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Paura di parlare

Come si arriva al punto in cui “non vale più la pena” avere un’idea controcorrente?

Paola Peduzzi

“I guardiani della libertà di espressione sono diventati i garanti del conformismo”. Yoffe e Mounk contro la cancel culture

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Viviamo in un’epoca di timore personale e di spietatezza collettiva, scrive Emily Yoffe su Persuasion, un’epoca in cui “i guardiani della libertà di espressione sono diventati i garanti del conformismo”, tanto che si può essere pieni di timori sulle proprie convinzioni ma senza paura nel condannare quelle degli altri, attenti a ogni parola che utilizziamo ma pronti “ad abbandonarci” agli attacchi contro altri. Emily Yoffe ha lavorato per molti anni a Slate – “Dear Prudence”, la rubrica dei consigli d’amore e di moltissimo altro, era lei – e ora è all’Atlantic dove lavora anche Yascha Mounk, fondatore di Persuasion, una rivista-comunità-centro studi creata per “difendere le società libere e il libero pensiero da tutti i loro nemici”.

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Viviamo in un’epoca di timore personale e di spietatezza collettiva, scrive Emily Yoffe su Persuasion, un’epoca in cui “i guardiani della libertà di espressione sono diventati i garanti del conformismo”, tanto che si può essere pieni di timori sulle proprie convinzioni ma senza paura nel condannare quelle degli altri, attenti a ogni parola che utilizziamo ma pronti “ad abbandonarci” agli attacchi contro altri. Emily Yoffe ha lavorato per molti anni a Slate – “Dear Prudence”, la rubrica dei consigli d’amore e di moltissimo altro, era lei – e ora è all’Atlantic dove lavora anche Yascha Mounk, fondatore di Persuasion, una rivista-comunità-centro studi creata per “difendere le società libere e il libero pensiero da tutti i loro nemici”.

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Yoffe e Mounk sono tra i firmatari della lettera di Harper’s contro la cancel culture: anzi, Mounk è accusato di essere “ossessionato” dalla cancel culture. La Yoffe dice che anche quella di negare la cancel culture è un’ossessione e propone una “tassonomia della paura”, un’indagine sull’autocensura personale e la brutalità collettiva. Inizia con i pericoli del “safetysm”, la visione che “equipara il disagio emotivo al pericolo fisico”. E’ quel che accade nei campus, e che ora accade anche altrove (al New York Times per esempio): le idee controverse diventano una minaccia fisica. La Yoffe sintetizza così questo primo cortocircuito: un docente di Harvard trova difficoltà a tenere lezioni sulla legislazione che riguarda lo stupro perché gli studenti trovano la materia inquietante, quando fu una grande vittoria del femminismo quella di avere delle leggi sugli stupri e degli avvocati che le studiassero e le conoscessero e le usassero per difendere le donne.

  

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Il secondo punto della tassonomia è “la contaminazione per associazione”: se io sono collega di uno che ha idee controcorrente, per dire, sono meno al sicuro pure io. E’ il motivo per cui tra gli stessi firmatari della lettera ad Harper’s sono scoppiate delle guerricciole: se tu hai firmato, io mi tolgo, non voglio essere associato a te. E’ il motivo per cui il direttore del New Yorker decise nel 2016 di non intervistare il “mostro” Steve Bannon: lui era convinto che un’intervista rigorosa sarebbe stata utile al dibattito, ma i suoi colleghi non volevano essere associati a chi decideva di dare voce al mostro, e hanno avuto la meglio. Il terzo punto è “l’irrilevanza dell’intenzione” e l’esempio è questo: Libby Schaaf, sindaco di Oakland in California, ha detto che erano state trovate delle corde appese a un albero, ha aperto un’inchiesta per reato d’odio e ha detto che sarebbe andata fino in fondo perché non importano le ragioni di chi ha messo le corde, “nel sacro spazio pubblico di Oakland le intenzioni non contano”. Si è scoperto che le corde non servivano per impiccare qualcuno o evocare linciaggi, servivano per fare esercizi e far divertire ragazzini sugli alberi, un parco avventura improvvisato, ma la Schaaf ha detto che lo scopo di quelle corde appese “non rimuove né giustifica l’effetto terrorizzante che richiama la tortura”. L’ultimo punto della tassonomia ritorna a chi “nel mondo della sinistra” nega la cancel culture e sostiene che “non ci sono licenziamenti di massa, soltanto alcune persone, che forse se lo meritano, hanno perso il lavoro”. Ma, insiste la Yoffe, il punto è la paura di essere licenziati o estromessi o isolati, e quanta paura sai sopportare prima di conformarti. Ricordate quel grande libro, “Leggere Lolita a Teheran”, dove si scambiavano le pagine fotocopiate dei romanzi proibiti? Oggi un professore americano dice che non parla più di Lolita agli studenti, troppe controversie, troppe polemiche, “non ne vale la pena”.

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