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nuovi orizzonti

"L'algoritmo ci salverà!". Ma qualcuno ci crede davvero?

Arnaldo Greco

Tra catene alfanumeriche e robot che cominciano a prendere il posto dell'uomo c'è chi ha spropositata fede nel progresso e nell'automazione. Ma questi metodi non hanno quasi mai dimostrato di essere davvero all'avanguardia

"Bagagli smarriti negli aeroporti: un algoritmo ci salverà” titolava, nei giorni scorsi, uno dei principali quotidiani nazionali. Ma prima di abbandonare le vecchie remore: la targhetta sulla valigia, non mettere nel bagaglio da imbarcare nulla di prezioso, o nulla di fragile, farla ricoprire di un chilo di cellophane che poi ci vuole un’ora a tirarlo via e chissà pure l’impatto ambientale, prima insomma di fidarsi dell’algoritmo fermiamoci, appunto, all’espressione: “Un algoritmo ci salverà”.

 

È una di quelle formule che, di tanto in tanto, prendono spazio nei titoli e, se lo fanno, beh, una ragione deve pur esserci, e non può essere solo la rapidità, il suono o, peggio ancora, la sciatteria. Piccolo catalogo di usi: “Anima gemella? Un algoritmo ci salverà”, “Lunghe attese alla fermata dell’autobus? Un algoritmo ci salverà”, “Malattie cardiache? Un algoritmo ci salverà”, “Fuggite, c’è la frana! Un algoritmo ci salverà dal disastro”. E poi: “Dire addio al mal d’auto: un algoritmo ci salverà”, “L’algoritmo che ci salverà dal traffico”, “Un selfie ci ucciderà e un algoritmo ci salverà” (su un progetto che doveva impedire la pubblicazione di selfie scattati in situazioni di pericolo), fino a “l’algoritmo che ci salverà dal clima impazzito”.

 

A proposito di clima, dicono gli esperti – in questo caso soprattutto esperti di animo umano – che non bisogna dare l’impressione che sul clima non ci sia più nulla da fare, altrimenti si rischia di rinforzare il menefreghismo, che faccio a fare la differenziata se tutto è già andato in malora? Ecco, vale lo stesso per tutto lo sterminato elenco di “un algoritmo ci salverà” che si trova in giro, di cui qui sopra è stata riportata solo una minuscola parte.

 

Innanzitutto perché il futuro di tutti questi “ci salverà” sembra molto lontano. Traffico, problemi di cuore (che siano le malattie cardiache o la ricerca dell’anima gemella), valigie smarrite, disastri naturali sono tutti qui. Nessun algoritmo ci salva, nemmeno dall’ansia – anzi il dubbio è che l’amplifichi pure volontariamente – e l’unica volta che un algoritmo ha provato a salvare qualcuno da una catastrofe è stato quando alle Hawaii hanno avvisato tutti di un imminente attacco atomico salvo poi scusarsi, trentotto lunghi minuti di panico dopo, perché si trattava di un falso allarme.

 

Ma “l’algoritmo ci salverà” nasconde anche qualcos’altro e cioè una fiducia nell’automazione che, se non buffa, è quantomeno fuori tempo massimo. C’è un’idea del futuro un po’ da Asimov e un ottimismo che, in questo momento, non sembra corroborato da nulla. Non che la tecnologia non ci abbia aiutato e non prometta di aiutarci ancora, ma, quando immaginiamo il futuro, i riferimenti dovrebbero essere più Philip K. Dick o, se proprio vogliamo essere ottimisti, Douglas Adams e “Futurama”. Meno magnifiche sorti e progressive e più paranoia e semplice realismo. 
Se, per esempio, prendiamo come riferimento i successi nel campo medico scopriamo che si fanno già quelli che, una volta, sarebbero apparsi veri e propri miracoli: persone recuperano la vista, altre ricominciano a camminare, eppure queste scoperte non entusiasmano. Sono cose che già succedono senza, tuttavia, scaldare gli animi.

 

Uno spettacolo di pura meraviglia come un bambino sordo che sente per la prima volta la voce della mamma finisce in mezzo ai video commoventi sui social. Mentre l’automazione che cattura l’attenzione sui quotidiani e in tv è più quella degli ultimi campionati mondiali di pesto tenuti, ça va sans dire, in Liguria, a cui ha partecipato anche un robot. O il robot barman che sa miscelare e versare da bere, quello fattorino, quello che gioca a calcio. (Il 30 luglio l’Italia si è laureata campione del mondo di calcio robotico sconfiggendo in finale, a Bangkok, la Germania. Altro che quelle schiappe che non ci portano in Qatar). 

 

Probabilmente molto presto saremo in grado di sintetizzare dei tessuti adatti a sostituire la pelle umana in laboratorio e ci saranno dei chirurghi robot in grado di impiantare mani umane (Massimo Troisi, per far innervosire un sacerdote troppo accondiscendente, faceva una buffa scala dei miracoli sostenendo che ci fossero miracoli di diverse intensità: far crescere una mano sarebbe un miracolo più incredibile di guarire ciechi e paralitici perché questi hanno già qualcosa da guarire). Ma finiremo per accorgercene solo perché un robot verrà usato in una di quelle pubblicità di coltelli che vanno a tutte le ore e qualche venditore, per dimostrare l’efficacia degli ultimi coltelli miracolosi, si accanirà sull’automa. 

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