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Qualcosa non torna nelle inchieste di Ronan faccia d’angelo

Michele Masneri

Con un articolo su Weinstein ha scatenato la caccia allo zozzone. Una storia troppo bella per essere vera, scrive adesso il New York Times

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Perché rovinare una bella faccia (da Frank Sinatra) con la verità? Ronan Farrow, il grande accusatore degli zozzoni, l’epuratore dalla faccia d’angelo, il giovane premio Pulitzer che dal cuore incestuoso di Central Park ha portato la purificazione morale a Hollywood e poi all’America e poi al mondo, potrebbe essere una sòla. A rivelare la scottante verità non è qualche lurido foglio conservatore o un sito russòfilo bensì il New York Times, in un lungo pezzo molto documentato che causerà terremoti alle coscienze liberal spiegando che, insomma, l’angelico figlio di Mia Farrow e (forse) di Woody Allen, colui che ha fatto andare in galera il gran predatore Harvey Weinstein, vincendo un Pulitzer, potrebbe non essere cristallino come il ruolo di grande inquisitore richiederebbe.

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Perché rovinare una bella faccia (da Frank Sinatra) con la verità? Ronan Farrow, il grande accusatore degli zozzoni, l’epuratore dalla faccia d’angelo, il giovane premio Pulitzer che dal cuore incestuoso di Central Park ha portato la purificazione morale a Hollywood e poi all’America e poi al mondo, potrebbe essere una sòla. A rivelare la scottante verità non è qualche lurido foglio conservatore o un sito russòfilo bensì il New York Times, in un lungo pezzo molto documentato che causerà terremoti alle coscienze liberal spiegando che, insomma, l’angelico figlio di Mia Farrow e (forse) di Woody Allen, colui che ha fatto andare in galera il gran predatore Harvey Weinstein, vincendo un Pulitzer, potrebbe non essere cristallino come il ruolo di grande inquisitore richiederebbe.

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Ben Smith, l’autore dell’articolo, demolisce abbastanza le inchieste di Farrow; soprattutto quelle centrali sul caso Weinstein che hanno portato al librone “Catch and Kill: Lies, Spies, and a Conspiracy to Protect Predators”, in Italiano per Solferino “Predatori. Da Hollywood a Washington il complotto per ridurre al silenzio le vittime di abusi”, bestsellerone dell’anno scorso del trentaduenne reporter. Una narrazione irresistibilmente cinematografica, scrive Smith, con qualche crepa e tante semplificazioni: ci sono i buoni, e ci sono i cattivi, nessuna zona grigia in mezzo. 

 

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Non che sia un falsario, per carità, scrive Smith; “il suo lavoro, tuttavia, rivela la debolezza di un tipo di giornalismo militante che prospera nell’èra Trump: quello per cui se nuoti abilmente nella marea dei social media e produci resoconti dannosi su personaggi sgraditi, le vecchie regole giornalistiche della prova e della dimostrazione rigorosa dei fatti possono essere considerate più come impedimenti che imperativi essenziali”. Insomma narrazioni facilitate per lettori-babbei pronti a indignarsi, senza disturbarsi ad andare un po’ in profondità.

 

L’articolo vale anche come riflessione su cosa è lo stardom e cos’è l’informazione oggi. Ragazzo prodigio, Farrow si è laureato in Filosofia a quindici anni, poi in Legge, poi ha fatto un dottorato a Oxford, ha lavorato all’Unicef, all’età in cui di solito si fanno i lavoretti estivi lui era “consulente speciale per gli affari umanitari in relazione con l’Afghanistan e il Pakistan”, nominato da Obama, poi consulente speciale per la gioventù di Hillary. Poi ha abbandonato la politica e si è buttato sul giornalismo: nel 2017 ha imbroccato il filone del Metoo, anzi più che imbroccato l’ha creato: con il primo articolo su Harvey Weinstein ha scatenato la caccia allo zozzone, che gli è valsa onori e gloria. Adesso con quella bocca (da Sinatra) può fare ciò che vuole, mentre passa da una foto con mammà a una con Whoopy Goldberg, Met Gala e Late Show, passeggiate con labrador e il fidanzato speechwriter di Obama: però ha sempre quello sguardo e una luce negli occhi che ricorda mammà in “Rosemary’s Baby”, quando lei partoriva un piccolo diavolo.

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Ci vorrebbe insomma la penna di un Philip Roth per narrare il personaggio – Roth il grande amico di mammà, e qui si è sempre sospettato che lo scrittore del New Jersey la frequentasse soprattutto per economia, come portatrice (mal)sana di nevrosi le più varie, tutte concentrate in una sola umana (ma qui, pur essendo convinti femministi, e convinti ancor di più che palpeggiamenti e violenze vadano perseguite, si è partigiani di Allen, disclaimer).

 

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Ronan Farrow è comunque una storia davvero troppo bella per essere vera (questo il titolo del pezzo del Times). O brutta: lui non cessa di accusare il padre ancor oggi dopo assoluzioni d’ogni ordine e grado; la madre delicatamente insinua che il padre sia invece Sinatra (cui corrisponderebbero gli occhioni celesti). Poi fa finire al gabbio non solo Weinstein, ma anche il procuratore generale di New York, Eric Schneiderman, e l’anchorman Matt Lauer, in una smania purificatrice cui sarebbe facile applicare la psicanalisi da bar. Nel frattempo, il padre bio o non bio, Woody Allen, mostrificato e spogliato dei suoi diritti, anche d’autore, annaspa: con un tweet, è proprio Ronan Farrow qualche mese fa a bloccare la pubblicazione in America della autobiografia alleniana, “A proposito di niente” (in Italia per la Nave di Teseo). E’ un libro feroce e definitivo, di chi non ha più nulla da dimostrare o da perdere, neanche stoccate a Farrow medesimo, che sarebbe stato non solo plagiato dalla madre amorevole ma anche fatto a pezzi, come in un film di papà, con un delicato intervento chirurgico di allungamento. “Le dissi che mi sembrava assurdo far soffrire qualcuno in questo modo per motivi estetici”, scrive Allen. “Lei si limitò a rispondere: ‘Bisogna essere alti per fare carriera in politica’. Per Ronan, ovviamente, fu un calvario, dato che gli dovettero spezzare le ossa delle gambe per poi ricostruirle”.

 

“A Ronan sta bene che le donne dicano la verità, basta che sia la verità approvata dalla mamma”, scrive ancora Allen. Ma l’allungato e offeso Farrow è comunque l’uomo dell’anno, anzi del secolo. Almeno fino al pezzo di Smith, che è abbastanza una bomba, venendo dal Times, concorrente tra l’altro del New Yorker nello scoprire il filone molestatorio (e infatti hanno preso il Pulitzer insieme i due giornali). Ma il New Yorker fa quadrato attorno alla sua star. David Remnick, direttore, dice che il lavoro di Farrow è “scrupoloso, instancabile e soprattutto giusto”. “Tutto torna, ogni dubbio è risolto?”, si chiede Ken Auletta, ottantenne cronista che da anni conduceva indagini su Weinstein e che ha aiutato Farrow. “No. Però ciò che conta è che ha portato a casa il risultato”. Questo risultato però ha un costo, scrive Smith. Nello specifico, la verità, o un pezzetto di essa. Nel primo articolo contro Weinstein del 2017, la studentessa Lucia Evans accusa il produttore di averla abbordata in un club, e poi di averla costretta a un rapporto orale. La studentessa raccontò tutto agli amici, scrive Farrow, ma poi “si sentì in gran parte incapace di parlarne”. Una testimone cruciale, l’amica che era al club, in seguito ha smentito il racconto (l’accusa infatti in tribunale è caduta, e Weinstein è stato comunque accusato per altri capi di imputazione, ma il problema rimane: “Sembra che il signor Farrow stia facendo di una responsabilità di denuncia una virtù narrativa”).

 

L’altro grande cattivo che Farrow ha eliminato è Lauer, celebre anchor della Nbc, accusato di molestie e prontamente cacciato con ignominia; Apple Tv ci ha già prodotto una bella serie, “The Morning Show”, la prima che parla del Metoo in termini critici. Non che difenda gli sporcaccioni: semplicemente mostra una realtà appena un po’ più complessa di quella palatabile agli zombi: il presentatore è sì uno zozzone riprovevole, ma tutti o quasi lo sanno e ci guadagnano qualcosa; al suo fianco non ci sono solo innocenti figurette: ci sono pure signore che sfruttano la scopata dirigenziale per fare carriera (poi c’è una vittima vera, che si ammazza). La storia di “Catch and kill”, la narrazione del biondino con gli occhi di ghiaccio, è invece più facile, e anche lì una testimonianza chiave non torna. L’accusatrice di Lauer avrebbe parlato della molestia subita al suo fidanzato, ma il fidanzato in questione non è stato mai ascoltato, e adesso dice di non ricordare nulla. Insomma, siamo nel pieno del “parlarne agli amici”, sembra dire Smith, una narrazione ormai convalidata e che vediamo oggi nuovamente in voga nel caso della accusatrice di Joe Biden (l’ex assistente Tara Reade che accusa il candidato presidente di averla molestata nel 1993; anche qui, nessuna prova, solo degli amici non meglio identificati a cui ne riferì).

 

“E’ difficile provare molta simpatia per un predatore come Weinstein o versare lacrime per il licenziamento di Lauer”, scrive Smith. “E i lettori possono ignorare questi piccole dettagli, oscurati dal comprensibile desiderio di un giovane giornalista zelante di raccontare le sue storie nel modo più drammatico possibile”. “Il problema è che le inchieste di Farrow sono costruite e vendute sulla base della sua convinzione – cosa che raramente dimostra – che forze e persone potenti cospirino contro coloro che cercano di fare del bene, in particolare lo stesso Farrow”.

 

A cospirare ci sarebbero Weinstein, ovviamente, e meno ovviamente Hillary Clinton, che avrebbe fatto pure lei pressioni su Farrow – ma anche per questo bisogna fidarsi sulla parola. Chi non si fida verrà additato. Così già Rosanna Arquette, attrice molestata da Weinstein, che ha collaborato con Farrow nelle inchieste, tuittava ieri: con tutto quel che succede, c’è proprio bisogno di andar contro Ronan, “uno dei più rispettati giornalisti investigativi dei nostri tempi?”. “Qui c’è puzza di invidia!”. Forse, da parte del rampantissimo Smith, che era a capo fino a qualche tempo fa dell’internettaro BuzzFeed News, mentre adesso è responsabile del settore media presso il più istituzionale Times. O forse è la solita vecchia storia del più puro che ti epura.

 

Comunque, in assenza di prove convincenti, scrive Smith, “Farrow fa affidamento su ciò che si può chiamare ‘New Journalism on the sly’” – qualcosa come “new journalism di nascosto”: “Usare la tecnica romanzesca per sostenere il proprio obiettivo”. Ad esempio, “descrive le espressioni facciali dei dirigenti della Nbc e ne deduce motivi oscuri”. Insomma, alla fine siamo sempre a Lombroso: terreno massimamente scivoloso per Farrow, peraltro.

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