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Il mantra degli investimenti pubblici da fare, ma che poi non si fanno

Lorenzo Borga

Dal 2009 al 2018 il loro valore è calato di 13 miliardi. E per raggiungere i risultati che il governo s’è posto per il 2020 servirebbe un miracolo

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"Bisogna fare investimenti pubblici”. E’ il mantra che ha incantato la politica italiana per anni. Perfino i più liberisti, pur convinti della necessità di ridurre il perimetro dello stato, ritengono che uno dei compiti della Pubblica amministrazione sia mettere a terra gli investimenti. Per di più con i fondi del Recovery fund alle porte la voglia di investire soldi pubblici sul territorio è aumentata ancor di più. Ma come stanno le cose? La politica italiana, oltre che a parole, è riuscita ad aumentare davvero gli investimenti pubblici?
Fino a ora, no. L’Italia è storicamente indietro da questo punto di vista. Tra il 2009 e il 2018 il valore degli investimenti pubblici è calato di 13 miliardi di euro, dal 3,6 per cento rispetto al pil al 2,1. Per farci un’idea, la Francia investe il 3,5 per cento del suo pil, il Regno Unito il 2,7 e pure i rigoristi tedeschi – a cui rinfacciavamo prima della pandemia di non spendere abbastanza del loro surplus commerciale – investono più di noi.

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"Bisogna fare investimenti pubblici”. E’ il mantra che ha incantato la politica italiana per anni. Perfino i più liberisti, pur convinti della necessità di ridurre il perimetro dello stato, ritengono che uno dei compiti della Pubblica amministrazione sia mettere a terra gli investimenti. Per di più con i fondi del Recovery fund alle porte la voglia di investire soldi pubblici sul territorio è aumentata ancor di più. Ma come stanno le cose? La politica italiana, oltre che a parole, è riuscita ad aumentare davvero gli investimenti pubblici?
Fino a ora, no. L’Italia è storicamente indietro da questo punto di vista. Tra il 2009 e il 2018 il valore degli investimenti pubblici è calato di 13 miliardi di euro, dal 3,6 per cento rispetto al pil al 2,1. Per farci un’idea, la Francia investe il 3,5 per cento del suo pil, il Regno Unito il 2,7 e pure i rigoristi tedeschi – a cui rinfacciavamo prima della pandemia di non spendere abbastanza del loro surplus commerciale – investono più di noi.

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Eppure nel 2019 si era raggiunto un risultato positivo: gli investimenti pubblici erano tornati a salire dopo il trend negativo durato dieci anni. Avevano segnato il 2,3 per cento, cioè oltre 3 miliardi in più rispetto al 2020. E il governo Conte, in particolare con la voce del ministro Gualtieri, aveva assicurato di volerli incrementare addirittura sopra il 4 per cento del pil (quasi un raddoppio!) anche grazie agli aiuti europei. Ma si sa: non basta avere i soldi per fare gli investimenti, ci vogliono piani, competenze e incentivi. E soprattutto che una pandemia globale non arrivi a sparigliare le carte. Come ricorda l’Osservatorio sui conti pubblici italiani, nei primi sei mesi del 2020 gli investimenti sono tornati a calare: meno 1,3 miliardi rispetto al 2019. Le chiusure e le misure restrittive hanno rallentato il passo del governo, e anche i ministeri e i tecnici sono giustamente rimasti concentrati sui più di 100 miliardi di euro di spesa pubblica aggiuntiva contro la pandemia.

  
Ora per raggiungere i risultati che l’esecutivo si era posto per il 2020 servirebbe un miracolo. Avremmo bisogno di un’accelerazione marcata che porti ad aumentare la spesa del 31 per cento rispetto ai primi sei mesi e del 23 per cento rispetto alla seconda metà del 2019. 

  
L’incapacità italiana è legata a molte ragioni. Le due principali sono entrambe legate al malfunzionamento delle nostre istituzioni. Da un lato governo e Parlamento non sono sempre motivati a spingere sugli investimenti pubblici poiché – vista la scarsa durata degli esecutivi – si rischia di non poterne cogliere i frutti negli anni seguenti. Per costruire un ponte o cablare alla fibra una provincia ci vogliono anni e non è dunque facile per un politico attribuirsene il merito se nel frattempo non è più al governo. Il secondo nodo che resta da sciogliere è la capacità della pubblica amministrazione – i tecnici, i dirigenti e gli impiegati – di mettere a terra i soldi pubblici e far partire progetti, bandi di gara e lavori. E’ così per molti motivi, a partire dall’elevata età media dei dipendenti pubblici, la prevalenza di competenze giuridiche rispetto a quelle tecniche, la mancanza di incentivi all’efficienza e il sottodimensionamento della Pa rispetto ai reali bisogni.

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Ma proprio durante una pandemia in realtà gli investimenti si rivelerebbero più preziosi. Secondo il Fondo monetario internazionale aumentarli di 1 punto percentuale potrebbe generare un’accelerazione del pil del 2,7 per cento, degli investimenti privati del 10 e dell’occupazione dell’1,2. A patto però che gli investimenti pubblici siano di alta qualità e che la paura del debito, pubblico e privato, non vanifichi lo stimolo. Gli effetti possono essere così positivi proprio perché ci troviamo in una pandemia. Il risparmio privato è aumentato a dismisura, molti lavoratori sono disoccupati e i tassi di interesse sono ai minimi. Tre ingredienti che potrebbero determinare un forte rimbalzo guidato dagli investimenti. Nelle economie avanzate l’Fmi stima che ogni milione speso nelle infrastrutture tradizionali (elettricità, strade, scuole e ospedali e acquedotti) potrebbe creare due posti di lavoro aggiuntivi, mentre con gli investimenti in ricerca e innovazione, energia rinnovabile ed efficientamento immobiliare si potrebbero raggiungere i cinque posti di lavoro creati ogni milione.

  
Sarebbe un risultato davvero deprimente che, anche nell’anno record di indebitamento per il bilancio pubblico, gli investimenti rimanessero al palo nonostante le promesse e le premesse positive.

 

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