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editoriali

La pubblicità della Nike e la diversity

<p>La task force interna fa la morale al management dell&rsquo;azienda</p>

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In questi giorni la Nike ha prodotto una nuova pubblicità, “You can’t stop us”, 90 secondi, 70 clip con gli atleti sponsorizzati dalla compagnia, un tributo alla perseveranza e all’unità. Il 2020 è stato finora (ma non ci sono molti segnali che possa esserci un miglioramento) un anno terribile per lo sport a causa della pandemia, ma la pubblicità è anche un messaggio sulla diversity e sulle proteste di Black Lives Matters (Blm).

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Una delle voci narranti è quella della calciatrice Megan Rapinoe, che è diventata un simbolo per la difesa dei diritti, e che dice: “Sappiamo che le cose non andranno sempre nella direzione che vorremmo, ma comunque sia, troveremo un modo. E quando le cose non sono giuste, ci uniremo per un cambiamento”. La Rapinoe assieme al giocatore di basket LeBron James dice anche: “Abbiamo la responsabilità di rendere il mondo un posto migliore in cui vivere”.

 

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Il filmato è molto bello, c’è chi lo definisce il più significativo mai fatto di recente: se non siete tra quelli che hanno contribuito ai 40 milioni di visualizzazioni online, guardatelo perché merita.

 

Ieri però il Financial Times riportava alcune voci interne – confermate anche da altri media – che sostengono che questa postura pubblica della Nike, molto politicizzata e molto sensibile al tema della diversity, non corrisponda a un atteggiamento applicato internamente, dove le discriminazioni continuano a esserci. Il gruppo di dipendenti che ha fatto presente questa ipocrisia fa parte di una task force creata dall’ufficio marketing della Nike per controllare il rispetto della diversity. Il management dell’azienda ha fatto sapere di volersi impegnare in questa battaglia, ma nonostante le promesse, molti dipendenti non sono ancora soddisfatti. Alcuni temono che questa insoddisfazione non possa mai essere curata. Karen Parkin, capo del personale di Adidas, si è dimessa a giugno perché è circolato un suo commento sulla mancata reattività dell’azienda alle proteste di Blm. La Parkin avrebbe definito la discussione sul razzismo “noise”, un frastuono, un disturbo.

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