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Le differenti conseguenze economiche della pandemia

Covid-19 non sarà il “grande equalizzatore”. Anzi, giorno dopo giorno sta costruendo nuove diseguaglianze

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“Coronavirus is the great equalizer”. Il virus ci mette tutti sullo stesso piano, una narrazione molto diffusa nei primi mesi della pandemia. Che politici e vip avevano condiviso spesso, con l’idea che il contagio non guardasse in faccia a nessuno e potesse colpire allo stesso modo ricchi e poveri, uomini e donne, bianchi e neri. Altri credevano invece che il virus potesse essere un grande equalizzatore, ma dal punto di vista economico. Ancora sulla base dell’idea che il virus possa colpire chiunque, e che dunque tutti possano essere messi in ginocchio anche economicamente per la malattia. D’altronde l’unica pandemia che ci sarebbe venuta in mente fino a un anno fa, la peste nera del Quattordicesimo secolo narrata dal Boccaccio, quella sì che aveva ridotto la diseguaglianza. Come mostra lo studio dell’economista storico Guido Alfani, quello della peste del ’300 è stato l’unico periodo storico in cui la diseguaglianza di ricchezza si è ridotta considerevolmente in Italia, prima delle guerre mondiali del secolo scorso.

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“Coronavirus is the great equalizer”. Il virus ci mette tutti sullo stesso piano, una narrazione molto diffusa nei primi mesi della pandemia. Che politici e vip avevano condiviso spesso, con l’idea che il contagio non guardasse in faccia a nessuno e potesse colpire allo stesso modo ricchi e poveri, uomini e donne, bianchi e neri. Altri credevano invece che il virus potesse essere un grande equalizzatore, ma dal punto di vista economico. Ancora sulla base dell’idea che il virus possa colpire chiunque, e che dunque tutti possano essere messi in ginocchio anche economicamente per la malattia. D’altronde l’unica pandemia che ci sarebbe venuta in mente fino a un anno fa, la peste nera del Quattordicesimo secolo narrata dal Boccaccio, quella sì che aveva ridotto la diseguaglianza. Come mostra lo studio dell’economista storico Guido Alfani, quello della peste del ’300 è stato l’unico periodo storico in cui la diseguaglianza di ricchezza si è ridotta considerevolmente in Italia, prima delle guerre mondiali del secolo scorso.

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Ma quello era un altro mondo, e quel virus uccise metà della popolazione europea. Con il nuovo coronavirus infatti questo scenario non sembra all’orizzonte. Ci sono almeno quattro dimensioni su cui la pandemia sta costruendo, giorno dopo giorno, nuove diseguaglianza nella nostra società.

 

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Il reddito

Basterebbero i dati dell’istituto di statistica americano per raccontare come il virus ha determinato un acuirsi delle diseguaglianze tra chi è ricco e chi è povero. Già a marzo era evidente: se dividiamo la popolazione americana in quattro gruppi ordinati per reddito percepito, nel più povero solo 9 persone su 100 potevano permettersi di lavorare da casa. Salendo invece di reddito, si arriva a 1 su 5 nel secondo gruppo, 1 su 3 nel terzo mentre solo nel 25 per cento più ricco della popolazione si supera la metà (61,5 per cento). Questo significa due cose: i più poveri hanno maggiori probabilità di ammalarsi rispetto a chi ha un reddito più alto, e i più poveri sono più a rischio di perdere il lavoro rispetto ai più ricchi. Se infatti continuano a lavorare, come è accaduto per i settori essenziali, potrebbero ammalarsi. Se invece scatta il lockdown e i loro servizi non sono più richiesti – pensiamo per esempio ai servizi di pulizia degli uffici o ai cantieri – potrebbero perdere il posto.

 

D’altronde in un mondo che si è fermato in lockdown, i più poveri e i meno abbienti hanno dovuto affidarsi ai sostegni economici dei governi. Che non erano pronti – chi poteva esserlo – ad affrontare un disastro economico di questa portata. In Italia, ci ricordiamo bene i ritardi dell’Inps a erogare gli aiuti, come negli Stati Uniti, dove milioni di americani disoccupati non stanno ricevendo sussidi di disoccupazione o stanno incassando aiuti pari alla metà degli equivalenti sussidi europei.

  

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L’etnia

Se è vero che probabilmente il virus non fa distinzioni tra un bianco e un nero, le ripercussioni economiche tra le etnie sono ben diverse. Forse questo è un aspetto meno evidente del reddito, almeno qui in Italia, probabilmente anche per via delle scarse notizie che giungono sul contagio nel continente africano. Ma il colore della pelle nelle nostre città ha fatto largamente la differenza in questi mesi. Se torniamo ancora negli Stati Uniti, ci accorgiamo quanto. Ad aprile 7 persone morte per Covid su 10 a Chicago erano nere, in alcune contee del Winsconsin si è raggiunto l’80 per cento, in Michigan il 40.

 

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Ma non illudiamoci di essere immuni al fenomeno in Italia. Nel nostro paese non esistono dati relativi al contagio o ai decessi divisi per etnia, ma abbiamo a disposizioni i numeri sulle ripercussioni economiche. Negli ultimi anni in Italia il tasso di occupazione tra gli stranieri è stato più alto rispetto a quello degli italiani. Per tanti motivi, primo fra tutti il fatto che chi non è italiano ha dimostrato una disponibilità più alta ad accettare anche occupazioni umili e mal retribuite, pur di lavorare e poter inviare soldi alla famiglia nel paese di origine. Ebbene il Covid è riuscito a invertire la tendenza. Nel secondo trimestre dell’anno secondo l’Istat gli italiani sono tornati a lavorare di più rispetto agli stranieri. Probabilmente perché disponevano di contratti più stabili che sono stati tutelati dal blocco dei licenziamenti, mentre le altre etnie hanno perso il lavoro durante il lockdown.

 

Il genere

Lo ha raccontato anche la Caritas: l’identikit di molti nuovi poveri è quello di una donna, italiana, con due figli e un’età attorno ai 40 anni. Questo è il profilo che più di frequente in questi mesi si è rivolto per la prima volta agli enti del terzo settore per chiedere aiuto e cibo.

 

Secondo una ricerca di McKinsey, i lavori svolti dalle donne rispetto a quelli degli uomini sono quasi 2 volte più a rischio economicamente a causa della pandemia. Non a caso in Italia per Istat la perdita in un anno di posti di lavoro occupati da donne è quasi doppia (274 mila) rispetto a quella subita dagli uomini (151 mila). E anche qui ritroviamo il tema del doppio rischio, economico (come abbiamo visto) e anche sanitario. Infatti è ancora Istat a informarci che tra i settori lavorativi a più alto rischio contagio, il 67,3 per cento degli impiegati è di sesso femminile. E se pensiamo che almeno la possibilità di usufruire dello smart working abbia ridotto i rischi di non vedersi rinnovato il contratto o, dove è possibile, essere licenziata, questa è solo una parte della verità. Infatti, come ha mostrato un sondaggio svolto da Valore D, il 30 per cento delle donne in smart working ha lavorato più di prima e non è riuscito a mantenere un equilibrio tra lavoro e vita domestica. Agli uomini è invece capitato solo a 1 su 5.

 

L’età

E infine i giovani. Che fortunatamente hanno bassissimi rischi rispetto ai sintomi più gravi del Covid-19, ma a cui si stanno chiedendo i sacrifici più costosi per ridurre la velocità del contagio. Sebbene infatti non possano perdere lo stipendio, né rimanere disoccupati, ogni giorno che passa senza poter frequentare la scuola rappresenta occasioni e reddito persi per gli anni a venire. Secondo una ricerca della Banca mondiale, se gli studenti – sommati i diversi periodi di istruzione a distanza e scuole chiuse – perdessero fino a un anno di lezione, potrebbero dover rinunciare per i prossimi anni a una somma tra i 350 e i 1.400 dollari annui di mancati guadagni. Cioè il 5 per cento del reddito annuale. Perché? Per esempio per via delle minori opportunità di guadagno e di lavoro di cui potranno godere i futuri lavoratori oggi tra i banchi. A livello mondiale, se sommiamo tutte le perdite, il conto raggiunge circa 10 mila miliardi di dollari: più di un decimo del pil globale ogni anno.

 

Il coronavirus non sarà un “great equalizer”. E non avrà gli stessi effetti sulla diseguaglianza della peste del ’300. Allora dopo la pandemia i sopravvissuti si accorsero di essere rimasti la metà di prima, mentre le terre erano rimaste le stesse. E in un’economia che basava la sua ricchezza sulle proprietà terriere, questo ha portato a un forte aumento del reddito negli anni seguenti. Oggi invece, dove la fortuna economica è guidata dall’informazione, l’innovazione e la conoscenza, una pandemia non può che causare danni economici enormi. Senza ridurre le disparità.

 

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