Spazio okkupato
Non chiamatelo sciopero. Quello dei tassisti assomiglia più a una serrata
La categoria è compatta per paura di perdere il privilegio di esercitare in un sostanziale monopolio il proprio lavoro, che non strizza certo l'occhio al digitale. Ma dov’è la “lotta contro i padroni” se il padrone sei tu?
La corporazione dei tassisti – molti, non tutti – mette in crisi alcune delle mie convinzioni più profonde. La prima è che viaggiare e incontrare molte persone per lavoro, ascoltarle e dialogare con loro conduca inevitabilmente a un miglioramento individuale e sociale, quindi a una maggiore diffusione della cultura. Se fosse davvero così, i tassisti, che passano la loro vita a chiacchierare con gente incontrata per caso, dovrebbero tutti assomigliare a Voltaire e invece, purtroppo, non sembrerebbe esserci categoria professionale più infestata di No vax e terrapiattisti (ma forse il motivo è che ascoltano troppo “La Zanzara”). L’altra convinzione profonda che i tassisti – non tutti, molti – mettono in crisi è che la parola “sciopero” debba indicare la lotta dei lavoratori contro i datori di lavoro o, come si diceva una volta, contro i padroni.
Lo sciopero nazionale indetto in questi giorni di caldo infernale e Covid ribollente non è stato provocato da un fatto realmente accaduto, ma dall’intenzione del governo – dichiarata in modo volutamente vago nell’articolo 10 del ddl Concorrenza – di preparare un decreto per rendere più efficiente il servizio, aumentando la concorrenza e allineandolo alle trasformazioni del digitale. Insomma, a fare scattare la protesta è bastata l’eventualità di una futura liberalizzazione. A essere in ballo, ovviamente, come già per i balneari, sono le licenze che i tassisti hanno pagato caro e che non vogliono vedere deprezzate, ma anche il privilegio di poter esercitare il loro lavoro in regime di quasi monopolio. La maggioranza dei partiti di governo è già tornata sui suoi passi ed è facile prevedere che, ancora una volta, lo sciopero avrà successo, come già accaduto con le riforme di Bersani del 2006 e Monti del 2012. Quello che bisognerebbe chiedersi è perché: da dove i tassisti traggano la loro forza. La prima risposta è: da una tradizione di scioperi. La seconda: dalla potenza del privilegio, che aumenta la resistenza e la compattezza della categoria.
Il primo servizio di trasporto pubblico su vetture a motore fu inventato a Stoccarda, in Germania, il 26 giugno 1896 dalla ditta Friedrich Greiner, ma tre anni dopo già prosperava in tutta Europa. A New York i taxi arrivarono nell’ottobre 1907 quando un certo Harry N. Allen importò dalla Francia una flotta di 65 auto a benzina, e il successo fu immediato, al punto che un anno dopo a New York i taxi erano già 700 e fu indetto il primo sciopero degli autisti contro i padroni delle auto. Nonostante questo il servizio continuò a espandersi – negli anni del Proibizionismo i taxi erano il modo migliore per trovare un po’ di alcol e di intimità (una canzone dell’epoca dice: “They only take a taxi when they’re in love, love, love”) – ma continuarono anche le lotte di chi guidava per ottenere condizioni di lavoro migliori da chi possedeva le macchine, che culminarono nelle “Taxi Riots” dal 5 al 9 febbraio 1934 quando almeno 500 tassisti scesero in sciopero a Broadway, dando vita a giorni di scontri violenti con la polizia, lanci di pietre, almeno una dozzina di feriti e una caccia sistematica al crumiro, cioè a quei pochi autisti che, possedendo già un taxi di proprietà, non avevano alcun interesse ad astenersi dal lavoro. “A quei bastardi dei crumiri siamo andati a tirargli giù gli sportelli dei taxi”, racconta uno scioperante citato in “Taxi! A Social History of the New York City Cabdriver” di Graham Russell Gao Hodges del 2019.
Quello che avviene in Italia oggi, e da decenni, è che non si sciopera contro i padroni delle auto, perché a scioperare sono proprio i padroni delle auto. I tassisti sono forti perché abbastanza ricchi da potersi permettere di non lavorare a lungo. Per questo, oltre che anacronistica, suona irridente e offensiva la nota diramata da quattordici sigle di categoria tra cui Usb taxi, Ugl taxi, Federtaxi Cisal, Uil trasporti, Unica Cgil taxi: “La nostra battaglia è la lotta di 40 mila lavoratori contro la speculazione finanziaria, ma anche la difesa dell’utenza di un servizio pubblico contro meccanismi come algoritmi e libero mercato che li andrebbero a strangolare nel momento del bisogno”. E non suona offensiva soltanto verso i clienti (è difficile immaginare “un momento del bisogno” maggiore che aspettare un taxi con 40 gradi). Suona offensiva verso tutti coloro che scioperano senza possedere i mezzi di produzione e i guadagni che ne derivano. La corporazione dei tassisti (non tutti, molti) mette in crisi l’idea che esista una differenza tra scioperi e serrate, ed è un danno teorico e politico altrettanto grave di quello provocato dagli scioperi stessi e da un’offerta sempre più inadeguata alla domanda.