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Tutti gli scogli del piano von der Leyen sull’immigrazione

Richieste d’asilo, flussi di arrivo in Italia, vaglio del Consiglio europeo: non è così facile superare il trattato di Dublino

Lorenzo Borga

Si è parlato di “vittoria storica” per l’ “abolizione” della convenzione che impone ai paesi di primo arrivo di prendersi carico delle richieste di asilo dei migranti extra-comunitari. È davvero così?

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Si è parlato di “vittoria storica” per l’ “abolizione” del trattato di Dublino. Quello per capirci che impone ai paesi di primo arrivo di prendersi carico delle richieste di asilo dei migranti extra-comunitari. In effetti era stata la stessa presidente della Commissione Ursula von der Leyen che dopo l’incendio devastante sul campo profughi greco di Lesbo aveva detto: “Aboliremo la regolamentazione di Dublino e la sostituiremo con un nuovo sistema europeo di governance delle migrazioni”. Ma la realtà almeno per ora è differente. Quasi tutti i commentatori sono rimasti delusi dalla proposta partorita qualche giorno dopo dalla Commissione europea, tanto che è difficile poter parlare effettivamente di “abolizione di Dublino”.

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Si è parlato di “vittoria storica” per l’ “abolizione” del trattato di Dublino. Quello per capirci che impone ai paesi di primo arrivo di prendersi carico delle richieste di asilo dei migranti extra-comunitari. In effetti era stata la stessa presidente della Commissione Ursula von der Leyen che dopo l’incendio devastante sul campo profughi greco di Lesbo aveva detto: “Aboliremo la regolamentazione di Dublino e la sostituiremo con un nuovo sistema europeo di governance delle migrazioni”. Ma la realtà almeno per ora è differente. Quasi tutti i commentatori sono rimasti delusi dalla proposta partorita qualche giorno dopo dalla Commissione europea, tanto che è difficile poter parlare effettivamente di “abolizione di Dublino”.

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Ma, neanche a dirlo, c’è chi non ha atteso un secondo per definirla “una bella vittoria” per il Movimento 5 Stelle. I neo-europeisti, per voce per esempio Dino Giarrusso, hanno subito gridato al successo. È davvero così?

 

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La nuova proposta della Commissione europea è già stata spiegata anche su queste pagine, ma è bene tornarci sopra. Il commissario europeo Margaritis Schinas l’ha definita un “meccanismo di solidarietà obbligatoria”. Cioè? Uno stato membro, se la proposta venisse approvata, potrà richiedere l’aiuto alla Commissione in caso di pressione o crisi migratoria, e a quel punto Bruxelles avrà l’obbligo di venire in soccorso. Lo farà richiedendo il supporto degli altri 26 stati membri, che potranno offrire accoglienza a un certo numero di richiedenti asilo oppure sponsorizzarne i rimpatri, cioè finanziare i viaggi di ritorno – forzati o volontari – nei paesi d’origine dei migranti. In alternativa, secondo la proposta, i paesi recalcitranti possono anche finanziare centri di accoglienza nei paesi di primo ingresso o programmi di sviluppo negli stati di origine dei migranti. Agli stati dunque viene messa di fronte una scelta: accogliere o pagare. 

 

Ma è nei dettagli che meglio si comprende la natura della proposta di von der Leyen. Per gli arrivi via mare, come la maggior parte di quelli che coinvolgono l’Italia, i centri che si occupano della prima accoglienza dovrebbero non essere considerati parte del territorio dello stato membro. Si tratterebbe dunque di una situazione simile ai controlli migratori ai confini. Agli stati frontalieri verrebbe chiesto di effettuare controlli di identificazione e sulla salute e la sicurezza dei nuovi arrivati entro cinque giorni in modo da scremare le richieste di asilo. In questo modo si destinerebbero agli altri paesi europei solo migranti con alte possibilità di vedersi riconosciuto il diritto d’asilo. E questo potrebbe diventare il nuovo collo di bottiglia, anche per l’Italia. A luglio il 73 per cento delle domande di asilo in Italia è stata rifiutata: una percentuale aumentata negli ultimi anni dopo i decreti sicurezza firmati da Matteo Salvini. L’eventuale ricollocazione dei migranti arrivati in Italia dunque non potrà che concentrarsi in particolare su quel 25 per cento che invece ha possibilità di vedersi riconosciuto l’accoglienza a lungo termine.

 

E non è neanche detto che sia così. Altri progetti della Commissione in passato infatti aveva lanciato piani di superamento del trattato di Dublino, senza però raggiungere i risultati sperati. Il precedente più famoso è il piano di ricollocazione varato dall’ex presidente Jean-Claude Juncker, che si proponeva di ricollocare fino a 120mila migranti da Italia e Grecia, poi ridotti nell’attuazione. Tre anni dopo l’obiettivo era stato raggiunto solo per il 30 per cento, per due ragioni: primo, in Italia arrivano pochi migranti che possono essere riconosciuti fin da subito – guardando al solo loro paese di provenienza – come aventi diritto all’asilo con un certo grado di certezza e, secondo, il rifiuto di alcuni paesi (soprattutto dell’Europa dell’Est) di accettare le quote di immigrati. Due ragioni che, guarda caso, potrebbero mettere a rischio anche il nuovo piano europeo. La prima è ancora valida, mentre la seconda rischia già di diventare realtà dal momento che il clima politico nei paesi di Visegrad non sembra essere cambiato. E se questi stati non si dovessero rendere disponibili ad accettare migranti, al nostro paese resterebbe l’onere dell’accoglienza di tutti gli arrivi. Proprio come accade oggi. Certo, potrebbe ricevere aiuti logistici ed economici per l’integrazione e i rimpatri. Ma come sappiamo le migrazioni non sembrano essere un problema economico per l’Unione europea – in particolare da quando i flussi si sono ridotti a partire dal 2015 – ma un tema culturale e politico.

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E c’è anche un altro punto che potrebbe deludere le aspettative dei politici italiani sulla nuova proposta della Commissione. In Italia i flussi di arrivo sono ormai molto bassi da circa tre anni, cioè da quando l’ex ministro Minniti – direttamente o indirettamente, non lo sappiamo – ha stretto accordi con i trafficanti di esseri umani per ridurre le partenze. Il nostro paese infatti, se i migranti fossero davvero distribuiti in Europa secondo il peso economico dei vari stati membri, rischierebbe di dover accogliere nuovi stranieri piuttosto che ricollocarne. Con i bassi numeri di sbarchi di questi anni infatti la quota di migranti che accogliamo è minore rispetto al nostro potere economico, misurato dal Pil. Ce ne dimentichiamo quasi sempre, avvolti in una spirale di populismo e paura per lo straniero. Ma così è.

  

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Ma al di là di tutto, resta un ultimo – non indifferente – limite alla proposta della Commissione per diventare, davvero, l’abolizione del trattato di Dublino. È appunto una proposta, che come tutti gli atti di questo tipo deve passare il vaglio del Consiglio europeo dei capi di stato e di governo. E lo sappiamo: il metodo intergovernativo ha ucciso in culla già diverse proposte di riforma della gestione migratoria europea, o le ha depotenziate a tal punto da renderle inefficaci. Ursula von der Leyen ha già stupito i commentatori lanciando con successo un piano economico di ripresa mai visto a Bruxelles, supportata dall’alleata Angela Merkel. Ma riuscirà ad avere successo anche sull’immigrazione, dove il suo predecessore Juncker ha fallito? Per ora c’è motivo di essere pessimisti.

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