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Il senso perduto delle guerre culturali

Giuliano Ferrara

Aborto, islam politico, bioingegneria: c’erano delle ragioni. Ma per non avere nemmeno accettato il conflitto, ora tocca combattere guerre bigotte, anticorrettiste, inautentiche. E non stupitevi del flip-flop di Trump

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Le guerre culturali avevano un senso. Quando dicevamo che le donne non sono responsabili degli aborti massificati e non devono essere punite, ma l’aborto è diventato un mostruoso campionario di senso comune, moralmente sordo al problema oggettivo che contiene, e quando aggiungevamo che non si può essere per il “diritto” di aborto e majorette della moratoria contro la pena di morte (Emma Bonino), dicevamo una cosa convergente con le istanze pro vita ma diversa dall’assolutismo pro life (che a sua volta spesso si contraddice con la pena di morte). Era una posizione estrema ma ragionata (per la quale abbiamo pagato un alto prezzo, anche quantificabile, che nessun liberal della mutua si sognerebbe mai di pagare). Quando dicevamo che l’islam politico genera terrorismo e solo una risposta di rigorosa controffensiva nel medio oriente e nel mondo può arginare e sconfiggere il basamento antioccidentale di questa ideologia politica suffragata da un credo religioso antiebraico e anticristiano, di nuovo era una posizione forte ma ragionata. Quando dicevamo che l’omofobia non ha alcuna giustificazione ma il matrimonio e l’omoparentalità sono, per quanto espressioni di amore autentico, un attacco alla famiglia tradizionale e una devastante ipoteca su una cellula di riproduzione dell’equilibrio sociale, ancora era una posizione discutibile, incompresa, intesa come retriva e conservatrice, e superata dai fatti, ma ragionata. Quando dicevamo che la bioingegneria non può essere eticamente neutrale, che non tutto quello che si può tecnicamente fare di un embrione è lecito, solita insurrezione a nome dell’amore e del diritto di aver figli e come li si desidera, e scatenamento della campagna per il relativismo cristiano (Carlo Maria Martini vs Benedetto XVI), tuttavia era una posizione ragionata, con delle basi, sensata come programma di conflitto culturale nel XXI secolo.

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Le guerre culturali avevano un senso. Quando dicevamo che le donne non sono responsabili degli aborti massificati e non devono essere punite, ma l’aborto è diventato un mostruoso campionario di senso comune, moralmente sordo al problema oggettivo che contiene, e quando aggiungevamo che non si può essere per il “diritto” di aborto e majorette della moratoria contro la pena di morte (Emma Bonino), dicevamo una cosa convergente con le istanze pro vita ma diversa dall’assolutismo pro life (che a sua volta spesso si contraddice con la pena di morte). Era una posizione estrema ma ragionata (per la quale abbiamo pagato un alto prezzo, anche quantificabile, che nessun liberal della mutua si sognerebbe mai di pagare). Quando dicevamo che l’islam politico genera terrorismo e solo una risposta di rigorosa controffensiva nel medio oriente e nel mondo può arginare e sconfiggere il basamento antioccidentale di questa ideologia politica suffragata da un credo religioso antiebraico e anticristiano, di nuovo era una posizione forte ma ragionata. Quando dicevamo che l’omofobia non ha alcuna giustificazione ma il matrimonio e l’omoparentalità sono, per quanto espressioni di amore autentico, un attacco alla famiglia tradizionale e una devastante ipoteca su una cellula di riproduzione dell’equilibrio sociale, ancora era una posizione discutibile, incompresa, intesa come retriva e conservatrice, e superata dai fatti, ma ragionata. Quando dicevamo che la bioingegneria non può essere eticamente neutrale, che non tutto quello che si può tecnicamente fare di un embrione è lecito, solita insurrezione a nome dell’amore e del diritto di aver figli e come li si desidera, e scatenamento della campagna per il relativismo cristiano (Carlo Maria Martini vs Benedetto XVI), tuttavia era una posizione ragionata, con delle basi, sensata come programma di conflitto culturale nel XXI secolo.

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Brett Stephens si lamenta nel New York Times per la situazione orwelliana dell’America e dell’occidente contemporanei, dove il correttismo politico e culturale e sociale e storico nega la libertà di parola e rivendica i safe space, cioè zone liberate con radicalità e violenza dal diritto di pensarla diversamente dal mainstream; sullo stesso giornale David Brooks, parlando del disastro di Trump, del Covid eternizzantesi in molti stati americani, e della penosa situazione di individualismo divisivo che nega lo spirito di nazione e l’eccezionalismo americano, si domanda il 4 luglio (Independence Day) come si farà a risalire la china della grande umiliazione nazionale, oltre la stessa auspicabile cacciata dell’Arancione.

     

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Mia tesi. Per non avere nemmeno accettato di ingaggiare il conflitto su quei temi, di incorporarlo culturalmente correggendo quel che forse c’era da correggere, distinguendo, e tenendo conto che non si sbaglia mai da soli e per sé stessi soltanto, che cultura e spirito nazionale, religione e politica, sono entità separate ma correlative, per non aver accettato le guerre culturali sensate adesso tocca combattere quelle bigotte, finto-devozionali, anticorrettiste decisamente insensate, inautentiche, brandite da personaggetti e leader che non credono a una parola di quello che dicono. Se fai dell’Iraq e dell’Afghanistan manipolatori interventi di predominio, dopo l’11 settembre 2001, non ti puoi stupire delle conseguenze di una autodelegittimazione, dalla Siria ai campus degli Stati Uniti. Se Bush e Rumsfeld e Cheney sono dei criminali, e i neoconservatori una cricca di imbroglioni, non ti puoi stupire delle guerre culturali flip-flop di Trump, degli inganni bassamente strumentali della sua ragion politica personale, televisiva, narcisistica e prepotente. Se lasci che passi l’ondata correttista, e lasci schiacciare la contraddizione divinizzando un papa come Bergoglio che l’accetta e la fa sua, a parte i meriti del supergesuita (ci sono anche quelli), non ti puoi stupire se il nuovo canone della libertà di parola è la sua negazione per chi pensa diversamente dalla media. A me tutto questo sembra molto semplice.

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