Le pietre dello scandalo. La Spigolatrice e le altre statue che fanno inorridire il pol. corr.

La scultura di Sapri riapre la polemica. Non sarà un capolavoro ma anche grandi opere del passato, alla lente del moralismo odierno, sarebbero da censurare (e per fortuna stanno dove sono)

Enrico Cicchetti

"È un’offesa alle donne e alla storia che dovrebbe celebrare", ha scritto su Twitter Laura Boldrini. La ex presidente della Camera ce l'aveva con la statua della "Spigolatrice" inaugurata a Sapri. Chiappone al vento e più ammiccamenti da soubrette che fatiche da proletariato rurale. "Come possono le istituzioni accettare la rappresentazione della donna come corpo sessualizzato? Il maschilismo è uno dei mali d’Italia", lamenta Boldrini. E Monica Cirinnà rincara: "Uno schiaffo alla storia e alle donne. Sia rimossa!". 

Le istituzioni locali difendono l’opera e lo scultore Emanuele Stifano prova a difendersi così: "Quando realizzo una scultura tendo sempre a coprire il meno possibile il corpo umano, a prescindere dal sesso. Poiché andava posizionata sul lungomare, ho 'approfittato' della brezza marina che la investe per dare movimento alla lunga gonna, e mettere così in evidenza il corpo". Alibi loffio. Poi aggiunge: "Lungi da me accostarmi ai grandi Maestri del passato". Non avevamo dubbi.

 

Eppure anche su certi capolavori di altre epoche, se si dovesse per forza leggere l'arte con la lente del pol. corr., ci sarebbe da recriminare.

Dal "Fauno Barberini", scolpito con gran virtuosisimo nel 220 a.C., che se ne sta completamente ubriaco a gambe divaricate, alle ninfe nude e abbandonate di Bartolini e Clesinger. Mani che afferrano la carne e corpi che cedono sotto i polpastrelli nelle scene (di violenza sessita, a dirla tutta) del ratto delle Sabine del Giambologna e di quello di Proserpina del Bernini. Oppure le procaci ninfe delle acque: le Naiadi dell'omonimo fontana di al centro di piazza della Repubblica, a Roma, e le Nereidi che si strizzano le poppe sotto al "Żigànt" di piazza Maggiore a Bologna - mentre dai seni della "fontana delle tette" di Treviso per le feste in onore di ogni nuovo Podestà spillava vino bianco e rosso. Per via dello scandalo che suscitarono all’inizio del XX secolo, l'architetto Giuseppe Sommaruga dovette spostare le due donne procaci e seminude (allegoria della pace e dell’industria) che decoravano la facciata di palazzo Castiglioni, al 47 di corso Venezia a Milano – ribattezzato con sarcasmo meneghino “Cà di ciapp”. Ultima in ordine di tempo ma non per numero di polemiche suscitate, la lavandaia di Saura Sarmenghi, che nel 2001 il comune di Bologna ha piazzato tra le fratte di un aiuola in via della Grada. 

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  • Enrico Cicchetti
  • Nato nelle terre di Virgilio in un afoso settembre del 1987, cerca refrigerio in quelle di Enea. Al Foglio dal 2016. Su Twitter è @e_cicchetti