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Le luci spente della ribalta

Andrea Minuz

Dirette e palinsesti, camerette come studi. I vip della tv si spostano in massa sui social per ricordarci che esistono

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Grazie ai collegamenti su Skype, Zoom, Hangout, alle dirette Instagram, ai video su TikTok, conosciamo ormai libri, quadri, cucine in acciaio laminato, angoli cottura, composizioni di frutta a centro tavolo, persiane, mensole e lampade Ikea delle case di vip, politici, giornalisti. Di alcune (quella di Tajani, ad esempio) potremmo all’occorrenza disegnare la piantina a occhi chiusi, ricostruendo tutti i suoi spostamenti nei collegamenti al Tg2. E’ anche chiaro che Salvini non ha più uno studio dove poter lavorare e si è probabilmente trasferito armi e bagagli nella cameretta del figlio. Ospite nell’ultima puntata di “Non è l’Arena”, incorniciato tra due grandi classici, la biografia di Marco Van Basten e “Putinfobia” di Giulietto Chiesa, si notavano soprattutto orsacchiotti di peluche, trattorini, pezzi del Lego, un alpino-soldatino di plastica, persino una fedele riproduzione della “merda d’artista” di Piero Manzoni (“pastiche” situazionista e politicamente disperato che parla a un nuovo target elettorale avvolto in una nebulosa ideologica dai contorni ancora vaghi).

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Grazie ai collegamenti su Skype, Zoom, Hangout, alle dirette Instagram, ai video su TikTok, conosciamo ormai libri, quadri, cucine in acciaio laminato, angoli cottura, composizioni di frutta a centro tavolo, persiane, mensole e lampade Ikea delle case di vip, politici, giornalisti. Di alcune (quella di Tajani, ad esempio) potremmo all’occorrenza disegnare la piantina a occhi chiusi, ricostruendo tutti i suoi spostamenti nei collegamenti al Tg2. E’ anche chiaro che Salvini non ha più uno studio dove poter lavorare e si è probabilmente trasferito armi e bagagli nella cameretta del figlio. Ospite nell’ultima puntata di “Non è l’Arena”, incorniciato tra due grandi classici, la biografia di Marco Van Basten e “Putinfobia” di Giulietto Chiesa, si notavano soprattutto orsacchiotti di peluche, trattorini, pezzi del Lego, un alpino-soldatino di plastica, persino una fedele riproduzione della “merda d’artista” di Piero Manzoni (“pastiche” situazionista e politicamente disperato che parla a un nuovo target elettorale avvolto in una nebulosa ideologica dai contorni ancora vaghi).

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Ma abbiamo anche scoperto che Quentin Tarantino vive nella peggiore delle case di nostra nonna, tra mobili di noce massello, ninnoli di ceramica, lampadari orrendi, e una cucina che sembra uscita dai resti di magazzino di una grande asta di Aiazzone, a conferma che il suo amore per il vecchio cinema italiano di serie B o Z non si ferma alle citazioni, ma diventa casomai installazione permanente.

 

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Carlo Petrini di Slow Food è circondato da infinite, ipnotiche ed enigmatiche riproduzioni di pappagallini; Fuksas predilige il collegamento con gigantesco muro concettuale alle spalle, tipo Biennale anni Settanta, una triste, pallida parete scrostata, pardon, “solcata dalle faglie del tempo e della memoria”. Si è intravisto Recalcati davanti a un crostone multicolore à la Rohtko, ma in versione televendita del caro vecchio Guzzanti di “Teleproboscite”, e Andrea Bocelli, poverino, sarà stato fregato dal suo arredatore che come primo lavoro probabilmente cura le scenografie e le liste di nozze dei matrimoni dei cantanti neomelodici. Abbiamo scoperto che Renzi mette i libri in verticale (ma non avevamo dubbi), che Giorgia Meloni tiene in salone quadri probabilmente ispirarti alle graphic novel di “Altaforte” e che Massimo Giannini ostenta il bianco Einaudi o le variazioni cromatiche del pantone Adelphi neanche fosse una studentessa di filosofia che si fa un selfie scollacciato in cameretta. Ma coi politici e i giornalisti eravamo infondo un po’ abituati. Ed è anche assai facile notare come la casa corrisponda più o meno fedelmente alla campagna elettorale o all’editoriale sul giornale. Per i vip televisivi, per le celebrities, per chi vive in funzione dell’applauso del pubblico e dello share, il momento è invece molto delicato.

 

Da Naomi Campbell che si insapona le mani e sfida Cindy Crawford a lavarsele meglio, a Madonna che canta nel cesso di casa

Dai video di Naomi Campbell che si insapona le mani e sfida Cindy Crawford a lavarsele meglio, a Madonna che canta nel cesso di casa sua (cesso dorato, per carità, ma sempre cesso), a Barbara D’Urso che passa su e giù lo strofinaccio in cucina ballando, esce fuori un horror vacui allo stesso tempo vecchissimo e inedito. C’è da un lato la più classica delle paure delle celebrities di ogni epoca: perdere l’affetto, il calore del pubblico, c’è il terrore di essere dimenticati. Ma dall’altro c’è lo sgomento per un fenomeno inedito, l’angoscia di un passaggio epocale in cui non è affatto chiaro se e quando si torneranno a fare concerti, film, entertainment, red carpet, sfilate, e se e come tutto questo dovrà trasformarsi in modo radicale.

 

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E’ la sindrome “Norma Desmond” in “Viale del tramonto”, l’archetipo di tutte le star travolte dall’arrivo di una nuova era che fa a meno di loro. Nelle dirette Instragram o nei balletti su TikTok dei vip che inseguono una seconda golden-age nel mondo dopo la pandemia c’è la stessa atmosfera da spettri che circola nel capolavoro di Billy Wilder, dove l’arrivo del sonoro ha cancellato per sempre il ricordo delle vecchie dive del muto. Il primo problema, in effetti, è proprio quello delle case.

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Non importa quello che i vip si mettano a fare per ricordarci che esistono. Siamo comunque più interessati a sbirciare nei loro saloni, cucine, balconi, giardini e terrazzi. Vogliamo vedere i titoli dei libri sugli scaffali, capire se quel gazebo in ferro battuto o se quel set di sedie da esterni l’hanno preso da Leroy Merlin, e chi sono i tizi nelle fotografie incorniciate e che cos’è quella macchia sul soffitto. E’ il tracollo della logica su cui si regge la celebrity culture. Si riadatta qui la folgorante battuta di Dino Risi sui film di Moretti: “Spostati che voglio vedere come sta messo l’intonaco”. Viene anche in mente una scena di “Una donna in carriera”, indimenticata rom-com degli anni Ottanta con Melanie Griffith, Harrison Ford e una cattivissima Sigourney Weaver. Quando inizia la trasformazione di Melanie Griffith da timida segretaria a intraprendente donna d’affari la sua amica del cuore (quella che ha i capelli come Cindy Lauper), le consiglia di non crederci troppo e le dice: “Sai qualche volta ballo e canto in reggiseno e mutande dentro casa, ma non per questo sono Madonna, non lo sarò mai”. Trent’anni dopo, non solo può esserlo, ma è la stessa Madonna che sembra qualcuno che canta in reggiseno e mutande dentro casa imitando Madonna. Il tema appassiona.

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L’angoscia di un passaggio epocale in cui non è affatto chiaro se e quando si torneranno a fare concerti, film, entertainment, red carpet

A metà marzo il “Washington Post” parlava della pandemia come di un grande test per le celebrities. La celebrity culture è un prodotto esemplare del capitalismo e se entra in crisi uno si trascina dietro anche l’altro. Ma qui si vola sin troppo alto, e si sa che fine fanno le tesi catastrofiche sulla fine, sempre imminente, sempre rimandata al prossimo giro, del capitalismo. Quel che è sicuro è che l’economia della fama dovrà in gran parte riconvertire la sua produzione, come industrie, fabbriche, imprese che si son messe a fare mascherine o gel per le mani o ventilatori. Qui c’è arrivata subito Maria De Filippi. Se la rinnovata centralità della tv generalista, con le dirette della protezione civile, del Papa, di Conte, ci ha catapultato di nuovo nel Novecento, la versione “covid” di “Uomini e donne” sembra uscita dalla posta del cuore di “Grand Hotel”. Non si può più fare l’assembramento tra tronisti e allora nella nuova veste pandemica del programma, Gemma Galgani con la mascherina, seduta davanti a un computer, viene corteggiata in chat da “OcchiBlu”, “Pantera”, “Cuore di Poeta57” e altri formidabili cavalieri solitari che scrivono lunghe, calde, involute frasi d’amore, mentre Maria De Filippi conduce in “voice over”, insomma in smart working. Ci sono state anche furibonde polemiche sull’autocertificazione di Gemma Galgani che “ha la residenza a Torino ma va a Roma per registrare la trasmissione”. Ma nessuno ha detto nulla quando Giletti scorazzava col motorino e andava a spasso con Claudio Amendola, Veltroni, Claudia Gerini, in un remake notturno di “Caro Diario”, con tanto di musica “piovanica”.

 

Lo scenario social appare comunque assai frastagliato. Mara Venier balla su TikTok mentre prepara l’amatriciana, Patrizia Rossetti parla da sola in balcone, Fabio Volo risfodera il primo lavoro di panettiere e cavalca il boom del “lievito madre” impartendo lezioni di impasto, Alex Britti fa i tutorial di chitarra, Alessia Marcuzzi “ne approfitta per leggere”, Martina Colombari si dedica “a yoga e meditazione”, Lele Mora si butta sul filone Protezione Civile e spiega che “da mesi lavora per portare le mascherine in Italia e che arriveranno da Israele”; e poi l’house party di Jovanotti, i mini-concertoni, gli shampoo in diretta di Piero Pelù e Carmen Di Pietro, tette bene in vista e scodellata di tuorlo d’uovo sui capelli della figlia. Valeria Marini parla come Giuseppe Conte, “non c’è più spazio per polemiche inutili e conflitti sterili, vige solo una regola: tendersi la mano, aprire il cuore all’altro” (formidabile il servizio nella cover story dell’ultimo numero di “Oggi”: lei ai piedi di Trinità di Monti, in una Piazza di Spagna deserta, tacco 12, mascherina, abito lungo tricolore, poi mentre posa per il fotografo arriva una volante della polizia, sgomma, accosta, scendono e chiedono a tutti l’autocertificazione. Finisce in un mare di selfie).

 

E’ una fase di passaggio? E’ il futuro della televisione? E’ il destino delle celebrity? Chissà. Anche per gli influencer è complicata

Se i vip televisivi si spostano in massa sui social, su Instagram si replica la logica del caro, vecchio e dato più volte per morto, palinsesto televisivo. Le dirette sono annunciate, programmate, calendarizzate. Caterina Balivo asseconda l’improvvisa impennata d’amore degli italiani per libri e librerie e si reinventa conduttrice di “My Next Book”, appuntamento fisso, da lunedì al venerdì, in diretta sul suo Instagram. Lei e suo marito, Guido Maria Brera, sbracati sul divano ospitano l’autore (si sono visti Francesco Piccolo, Veltroni, Sandro Veronesi, Marta Losito). Natalia La Terza, giovane scrittrice, lancia “Decamerette”, format Instagram interamente ricalcato sul modello di un palinsesto tv che copre tutto l’arco della giornata, con approfondimenti culturali, rassegne, presentazioni di dischi, film, serie tv. E’ una fase di passaggio? E’ il futuro della televisione? E’ il destino delle celebrities? Chissà. Anche per gli influencer è complicata. Se la magia del vip televisivo e della vecchia celebrity è tutta nell’applauso live, quella degli influencer era in gran parte racchiusa nella vita scintillante e formidabile che immortalavano nelle loro stories. Come dice Michele Masneri, “il problema è che fare gli influencer ci pareva l’esperienza più digitale che ci fosse, in realtà è saltato fuori che è molto fisica e analogica. Non potendo uscire di casa, non potendo andare a scroccare in prestigiosi alberghi che hanno tutto sbarrato in attesa forse di riaprire con termoscan e paratie di plexiglas, si perde tutto il magico”.

 

La nostra Jennifer Lopez è casomai Lamberto Dini, rimasto intrappolato in Costarica con la moglie. Il paese dell’invidia sociale

C’è quindi il grande tema delle “quarantene di lusso” delle celebrities. Ma qui il vip italiano sa bene come muoversi. Consapevole di vivere in un paese fondato sull’invidia sociale e il risentimento, è attento a dove punta la camera per la diretta, non ostenta, casomai dissimula. Non sfodera il resort con piscina e sconfinati giardini e piante tropicali dove Jennifer Lopez e famiglia si dedicano al fitness (ma l’indignazione si porta ovunque: ora va forte l’hashtag #guillotine2020 con cui haters di tutto il mondo si radunano per inveire contro i ricchissimi vip e le loro belle case). La nostra Jennifer Lopez è casomai Lamberto Dini, rimasto intrappolato in Costarica con la moglie. “Ero venuto qui con mia moglie per un soggiorno breve, poi è scoppiato il coronavirus”. Dunque che fa tutto il giorno? “Vado in piscina, mi muovo, gioco a tennis, ma sono perfettamente informato su quanto avviene nel nostro paese”. Beato lui, noi che siamo qui dobbiamo ancora capire com’è fatta la fase due. Un’altra cosa certa o quasi è che i reality così come li abbiamo conosciuti non avranno più senso.

 

L’8 aprile, vale a dire dopo oltre tre mesi di reclusione, ma comunque in anticipo rispetto alla programmazione prevista, gli ultimi concorrenti rimasti del “Grande Fratello” sono usciti dalla casa per andare in quarantena a casa loro. Il primo impatto con il nuovo mondo dell’influencer pugliese, Licia Nunez, è stato traumatico: “Tutti quelli della produzione avevano la mascherina, non riconoscevo più nessuno, entrata in macchina c’era un silenzio tombale, le strade erano deserte, sembrava il set di un film di fantascienza, ho avuto un pugno allo stomaco e ho capito che tutto era cambiato”. Quella sera, in contemporanea all’ultima puntata del GF, Mediaset trasmetteva “Cast Away” (su Iris), il film con Tom Hanks naufrago nell’isola deserta dopo un catastrofico incidente aereo. Sotto l’effetto del coronavirus, con un mese e mezzo di quarantena alle spalle e sogni notturni di passeggiate nel parco e nuotate in riva mare, “Cast Away” si vedeva per la prima volta con occhi nuovi. Ecco Tom Hanks con la barba lunga da survivor in una situazione infondo invidiabile rispetto alla nostra. D’accordo, senza Glovo, senza internet, ma almeno nelle condizioni di andarsene su e giù per l’isola senza dover stampare l’autocertificazione, senza droni, posti di blocco, senza gabbiette di plexiglass in spiaggia. Potenza del coronavirus e del mondo nuovo: il GF diventa una distopia post-apocalittica, coi vip che escono da Cinecittà e non trovano nessuna forma di vita sulla Tuscolana; “Cast Away” si trasforma in una variazione del filone vacanziero. L’ultima puntata del “Grande Fratello” entrerà forse nei “libri di storia”, come ama spesso ripetere il nostro presidente del Consiglio, ma di sicuro chiude, come meglio non si poteva, un cerchio aperto venti anni fa esatti.

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