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Salvate la Lombardia

Maurizio Crippa

Anche da se stessa (e per il bene dell’Italia). Cronache settembrine da una regione con molte anime. Tra cose da aggiustare, forza economica e un’idea di autonomia che forse è ora di archiviare

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“I milanesi sono l’unico popolo che io conosca che ha perso il senso della propria provenienza”

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“I milanesi sono l’unico popolo che io conosca che ha perso il senso della propria provenienza”

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Philippe Daverio

 

Presentando il Requiem di Verdi che ieri sera ha diretto nel Duomo di Milano in memoria delle vittime del Covid, Riccardo Chailly ha detto che nella Messa per i defunti del Maestro c’è anche una traccia di speranza: “Le parole del Libera me Domine concludono il brano sacro con un margine di speranza, perché negano la morte e tendono a sciogliersi in una umana aspettativa”. Con l’arcivescovo Mario Delpini, padrone di casa, c’erano il presidente Sergio Mattarella e il sindaco Beppe Sala. Un gesto necessario e solenne, ma al tempo stesso una “ripartenza” strana per Milano, diversa dai soliti inizi intraprendenti di settembre, venata di una palpabile ansia di salvezza: si salvi come può, questa terra. C’è bisogno di bellezza e di ottimismo, ma a guardare la situazione con un po’ di disincanto viene da dire che i simboli prescelti non riescono a cancellare il sospetto che qualcosa possa andare male. Come per esempio per un altro simbolo, questa volta super popolare com’è il ciclismo, che era stato indicato dagli organizzatori come segnale di un bel pronti via. Il Giro di Lombardia, “classicissima” che i lombardi hanno nel cuore ma che di solito si corre in autunno, quando le foglie gialle fanno da contorno alla Colma di Sormano, quest’anno si è disputata il giorno di Ferragosto, quasi un’invocazione a San Rocco di ritrovata salute e allegria al culmine dell’estate che molti lombardi hanno passato tra i laghi e monti di casa. Peccato che l’edizione del rilancio resterà alla storia per il ciclista belga precipitato giù da un parapetto, nel burrone, mentre scendeva al lago, come nel Dio di Roserio, nello spavento generale. Se l’è cavata, solo un po’ di botte, ma come diceva quello: la fortuna è cieca, ma la sfiga… Oppure il Gran Premio di Monza che si corre domani, orgoglio nazionale, e doveva essere uno sventolio di bandiere rosse e tricolori e invece scorrerà mestamente in tv, con le Ferrari che vanno a carbonella (ma forza Cavallino). Che altro manca, una invasione di cavallette?, come direbbe John Belushi. Se si dicesse che alla Lombardia serve una gita a Lourdes, o almeno un pellegrinaggio alla Madonna di Caravaggio, nessun lombardo dovrebbe sentirsi offeso. La regione locomotiva d’Italia continua, nonostante tutto, ad essere tra le più ricche d’Europa, e meglio di alcuni stati nazionali, e se la gioca ad armi pari per il futuro con la Baviera e l’Île-de-France. Però al momento sembra intimorita e sfiduciata, colpita da una maledizione. E questo al netto della stupida Schadenfreude degli altri, di cui non vale più la pena di parlare.

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Il “Requiem” ieri sera in Duomo, con Mattarella. Un omaggio dovuto alle vittime, ma anche una strana ripartenza un po’ impaurita. Alberto Quadrio Curzio: il primo antidoto alla crisi è la forza di un modello sociale e civico che è la stessa “ambrosianità” lombarda


  

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Meglio domandarsi se la Lombardia non debba salvarsi prima di tutto da se stessa. Rimediare agli errori e ritrovare un po’ di consapevolezza. Sapere chi è. Ad esempio. Nei soli due mesi dell’estate 2019, ante Covid, i danni alle attività agricole provocate dal maltempo in regione avevano superato gli 86 milioni di euro. Quelli delle ultime settimane, secondo le stime di Coldiretti, potrebbero essere superiori. Scenari biblici, mais e soia distrutti, vendemmie ammalorate, danni a frutta e verdura, greggi bloccate negli alpeggi. Eppure i lombardi spesso neppure lo sanno di essere una regione agricola, tra le più produttive d’Italia. E quando il resto degli italiani pensano a quel trapezio di carta geografica ben piantato tra le montagne e la grande Pianura pensano ai grattacieli della finanza, alle “week” che sono state il biglietto da visita della Milano di Beppe Sala. Dimenticando tutto il resto, la terra da cui “deriva necessariamente un parto pieno di gioia e il sentimento paziente dell’opera che cresce”, per usare le parole di Emmanuel Mounier. Dimenticando quei territori che sono la forza stessa di un sistema sociale ed economico capillare, forte e fragile come una zolla da rivoltare. Non che si debba andare tutti a zappare, o a riscoprire i piccoli borghi come nuova frontiera – che pure è una buona idea, per come la declina l’archistar del futuro green, il milanesissimo Stefano Boeri. Ma quell’immagine che persino i lombardi si fanno, limitata alla dimensione metropolitana, allo spavento da assembramento e allo sgomento dei bar e degli uffici vuoti dovrebbe inquadrare anche altri dettagli. Ad esempio il fatto che più che moltiplicare le autostrade serve una ridistribuzione abitativa che non si mangi il territorio, trasformandolo nella somma scomposta di grandi periferie assembrate attorno alle aree industriali (è stato un grande problema della Bergamasca).

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Il muro di gomma di una politica ormai ancorata al centro-sud. Dopo anni di buchi nell’acqua bossiani, il momento di cambiare registro

McKinsey spiega come sarà la rete futura del lavoro europea, in cui il nord è inserito. Il problema italiano è il lavoro senza innovazione al sud

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Salvarsi da cosa, insomma? Bisogna procedere per gradi. Perché come ci spiega Alberto Quadrio Curzio, professore emerito di Economia politica della Cattolica, presidente emerito dei Lincei (e gran lombardo di solidi natali valtellinesi, a proposito del valore dei territori) la Lombardia è ugualmente nella top dieci delle regioni più dinamiche d’Europa, e non bisogna farsi ingannare dai numeri. Se nel 2020 il suo Pil subisce una contrazione maggiore di quella di altre regioni, sottolinea l’economista, è perché il manifatturiero che sostiene il suo export ha un’incidenza molto più alta, e l’export ha rallentato. Ma per lo stesso motivo nel 2021 le sue performance saranno maggiori di quelle di altre regioni perché con l’export recupererà dinamismo. Quadrio Curzio conosce bene la storia e il territorio, e pensa che il primo antidoto alla crisi sia la forza di un modello sociale e civico, perciò economico, di relazioni diffusi, che è la natura stessa della Lombardia. Poi c’è comunque da fare, perché le cose da rimediare sono tante. Ad esempio il record negativo segnalato nei giorni scorsi da Confcommercio, una perdita di 22,6 miliardi nei consumi, la più alta a livello nazionale. La Regione ha varato un suo robusto “Piano Marshall” che vale complessivamente 5,5 miliardi di euro. Coraggio. Poi ci sono faccende più strutturali da sanare, quelle che di solito anche i diligenti lombardi, o almeno i loro politici, preferiscono non guardare. Tipo il fisco e l’autonomia. Argomenti che purtroppo sono da una trentina d’anni oggetto di inconcludente tifoseria. L’economista Giorgio Arfaras del Centro Einaudi ha appena curato, assieme ad Alberto Brambilla, Angelo De Mattia, Claudia Segre e Antonio Felice Uricchio un volume (Guerini e Associati) che si intitola L’Italia delle autonome alla prova del Covid-19. Nella sostanza gli autori prospettano la necessità di un “federalismo gentile”, che si basi più sulla modificazione della spesa pubblica (e pensionistica) e sui flussi fiscali che non sulle rivendicazioni di “materie” da sottrarre allo stato. Perché la batosta l’hanno presa di più al nord, e non è solo il Covid: è che pesa la demografia. Basta pensare che la concentrazione delle categorie economiche più penalizzate dalla pandemia rispetto a quelle meno toccate è massima al nord e minima al sud, dove pensionati e dipendenti pubblici sono di più. Così a generare meno ricchezza saranno le regioni più produttive del paese, e questo peserà nel futuro. Uno studio McKinsey sul mercato del lavoro europeo post Covid dice, al proposito, cose interessanti. Dividendo l’Europa in un “patchwork di differenti mercati del lavoro”, spiega come il futuro sviluppo richiederà (e premierà) il lavoro ad alta specializzazione, i cui skill sono la capacità di gestire l’automatizzazione, le intelligenze artificiali e tutte le professionalità che richiedono preparazioni specifiche. Nella mappatura di McKinsey, le aree europee più attrezzate in questo senso nei paesi del nord, e vi rientra generalmente il settentrione italiano (Milano è indicata tra le “superstar hubs”). Poi ci sono intere regioni, e sono quelle mediterranee, non solo italiane, il cui ancoraggio è fondamentalmente il settore pubblico, con una bassa quota di skill professionali innovativi. La città presa a riferimento è Reggio Calabria. Per salvare se stessa (e pure Reggio Calabria) più che parlare di gabbie salariali, più che temere lo smart working, la Lombardia dovrebbe chiedere insomma flessibilità del lavoro per sé e meno spesa improduttiva al sud. Come ha scritto Alberto Mingardi sul Foglio, la “questione settentrionale” è nata come una questione fiscale, ed è quella la sostanza dimenticata dagli slogan della politica, “roba senza risultato”, canterebbe Jannacci.

 

Forse è l’ora di chiedersi se non sia giunto il momento di rinunciare a quel costrutto mitologico ma inservibile che in trent’anni ha fatto solo buchi nell’acqua del Po e che si chiama autonomia (ex federalismo, ex secessione). Il professor Quadrio Curzio, che ha dedicato molto impegno alla riflessione su questi temi, accetta la provocazione – premettendo di conoscere il tema più nel suo profilo civico-sociale che in quello delle recenti architetture istituzionali-politiche. Sottolinea un punto: il federalismo che serve alla Lombardia deve essere, per ragioni storiche e funzionali, “di tipo solidale e non competitivo. Deve essere cooperativo, come lo è quello tedesco. E questo innanzitutto per una ragione storica: fin dall’Unità e poi nel Dopoguerra il grande sviluppo lombardo ha molto usufruito del contributo del sud, non solo nella manodopera ma anche nelle eccellenze – basti pensare a quanti cervelli siano venuti qui. Questo non va dimenticato con atteggiamenti rivendicativi”. Vuol dire pensare a un regime di autonomia culturalmente aperto, “mentre invece l’autonomismo accentuato di cui si discute negli ultimi anni mi pare proceda diversamente, anche se la crisi del Covid ha dimostrato che ciò che non ha funzionato non è stata la mancanza di autonomia, ma al contrario la mancanza di competenze chiare da parte dello stato centrale”. Bisogna rimettere mano, secondo il professore, all’impianto nato con la riforma del Titolo V del rapporto stato-regioni. Che ha generato una enormità di contenziosi. “Bisogna partire dalla riscrittura delle competenze”. La Sanità, certo. Ma Quadrio Curzio sottolinea anche “la questione delle competenze sulle grandi reti infrastrutturali che hanno il compito di tenerci legati all’Europa. L’autorità dello stato deve essere chiara e prevalente”.

 

Anche perché la strada politica è bloccata, dopo venticinque anni di bossismo. Uno studio dell’Istituto Cattaneo, che ipotizza scenari in caso di vittoria del Sì al referendum sul taglio dei parlamentari e modifica della legge elettorale, dimostra che la Lega mantiene forza al nord. Ma il suo rivale “populista” M5s è partito di riferimento del sud. E anche gli alleati-rivali di Fratelli d’Italia sono partito radicato al centrosud, come lo è ormai anche Forza Italia. L’unico partito che mantiene una diffusione territoriale omogenea è il Pd, con eventuale rafforzo dei partiti di Renzi e Calenda. Ma per la sinistra, come si sa, il nord resta una terra ostile. Insistere sulla classica contrapposizione nord-sud è scontrasi con un muro di gomma. Anche Carlo Bonomi, battagliero neo presidente di Confindustria, si sta forse accorgendo di quanto resistente sia questo muro, in una stagione in cui le scelte strategiche passano tutte da Roma. Attilio Fontana, provando la sua personale ripartenza settembrina, ha dichiarato: “Hanno attaccato la Lombardia perché è una regione ricca e che non è mai stata di sinistra e tanto meno grillina, questo grazie al suo spirito laborioso e produttivo lontano da ogni forma di assistenzialismo”. C’è una parte di vero, non fosse che il raffronto tra la gestione Covid del Veneto leghista e quella della Lombardia leghista è impietoso. Non è più il tempo.

 

Salvarsi ritrovando un’identità, e una classe dirigente, prima di tutto. Quadrio Curzio ci ricorda che la forza e la coesione lombarda abbiano radici antiche, nel Settecento illuminista di Verri e di Beccaria, che non a caso aveva messo la sua intelligenza al servizio dell’amministrazione della città. E prima ancora, all’origine di questa essenza lombarda, lui preferisce chiamarla “ambrosianità”, c’è appunto il Dna impresso dal santo che fu insieme “magistrato romano e vescovo cristiano”. E’ su questi mattoni che si è costruita la Lombardia del Novecento, spiega l’economista: su un positivo “prevalere della tecno-scienza che ha fatto da motore dello sviluppo economico-produttivo”. Il Politecnico nacque come una scuola tecnica ingegneristica, ma molto attenta all’economia e influente nel dirigere lo sviluppo di quel “reticolo di città” che è la Lombardia. Lo stesso accade all’Università “commerciale” Bocconi. Questo è ancora uno dei tratti distintivi del sistema: il grande potenziale di sapere delle sue università è anche la fucina possibile di una nuova classe dirigente. Salvarsi da se stessi, sì. E da una rinuncia un po’ brontolona e narcisista a contare a livello nazionale. Sarà una nuova èra di meno sbarlusc, ma di più concretezza.

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