PUBBLICITÁ

Il problema di una società che contrabbanda i desideri come se fossero diritti

Sergio Belardinelli

Genitori in un mondo che i figli non li vuole, o li pretende

PUBBLICITÁ

Ieri essere genitori rappresentava l’esito naturale di un percorso di vita che iniziava con l’indipendenza economica, passava attraverso il matrimonio e arrivava ai figli. Ma oggi non è più così. Da un lato la genitorialità è diventata una scelta, una sfida, un compito rispetto al quale molto spesso non ci si sente all’altezza; dall’altro, grazie soprattutto ai progressi delle tecnologie della riproduzione, essa viene considerata come un “diritto” che l’individuo può rivendicare come e quando vuole. Nel primo caso, la consapevolezza della responsabilità che la nascita di un figlio comporta induce a rinunciarvi. Non abbiamo un lavoro adeguato, non abbiamo una casa adeguata, non abbiamo tempo, non possiamo garantire la necessaria stabilità economica e affettiva: meglio rinunciare. Verrebbe da dire, senza figli per responsabilità. Nel secondo caso, l’importanza che si attribuisce al figlio è tale che ci si sente autorizzati a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di averlo. In entrambi i casi, il mettere o il non mettere al mondo un figlio si configura sempre di più come una faccenda, diciamo così, di scelta individuale.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Ieri essere genitori rappresentava l’esito naturale di un percorso di vita che iniziava con l’indipendenza economica, passava attraverso il matrimonio e arrivava ai figli. Ma oggi non è più così. Da un lato la genitorialità è diventata una scelta, una sfida, un compito rispetto al quale molto spesso non ci si sente all’altezza; dall’altro, grazie soprattutto ai progressi delle tecnologie della riproduzione, essa viene considerata come un “diritto” che l’individuo può rivendicare come e quando vuole. Nel primo caso, la consapevolezza della responsabilità che la nascita di un figlio comporta induce a rinunciarvi. Non abbiamo un lavoro adeguato, non abbiamo una casa adeguata, non abbiamo tempo, non possiamo garantire la necessaria stabilità economica e affettiva: meglio rinunciare. Verrebbe da dire, senza figli per responsabilità. Nel secondo caso, l’importanza che si attribuisce al figlio è tale che ci si sente autorizzati a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di averlo. In entrambi i casi, il mettere o il non mettere al mondo un figlio si configura sempre di più come una faccenda, diciamo così, di scelta individuale.

PUBBLICITÁ

 

Tuttavia molte ricerche condotte in questi anni sulla genitorialità mostrano con evidenza un serio problema: più la procreazione si fa individuale e più sembra crescere il peso emozionale e sociale che essa comporta in termini di relazioni con il partner, con l’esterno e soprattutto con i figli. Come ha sottolineato Francis Fukuyama in un libro pubblicato circa vent’anni fa (L’uomo oltre l’uomo. Le conseguenze della rivoluzione biotecnologia), “la comunanza di interessi tra genitori e figli, considerata una conseguenza automatica dei metodi naturali di riproduzione, con la diffusione dei metodi riproduttivi artificiali potrebbe non esserlo più”. Chi può assicurarci infatti che un nascituro accetterà di essere il figlio biologico di un padre sconosciuto? Chi può sapere quanto peserà su quel nascituro il desiderio di conoscere il suo genitore biologico?

 

PUBBLICITÁ

Qualcuno potrebbe obiettare invero che nemmeno con i figli naturali possiamo essere certi che essi accetteranno le scelte fatte in loro vece dai genitori. Del resto conosciamo bene gli innumerevoli conflitti che si aprono su questo fronte a proposito dei valori, dell’educazione, degli stili di vita, che i genitori impongono ai figli, senza che questi possano dire la loro. Ciò nonostante, però, sentiamo che si tratta di conflitti “naturali”, rispetto ai quali i figli potranno pur sempre far valere la loro libertà, compiendo scelte diverse da quelle dei loro genitori. Al limite, anche di fronte a un figlio “naturale”, che ci chiede perché lo abbiamo messo al mondo e magari ci rimprovera per averlo fatto nascere, possiamo pur sempre rispondere: perché sì, perché amavo tua madre (o tuo padre). Punto. Con un figlio che non è nostro figlio “biologico” dovemmo invece spiegare che abbiamo deciso di farlo nascere soprattutto per soddisfare i nostri bisogni di paternità o di maternità. E non è la stessa cosa; anzi, i genitori potrebbero essere addirittura imputabili per aver fatto nascere i loro figli.

 

Più si va avanti nella “artificialità” della procreazione e più viene intaccata insomma quella “comunanza di interessi tra genitori e figli”, di cui parla Fukuyama; una comunanza che, almeno fino ad oggi, la nostra cultura ha sempre dato per scontata e la cui forza, per motivi che qui sarebbe troppo lungo esplicitare, sta in gran parte nella sua casualità naturale.

 

Fecondazione omologa, fecondazione eterologa, clonazione rappresentano da questo punto di vista tre diversi modi di incrinare, in misura crescente dal primo al terzo, tale preziosa casualità, diciamo pure, la gratuità del venire al mondo: una dimensione di cui la società, la nostra società in particolare, ha estremamente bisogno per diversi motivi. Anzitutto perché, come ha mostrato in modo impareggiabile Hannah Arendt, è precisamente questa casualità naturale, la “novità” del nostro essere venuti al mondo, la nascita unica e irripetibile di ciascuno di noi, a costituire l’immagine e la condizione della nostra libertà in quanto capacità di incominciare qualcosa di nuovo, qualcosa che diversamente non incomincerebbe mai. In secondo luogo perché questa casualità ci ricorda come la nascita di un figlio non sia mai una questione privata, dipendente soltanto da me, quanto piuttosto l’irruzione di una novità gratuita e imprevedibile, capace di scompaginare, rinnovandole, un po’ tutte le relazioni individuali, familiari e sociali. E’ sulla base di questa gratuità che si svolgono non soltanto i principali rapporti sociali primari, come l’affetto, l’amore o l’amicizia, ma anche certi rapporti non contrattuali, legati ad esempio allo slancio ideale e disinteressato di coloro che, a vario titolo, fanno il proprio dovere al servizio del prossimo, senza i quali non è nemmeno possibile immaginare una comunità umana degna del nome. Invece, non essendo più in primo luogo un “dono”, gratuito come sono tutti i doni, ma il risultato di una programmazione, anche sul figlio finiscono inevitabilmente per scaricarsi tutti quegli effetti ansiosi che scaturiscono da una cultura che, esasperando la scelta individuale, rende proprio per questo più insopportabile il peso dell’imponderabile che continua a gravare sulle nostre vite

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Da questo stato di cose scaturisce un esito paradossale: da un lato nascono sempre meno figli, poiché, come ho già accennato, fatti certi calcoli, si decide di non metterli al mondo; dall’altro, il desiderio di avere un bambino si fa sempre più ardente, al punto che i figli stanno diventando una sorta di status symbol da rivendicare come un diritto. Entrambe queste conseguenze sono socialmente assai preoccupanti. In primo luogo perché una società dove non nascono più bambini è una società che ha perduto fiducia e speranza nel futuro; in secondo luogo perché una società che contrabbanda i desideri come se fossero diritti è una società che alla lunga finirà per distruggere proprio il diritto. E questo mi pare che il nostro Stato di diritto liberale e democratico non possa permetterselo.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ