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La giocosità del grasso

Giuliano Ferrara

Soffrono bassi, storti e cornuti. Non è colpa di natura e non serve il Diritto. Si ribalti l’odio, è molto meglio Falstaff

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Certo che i grassi soffrono il giusto e l’ingiusto, ma chi non soffre? Soffrono i bassi, gli alti, i miopi, gli imbranati, gli storpi, i segaligni, i nasuti, gli snasati, i brutti, i poveri, i malati, e soffrono gli innamorati disprezzati e i cornuti, e quanto, che glielo si rinfacci con un insulto o no. Il punto non è la sofferenza, e la violenza che la genera e la codifica nella diffusa pratica dell’odio o dello spregio, il punto è se sia opportuno medicalizzare la sofferenza come una malattia sociale, trasformare le curve della genetica o la grande bouffe in “disturbo alimentare compulsivo”, e dei disturbati fare vittime. Filippo Sensi, enorme portavoce che si è rimpicciolito per il gusto di vivere una nuova sua vita, ha detto alla Camera e sui giornali cose sagge e giuste, prese una per una, e con un tono sereno, accattivante se vogliamo ma non accattone d’affetto. E’ stato corretto, non politicamente o ideologicamente corretto. Ma presa nel suo insieme, la sua orazione pro ciccia, commovente e applaudita da una platea di magri e falsi magri, può recare nocumento a chi da sempre combatte la stessa buona battaglia su altri spalti.

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Certo che i grassi soffrono il giusto e l’ingiusto, ma chi non soffre? Soffrono i bassi, gli alti, i miopi, gli imbranati, gli storpi, i segaligni, i nasuti, gli snasati, i brutti, i poveri, i malati, e soffrono gli innamorati disprezzati e i cornuti, e quanto, che glielo si rinfacci con un insulto o no. Il punto non è la sofferenza, e la violenza che la genera e la codifica nella diffusa pratica dell’odio o dello spregio, il punto è se sia opportuno medicalizzare la sofferenza come una malattia sociale, trasformare le curve della genetica o la grande bouffe in “disturbo alimentare compulsivo”, e dei disturbati fare vittime. Filippo Sensi, enorme portavoce che si è rimpicciolito per il gusto di vivere una nuova sua vita, ha detto alla Camera e sui giornali cose sagge e giuste, prese una per una, e con un tono sereno, accattivante se vogliamo ma non accattone d’affetto. E’ stato corretto, non politicamente o ideologicamente corretto. Ma presa nel suo insieme, la sua orazione pro ciccia, commovente e applaudita da una platea di magri e falsi magri, può recare nocumento a chi da sempre combatte la stessa buona battaglia su altri spalti.

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L’obesità non è una fortezza inespugnabile, popolata da orgoglio luciferino, può anche figurare come una fragilità, una dipendenza, una deformità che fa ridere, ma il “bue muto” (Tommaso d’Aquino) pesava come Sensi (una volta) e come me (ancora adesso), e se Amleto era di una magrezza esistenziale, pari “alla tinta nativa della sua risolutezza e al pallore del suo pensiero”, Falstaff nella sua ridanciana corpulenza ha reso il mondo più felice di quanto non potesse mai farlo, nella sua tristezza, il principe di Danimarca spossessato. Se la fortezza di noi grassi ha punti deboli e può essere presa d’assalto, la giocosità è più efficace delle leggi sullo hate speech nel difenderla. Se una hostess o uno steward mi porge la prolunga della cintura di sicurezza con timida discrezione, come uno scambio di sostanza proibita, e lo fa per non offendermi, io gli rispondo a voce alta che ringrazio, perché la cintura normale non arriva proprio, e gesticolo per mostrarla ai passeggeri circonvicini. Quest’estate allo stabilimento si complimentavano con me perché, sebbene dotato di un corpo tondo, nuotavo quaranta minuti di buona lena. Complimentarsi per la curiosa performance di un ciccione? La mia risposta è stata, dopo due Martini, che ora dovevo andare perché avevo le mie solite due ore di tennis, e caracollando agile mi dirigevo alla pennica lasciando gli astanti in buona forma o ilari o confusi.

 

Bisogna fare molta attenzione, e distinguere. A chi sia in apprensione, anche legittima, per lo schiacciamento abusivo della Personalità e dei suoi Diritti sotto uno strato di tessuto adiposo, va ricordato che curare gli altri e curarsi è bene, i comportamenti vanno entro un certo limite raccordati a sintomi che possono avere del patologico, ma la disciplina alimentare e l’esercizio fisico sono parte di un vasto panorama, di un equilibrio che non richiede di essere squilibrato, visto che anche senza ascesi si può eventualmente scrivere la Summa Theologiae e, come fu per l’Autore, vivere una vita vivace senza star fermi più di tre anni in un solo posto, e questo nel Medioevo. Va ricordato inoltre che le diete sono una buona cosa, up to a point, ma fanno venire fame (hanno questo inguaribile difetto negato per gola dai nutrizionisti di professione). Aggiungendo che l’umiliazione può essere un grande bene da perseguire cristianamente, tuttavia non la si deve infliggere a sé stessi per capriccio o per moda o per risentimento verso un mondo che non ti comprende e ti sottovaluta in ragione proporzionale al tuo peso.

 

Soffrire necesse est, più necessario combattere, eventualmente dimagrire, sminuirsi, ridiventare piccoli. E svirgolare o, come dicono i foucaltiani, cambiare l’ordine del discorso e rinnovare altrimenti la cura di sé. Ma non per compiacere i Dottori della legge e dei Diritti, non per offendere la libertà di parola, che è sempre un po’ odiosa, non per premiare la fabbrica della malattia e della paura della morte che produce oggidì la merce più diffusa. Se proprio si voglia una ragione per andarci piano con la grassezza, questa riguarda i cani. Ho la fortuna di avere tre bassottine bene educate e politicamente corrette, che non abbaiano agli storpi e agli immigrati asiatici o neri, e farebbero festa anche a Riccardo III, ma ho esperienza di piccoli volpini che appena vedono me o il mio corpaccio girargli d’attorno abbaiano e ringhiano come per difendersi da una cosa che non è normale. Niente leggi cinofobe, prego, ma sento che dovrei rimediare in qualche modo, perché questo sì è umiliante.

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