PUBBLICITÁ

La satira degli altri

Mattia Ferraresi

I guardiani delle fake news non tollerano l’umorismo di destra. Lo strano caso del Babylon Bee, sito web scambiato per propaganda

PUBBLICITÁ

Qualche giorno fa l’ex analista della Cia Cindy Otis, che ora si occupa di disinformazione come commentatrice, ha denunciato su Twitter l’esorbitante successo sui social di un articolo satirico: “Un post di un sito satirico che dice che il Partito democratico ha chiesto di esporre la bandiera a mezz’asta per la morte di Soleimani ha avuto più di 500 mila condivisioni. Alcuni miei famigliari mi hanno appena chiamata per segnalarmi che i loro amici repubblicani lo stanno diffondendo, credendolo un articolo serio. Abbiamo molto lavoro da fare, tutti”. La segnalazione di Otis è stata ripresa dal giornalista della Cnn Donie O’Sullivan, specializzato nella diffusione delle fake news e nella disinformazione a scopo politico, che ha aggiunto ulteriori ragioni di preoccupazione: “Per mettere le cose in prospettiva, è lo stesso numero di condivisioni che gli articoli più popolari del New York Times e della Cnn hanno avuto la scorsa settimana. Molte persone che condividono questo articolo ‘satirico’ su Facebook non sanno che è satira”. Molti commentatori nel settore sempre più nutrito dei guardiani della verità contro le fake news hanno diffuso la denuncia di O’Sullivan, preoccupati che le schiere di utenti non edotti circa il confine fra l’informazione e la presa in giro potessero davvero credere che il partito democratico avesse voluto rendere omaggio, esponendo la bandiera a mezz’asta, al generale della repubblica islamica ostile al “grande Satana” che è stato responsabile di un numero enorme di azioni violente contro le forze americane e gli alleati nella regione.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Qualche giorno fa l’ex analista della Cia Cindy Otis, che ora si occupa di disinformazione come commentatrice, ha denunciato su Twitter l’esorbitante successo sui social di un articolo satirico: “Un post di un sito satirico che dice che il Partito democratico ha chiesto di esporre la bandiera a mezz’asta per la morte di Soleimani ha avuto più di 500 mila condivisioni. Alcuni miei famigliari mi hanno appena chiamata per segnalarmi che i loro amici repubblicani lo stanno diffondendo, credendolo un articolo serio. Abbiamo molto lavoro da fare, tutti”. La segnalazione di Otis è stata ripresa dal giornalista della Cnn Donie O’Sullivan, specializzato nella diffusione delle fake news e nella disinformazione a scopo politico, che ha aggiunto ulteriori ragioni di preoccupazione: “Per mettere le cose in prospettiva, è lo stesso numero di condivisioni che gli articoli più popolari del New York Times e della Cnn hanno avuto la scorsa settimana. Molte persone che condividono questo articolo ‘satirico’ su Facebook non sanno che è satira”. Molti commentatori nel settore sempre più nutrito dei guardiani della verità contro le fake news hanno diffuso la denuncia di O’Sullivan, preoccupati che le schiere di utenti non edotti circa il confine fra l’informazione e la presa in giro potessero davvero credere che il partito democratico avesse voluto rendere omaggio, esponendo la bandiera a mezz’asta, al generale della repubblica islamica ostile al “grande Satana” che è stato responsabile di un numero enorme di azioni violente contro le forze americane e gli alleati nella regione.

PUBBLICITÁ

 

La Cnn insorge contro un titolo satirico: “I democratici chiedono di esporre la bandiera a mezz’asta per commemorare Suleimani”

L’allarmata reazione del cronista legittimamente preoccupato dalla propaganda sui social ha rinfocolato un dibattito non già sul tema generale dei limiti della satira, ma sulla particolare identità del sito che ha coniato il titolo in questione, il Babylon Bee, organizzazione satirica nata qualche anno fa. Come tutte le organizzazioni di questo genere, lo scopo di Babylon Bee è far ridere. Lo fa inventando titoli e articoli palesemente fasulli su argomenti di attualità, portando oltre i confini del paradosso elementi di cronaca e sbertucciando le contraddizioni, i cortocircuiti e i tic culturali dei protagonisti della scena politica e sociale, secondo un modello che è stato portato a livelli di comicità difficilmente replicabili da The Onion, stella polare del genere. Anche nel caso incriminato, il Babylon Bee ha giocato sull’esagerazione di un elemento vero: l’imbarazzo dei democratici di fronte all’uccisione di Soleimani, iniziativa militare che è stata plaudita dai liberal con una marea di distinguo, esitazioni e asterischi perché a ordinarlo è stato l’arcinemico Trump, che per presa di posizione ideologica sbaglia anche quando fa la cosa giusta. Il Washington Post ha definito Soleimani “il più illustre leader militare iraniano”, la candidata Elizabeth Warren ha corretto la sua iniziale definizione di “assassino” per attenersi a perifrasi più posate, da Teheran la storica inviata di Abc Martha Raddatz ha usato espressioni molto caute per definirlo, molti giornali di marca liberal, anche italiani, hanno preferito adeguarsi al linguaggio del “martirio” imposto dal regime invece che a quello del “mostro” e del “criminale di guerra” usato dalla Casa Bianca. Da questo evidente imbarazzo, portatore naturale di un’occasione comica, è nata l’idea surreale della bandiera a mezz’asta voluta dai democratici per commemorare il generale ucciso da un drone per ordine di Trump.

 

PUBBLICITÁ

Quando è nato, il Babylon Bee ha ricevuto elogi bipartisan. Lo hanno chiamato “l’Onion per timorati di Dio”. Poi le cose sono cambiate

L’obiezione di O’Sullivan e dei critici di Babylon Bee è che nel clima infestato da propalatori di fake news l’ironia può sfuggire ai più sprovveduti (o ai più ideologicamente inclini a recepire una battuta che va nella loro direzione) che sghignazzando diffondono il link come fosse una vera notizia, trasformando di fatto un articolo di satira in uno strumento di propaganda. E la nota che avverte che si tratta di contenuti comici? Quelli del mestiere, come il giornalista della Cnn, non bevono la giustificazione: “Avere un disclaimer nascosto da qualche parte nel sito che informa che si tratta di satira è un buon modo per aggirare molti dei cambiamenti che Facebook ha introdotto per ridurre la diffusione di clickbait e misinformazione”. Si tratta, insomma, di una furbata per farla franca e continuare a spacciare disinformazione travestita da comicità.

PUBBLICITÁ

 

L’inghippo in questa vicenda è che il Babylon Bee è gestito da un gruppo di cristiani conservatori, e il suo canone umoristico è tarato particolarmente su quel pubblico: s’incontrano spesso battute sulle contraddizioni dei liberal, sui luoghi comuni attorno alla culture war e in generale sul tema religioso, con forti dosi di autoironia. Giusto l’altro giorno un articolo spiegava che sempre più spesso i feti si camuffano da Yoda durante le ecografie per non essere abortiti; accanto a questo si dava conto di una conferenza stampa in cui Trump ha dichiarato di avere fatto per il cristianesimo più di chiunque altro, Gesù incluso. Il pubblico di Babylon Bee trova questo genere satirico esilarante, e una parte significativa della carica umoristica che esprime lo deve proprio al fatto che si rivolge innanzitutto a un’audience che ha riferimenti culturali comuni e si muove nel mondo secondo certe coordinate condivise. Chi appartiene a questo sistema di riferimento può capire e apprezzare meglio le battute, chi non vi appartiene è meno sensibile, talvolta non coglie affatto l’umorismo e nei casi di fraintendimento più gravi arriva a prendere le battute alla lettera, che è il modo migliore per essere offesi. Quando la presunta offesa incontra giornalisti incaricati di salvare il mondo dalla propaganda dei cattivi, il sistema va in cortocircuito. La satira diventa propaganda, va dunque o espunta a forza dalla conversazione fra persone civili o deve essere segnalata con alert grandi così perché nessuno incorra nell’ambiguità, che però si dà il caso sia esattamente ciò che rende divertente la satira. Serve una quota minima di verosimiglianza perché la battuta faccia ridere, e avvertire con il cartello “SATIRA!” ogni volta che ci si appresta a scherzare distrugge l’umorismo.

 

Resiste ancora l’obiezione che lo zelante cronista fa a proposito della bandiera a mezz’asta: la gente non capisce che è uno scherzo. Ma non è sempre stato così? Il confine fra la realtà e la parodia non è così labile che talvolta si incorre nel fraintendimento? E non è proprio la vicinanza fra la realtà e la sua rappresentazione comica il motore dell’umorismo? Il caso di scuola è quello di Sarah Palin, indimenticata governatrice dell’Alaska, candidata vicepresidente nel ticket repubblicano nel 2008 e fonte inesauribile di battute su scala planetaria. Decine di milioni di americani sono ancora convinti che Palin abbia detto che “può vedere la Russia da casa sua”, mentre invece a dirlo è stata Tina Fey al Saturday Night Live, in una delle sue rappresentazioni più memorabili. La gag motteggiava l’esibita ignoranza paliniana in materia di politica estera, difetto evidente che la comica ha sintetizzato in una battuta assurda che però l’interessata avrebbe anche potuto lasciarsi sfuggire. Era un tratto vero portato al parossismo. La convinzione che Palin abbia davvero detto quella frase si è radicata nell’immaginario collettivo, ma nessuna task force contro la disinformazione della Cnn si è mobilitata per fermare la pericolosa deriva propagandista o per denunciare l’operazione di screditamento politico. Era soltanto satira presa sul serio, come capita spesso quando la satira è efficace. I guardiani delle fake news non si sono nemmeno mobilitati contro il Daily Show di Jon Stewart, notiziario satirico che viveva dell’editing selettivo di segmenti sulla cronaca politica e per anni è stato, secondo i sondaggi più seri, il programma d’informazione più autorevole per i millennial. Il programma di informazione, non la trasmissione satirica.

 

La differenza fra quei casi e la querelle nata attorno al Babylon Bee l’ha sintetizzata David Harsany sulla rivista conservatrice National Review: “Ovviamente, il vero crimine del Babylon Bee è che prende in giro le persone sbagliate”. Il suo peccato originale è di avere modellato il suo umorismo su una certa visione del mondo.

 

I critici dicono che le battute vengono scambiate per vere notizie dai lettori sprovveduti. Ma non è questa l’essenza dell’umorismo?

Babylon Bee è stato fondato nel 2016 da Adam Ford, un padre di famiglia allora 32enne di Detroit che un tempo aveva sognato di fare il pastore nella chiesa locale, ed è stato poi fulminato sulla via della satira sul web. All’inizio le battute caustiche a sfondo religioso hanno attirato un seguito di ammiratori e suscitato il plauso dei critici di ogni parte politica. Il Washington Post è stato uno dei primi a magnificare questo “Onion per timorati di Dio” che s’avventurava con sferzante senso dell’umorismo in territori che sarebbero stati scivolosi per chiunque. Con il passare del tempo, le cose si sono fatte più complicate. Nel 2018 Ford ha venduto l’azienda a un imprenditore cristiano di nome Seth Dillon, spiegando che le continue esclusioni dalle piattaforme social stavano rendendo troppo complicato andare avanti: “Facebook ha il potere di uccidere gli editori, e lo fa, non soltanto basandosi su questioni editoriali, ma secondo la visione del mondo che viene espressa”, ha scritto. Il successivo proprietario non ha cambiato linea, e anzi ha reso se possibile le battute sui liberal ancora più sferzanti e provocatorie. Lo scorso agosto il Babylon Bee si è scontrato frontalmente con Snopes, uno degli istituti di fact-checking giornalistico più accreditati, che ha sottoposto gli articoli satirici a un minuzioso scrutinio, sostenendo che il confine fra umorismo e provocazione propagandista era così sottile da richiedere il loro intervento per spiegare al pubblico la differenza. Il casus belli era la rappresentazione satirica di un alterco a sfondo razziale effettivamente avvenuto in Georgia, ma questo ha indotto l’istituto a sottoporre molti altri articoli umoristici del sito a uno scrupoloso screening. Il fact-checking di Snopes – che aveva un accordo con Facebook, poi rescisso – ha indotto il social network di Zuckerberg a bannare dalla piattaforma molti articoli del Babylon Bee, fra cui uno in cui sosteneva che la Cnn usa gigantesche lavatrici per dare lo “spin” alle notizie. Qualcuno effettivamente avrebbe potuto scambiarla per una notizia. Facebook ha fatto ammenda per gli errori e Snopes ha modificato il rating di Babylon Bee, rubricando i suoi articoli nella sezione “satira”, circostanza accolta dal sito con un titolo che è diventato immediatamente il più letto nella storia del sito: “Snopes pre-approva tutte le dichiarazioni fatte durante il dibattito democratico di questa sera”.

 

Milioni di americani sono certi che Palin abbia detto che “può vedere la Russia da casa sua”. Nessuna task force anti propaganda s’è mobilitata

Il ritorno della polemica con la Cnn mostra che la questione è tutt’altro che risolta. O’Sullivan sostiene una variazione dell’argomento che qualche mese fa è stato esibito da Snopes: il lato umoristico degli articoli non è immediatamente evidente, e questo basta a sollevare il sospetto che dietro questa ambiguità vi sia un intento malizioso da parte dell’editore, impegnato in una campagna politica coperta dalla foglia di fico dell’umorismo. I fan del Babylon Bee hanno frugato negli account social del giornalista, trovando facilmente decine di post in cui esaltava l’arguzia di The Onion, che propone un umorismo tutto curvato sulla sensibilità dei liberal, e che perciò non ha bisogno di specificazioni o disclaimer. Pare invece che per la bandiera a mezz’asta dei democratici per commemorare Soleimani occorra un severo fact-checking, doveroso atto di civiltà per fermare la marea propagandista. La risposta più tagliente alla controversia l’ha data naturalmente lo stesso Babylon Bee: “La Cnn attacca il Babylon Bee: ‘su internet c’è spazio soltanto per un sito di fake news’”.
Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ