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I cinesi che vennero dal freddo

Maurizio Sgroi

Pechino bussa alle porte della Groenlandia

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Si temono i cinesi specie quando portano doni, potremmo dire, vista la diffidenza che suscita l'ampia disponibilità di Pechino a concedere prestiti. Sarà perché il capitale dei cinesi è onnipresente come i loro ristoranti. Oppure perché non piace che ci sia un altro paese a praticare la politica di potenza. In Groenlandia ad esempio. La grande isola artica, già colonia danese ma ancora gravitante fra un’autonomia concessa e un’indipendenza agognata, ha bussato a denari a Pechino, per finanziare la costruzione di un aeroporto. La Cina, già proprietaria di miniere in zona, ha subito aperto le porte. Si è avuta così la conferma che i cinesi amano le latitudini fredde. Possiamo immaginarne la ragione. Nel profondo Nord sono custoditi tesori in risorse energetiche e si delineano inedite rotte commerciali. E possiamo pure immaginare perché gli Usa, che in quell’isola hanno una base militare d’epoca nazista dal nome assai evocativo di Thule, ci abbiano messo lo zampino. Alla fine dicono che il prestito sarà concesso dalla madrepatria danese, che prima non ne aveva voluto sapere, con tanto di aiutino Usa. Il capitale cinese è rimasto fuori dalla porta. Ora proverà con la finestra.

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