Lo sciamano Giordano e l'orrida bellezza di "Fuori dal coro"

Ginevra Leganza

Non è trash, perché non ha termini di paragone alti cui rapportarsi. Il talk show di Rete 4 “Fuori dal coro” coinvolge il basso, ravviva l'alto e si fa odiare ed evitare dal medio. Insomma, è una pozione che genera catarsi

Il Fronte del Laureato Qualunque lo scheda nel trash. Ma Mario Giordano, re dei talk, è tutt’altra cosa.

Andiamo con ordine: il trash, Tommaso Labranca docet, è l’imitazione fallita di un altro (esempio: Little Tony, imitatore mancato di Elvis, è trash). In tal senso, il grillo parlante di Rete4 non sembra imitare nessuno. Lungi dall’essere maligni, vogliamo piuttosto ammonire i suoi detrattori, affezionati ad altre più civili trasmissioni: posto il trash come imitazione malriuscita, qualcuno potrebbe sentirsi legittimato a misurare il tasso di trashaggine delle venerande anchorwomen, sullo schermo da decenni eppure scapicollanti nell’imitazione di giovani donne. Occhio, detrattori, occhio a vedere pagliuzze nell’occhio altrui.

   

Ma torniamo a Giordano. “Fuori dal coro” è un sortilegio, è l’osceno incanto orchestrato da un esemplare geniale – e forse unico in Italia – di giornalista-performer. Memorabile, e nel solco dell’azionismo viennese di Hermann Nitsch, la vigilia di Ognissanti del 2019, con quella zucca di Halloween fatta a pezzi a colpi di mazza da baseball tricolore. Non c’è partita, “Fuori dal coro” è una pozione che diluisce l’ipnosi nel grezzume, è un filtro potente che genera catarsi. Dove il gesto è più importante del discorso, dove l’ospite (spesso Vip di modesta ambizione dialettica) è puro corredo, si sfalda l’impianto strisciante del talk. Il Mago Giordano dice “chi non urla è complice” e il telespettatore s’inchioda allo schermo, sente svanire il peccato originale della tenzone televisiva: l’infingimento. Giordano smonta l’ordigno sleale del moderatore ammodo che, fingendo una trasmissione composta, si tramuta presto in domatore di vaiasse.

   

Lui urla sin da subito, senza preludi e senza moine, senza servirsi di ospiti colti e facinorosi. Fa tutto lui, e genera un brutto d’autore meraviglioso. Mette in piedi uno spettacolo di purificazione fin dalla sigla (quest’anno addirittura una Haka: apoteosi del primitivo), e il suo pubblico è nel gorgo di un art-talk che disperde le ceneri della concorrenza nel mar morto dello zapping. In un contesto aduso a patinare l’orrore, Giordano porta Tik Tok in tv: canzoncine e balletti mescolano il demenziale all’escandescente sentire comune. Musiche e danze spolmonate… Ma il suo dionisismo ha quasi i tratti del dramma antico. Le urla lagnose sono le spezie di un caos che ripristina l’ordine, come in una tragedia: pensiamo all’operazione #ladridicase con la quale il Mago di Rete4 ha meritoriamente restituito ai proprietari la legittima dimora occupata da affittuari morosi e sotto sfratto. Lui arriva, con l’anima sgolata, inveisce, profana i santoni dei talk in sagoma di cartone nel suo studio… Ma alla fine del putiferio, si dimostra vicino ai devoti telespettatori e ben più conseguente di quanto non siano i colleghi, composti e sgobboni, con la scaletta e lo sforzo di simulare spessore.

  

Aristotele nella Poetica giudicava generi e opere in base al pubblico di riferimento, e allora ci chiediamo: se è vero com’è vero che semi-colti e laureati navigano tra La 7 e la Rai, “Fuori dal coro” chi lo guarda? La sensazione è che piaccia a uomini e donne dai piaceri semplici, vogliosi di affidare i castighi quotidiani a uno sciamano straniante e divertente. Eppure tocca dire che un’orrida bellezza colpisce tanto i portatori di sani vizi quanto i malati di virtù, coinvolge il basso e ravviva l’alto, e dunque si fa odiare ed evitare dal medio. Si fa detestare da quel pubblico saputo che non coglie il senso della catarsi e, soffocando lo scontento nella finta dialettica, cuoce nel limo dorato di una buona educazione.

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