di emergenza del vaccino russo Sputnik 5.

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Le procedure per le autorizzazioni di medicinali nell’Unione europea sono infatti due. Le aziende possono rivolgersi all’Ema, che assieme alla Commissione europea rilascia un’autorizzazione all’immissione in commercio valida in tutti gli stati membri. Oppure può rivolgersi singolarmente alle agenzie del farmaco nazionali, come ha fatto anche Pfizer che ha comunicato all’autorità inglese i dati sulla fase tre della sperimentazione – quella che ne valuta l’efficacia contro il virus – da ottobre a dicembre.

    
Il “capitano” Matteo Salvini ha avuto da ridire contro l’Unione europea anche su un altro fronte della corsa al vaccino. Ha criticato la scelta dell’Agenzia del farmaco europea e i suoi tempi, chiedendosi il motivo per cui si attenderà fino al 29 dicembre per fare una riunione d’urgenza. Insomma, tutto fa brodo per criticare Bruxelles e la sua burocrazia. Che certo non è senza colpe, ma in questo caso la critica non è fondata. D’altronde basta controllare le tempistiche dell’agenzia gemella americana. La Food and Drug Administration (Fda) ha ricevuto la richiesta di autorizzazione da Pfizer-BioNTech il 20 novembre, e ne ha autorizzato l’uso in emergenza sabato 12 dicembre: 22 giorni dopo. Per quanto riguarda l’Europa invece l’Ema ha ricevuto la richiesta e la documentazione il 1° dicembre e ha dichiarato di decidere sull’autorizzazione entro il 29 dicembre. Se si prenderà tutto il tempo, potrebbe impiegarci 28 giorni, una settimana in più rispetto all’agenzia americana. Stiamo davvero discutendo di un “ritardo” di sette giorni, quando solitamente per autorizzare un vaccino le agenzie internazionali si prendono anche degli anni? O forse il punto è che Matteo Salvini si è affezionato a quell’epiteto di “cheerleader” di Donald Trump, che – secondo quanto i media americani hanno scritto – avrebbe minacciato di licenziamento il direttore della Fda se non avesse approvato il vaccino Pfizer-BioNTech entro venerdì?
 

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