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Quando si danno i numeri, un po’ a proprio vantaggio

Lorenzo Borga

La trappola di rincorrere una presunta evidenza scientifica. Per esempio parlando di contagi sui bus, al cinema o a teatro

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L’Italia è diventata un paese in cui improvvisamente ci si è innamorati dell’evidenza scientifica. Chiudono i teatri? Ci si chiede quale sia l’evidenza scientifica nel contrasto della pandemia. Vietano il calcetto? Ci si chiede quale sia l’evidenza scientifica dei rischi di contagio durante una partitella. Mascherine per tutti anche all’aperto? Molti mettono in dubbio la decisione perché non c’è evidenza scientifica. È paradossale: conoscevamo l’Italia come un paese in cui si approvavano leggi come Quota 100 nonostante tutti gli esperti più rispettati avvertissero che non avrebbe creato più posti di lavoro per i giovani, in cui si investiva troppo poco sulla scuola benché sia ormai chiaro da tutti gli studi che l’istruzione sia la chiave per recuperare la crescita economica perduta, in cui sono stati introdotti due decreti “sicurezza” che gli studi scientifici suggeriscono aver ridotto la sicurezza pubblica invece di aumentarla. Eppure oggi tutti chiedono, non appena si parla di chiusure per proteggersi dal virus, la benedetta evidenza scientifica.

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L’Italia è diventata un paese in cui improvvisamente ci si è innamorati dell’evidenza scientifica. Chiudono i teatri? Ci si chiede quale sia l’evidenza scientifica nel contrasto della pandemia. Vietano il calcetto? Ci si chiede quale sia l’evidenza scientifica dei rischi di contagio durante una partitella. Mascherine per tutti anche all’aperto? Molti mettono in dubbio la decisione perché non c’è evidenza scientifica. È paradossale: conoscevamo l’Italia come un paese in cui si approvavano leggi come Quota 100 nonostante tutti gli esperti più rispettati avvertissero che non avrebbe creato più posti di lavoro per i giovani, in cui si investiva troppo poco sulla scuola benché sia ormai chiaro da tutti gli studi che l’istruzione sia la chiave per recuperare la crescita economica perduta, in cui sono stati introdotti due decreti “sicurezza” che gli studi scientifici suggeriscono aver ridotto la sicurezza pubblica invece di aumentarla. Eppure oggi tutti chiedono, non appena si parla di chiusure per proteggersi dal virus, la benedetta evidenza scientifica.

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E dunque, secondo la più basilare regola dell’economia di mercato, di fronte alla domanda c’è chi propone la propria offerta. Che però non è sempre di qualità. Partiamo dai teatri e dai cinema, di cui si sono riempite le pagine dei giornali fino a pochi giorni fa, prima che si capisse che la pandemia stava risalendo la cresta per davvero. Secondo Anec, l’associazione nazionale degli esercenti dei cinema, non si è mai verificato un contagio nelle sale cinematografiche. «È un dato certo» secondo Mario Lorini, presidente dell’associazione, perché i cinema hanno tracciato gli spettatori per 14 giorni. Non si comprende come, visto che nemmeno le aziende sanitarie che hanno centinaia di addetti dedicati al tracciamento riescono a tenere sotto controllo i contagiati. Da settimane ormai si registrano casi di persone positive o contatti stretti in quarantena che non ricevono chiamate dalle aziende sanitarie in affanno. Come è possibile dunque tracciare tutti gli spettatori dei cinema ed essere certi che nessuno di loro si sia contagiato nelle sale? È semplicemente impossibile. L’evidenza scientifica che Anec riporta è di Celluloid Junkie, una rivista online dedicata al cinema che riporta studi commissionati da gestori di sale in giro per il mondo. Non esattamente ciò che si definisce ricerche indipendenti.

 

Anche i teatri sono certi di non essere luoghi pericolosi: l’Associazione generale italiana dello spettacolo afferma di aver portato avanti un’indagine secondo la quale tra gli spettatori di spettacoli e concerti, che tra giugno e ottobre sono stati più di 347mila, vi sia stato solo un contagio segnalato dalle Asl. Anche qui però non si comprende come poter credere che questo dato sia affidabile, vista la difficoltà nel tracciamento dimostrata dall’inizio della pandemia dai sistemi sanitari regionali. E intanto al Teatro alla Scala di Milano sono stati trovati 27 musicisti positivi tra i membri dell’orchestra, purtroppo. Ciò che sappiamo invece è che rimanendo a lungo in spazi chiusi, per un’ora o due come accade in cinema e teatri, il rischio di contagio da positivi asintomatici aumenta nonostante le mascherine. Non per via dei cosiddetti droplet, le goccioline più grandi che vengono emesse mentre si parla, ma via aerosol, minuscole goccioline che rimangono sospese nell’aria e fuoriescono anche attraverso la semplice respirazione. In questo caso la ventilazione delle sale è molto più efficace rispetto alle stesse mascherine e la misurazione della temperatura, ma verificare la qualità del sistema di aria condizionata è molto più complesso che il rispetto delle altre regole anti-contagio. Inoltre anche per raggiungere i luoghi di cultura purtroppo le persone possono contagiarsi. Chiuderle è dunque un modo per ridurre questo rischio, purtroppo.

 

Ma anche nei ministeri a volte si torturano i numeri tanto da farli confessare qualsiasi cosa. Sui trasporti infatti si sta combattendo una battaglia sulle cifre dei contagi. La ministra Paola De Micheli ha dichiarato qualche settimana fa che solo l’1,2 per cento dei contagi da nuovo coronavirus è legato ai mezzi di trasporto pubblici. Si tratterebbe del risultato dello studio «più autorevole», francese, in materia: d’altronde anche durante la trasmissione Di Martedì su La7 la ministra si è presentata con alla mano tre studi scientifici. Il sito di fact-checking Pagella Politica ha però scritto che probabilmente l’affermazione è frutto di una confusione: il numero riferito alla Francia è relativo ai focolai, cioè all’individuazione di almeno tre nuovi contagi nell’arco di una settimana, e sono gli stessi autori del rapporto francese che scrivono che si tratta di una sottostima dei casi reali. Anche perché, ancor più che nei teatri e nei cinema, tracciare i contagi avvenuti sui mezzi pubblici – in cui i biglietti non possono essere nominativi e il ricambio dei passeggeri è continuo – è pressocché impossibile.

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Cinema, teatri e trasporti pubblici, come pure bar e ristoranti, sono probabilmente luoghi e situazioni in cui i rischi di contagio non sono elevati. Di certo, lo sono molto meno rispetto al contesto familiare dove si sviluppano più di frequente i contagi. Eppure per ridurre al minimo il rischio di propagazione del virus nelle famiglie, soprattutto a discapito di nonni e parenti più anziani, l’unica arma efficace che abbiamo è un lockdown che impedisca ai familiari di ritrovarsi. E sappiamo che questa soluzione è la peggiore per il sistema economico e sociale. Chiudere invece alcuni settori e categorie (che vanno ovviamente al più presto ristorate economicamente), benché non il primo luogo di rischio, potrebbe essere d’aiuto a ridurre i contagi al punto da poter evitare, o almeno ritardare, misure più rigide. Questo ci raccontano i numeri, quei pochi che conosciamo, se non li torturiamo troppo. Come purtroppo sembra sia accaduto nell’ultima settimana.

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