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l'intervista

"Nelle università l’antisemitismo rivive sotto a un antisionismo che ora va di moda”

Luca Roberto

Parla il prof. Berti (docente di Storia delle dottrine politiche a Padova): "Oggi l'aspetto antisemita viene coperto da antimperialismo, anticolonialismo e anticapitalismo. Il boicottaggio di Israele? Sono contrario. Gli accordi riguardano le università, non gli stati"

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"Non credo che l’antisemitismo sia mai morto”. Lo dice al Foglio Francesco Berti, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Padova. Lo abbiamo raggiunto per cercare di capire se con il clima che si respira nelle università italiane (e non solo), dopo i nuovi scontri di ieri a Torino tra manifestanti pro-Palestina e Polizia,  ci sia il rischio concreto che si rinfocoli, soprattutto tra i più giovani, un certo antisemitismo, che credevamo essere una pagina oramai chiusa della nostra storia. “Molti forse si erano illusi che la Shoah avesse immunizzato la società da questo veleno”, analizza Berti. “Eppure da anni c’è chi mette in guardia sul fatto che se, certo, l’antisemitismo come parola è screditato, è un termine politicamente scorretto, se la forma razzista nella quale si era proposto con grande successo nel Novecento è da tempo confinata ai proclami farneticanti di gruppi estremisti per lo più marginali, il contenuto dell’antisemitismo ha continuato a vivere in un’altra forma, ha assunto abiti nuovi, in alcune correnti dell’antisionismo. Cioè non la critica – di per sé legittima, ovviamente – verso determinate politiche dello Stato israeliano, o verso specifici governi, ma la condanna senza appello dello Stato di Israele in quanto tale. È nella forma dell’antisionismo che l’antisemitismo dapprima ha assunto in certi ambienti intellettuali, anche delle università, in tutto il mondo, una forma di nuova rispettabilità, per diventare in tempi più recenti una vera e propria moda culturale”. Secondo il docente dell’ateneo padovano, infatti, “l’elemento specificamente antisemita, impresentabile, viene coperto, mascherato, da altri aspetti, considerati invece positivi: l’antimperialismo, l’anticolonialismo, l’anticapitalismo, in generale l’antioccidentalismo”. E cioè esattamente gli ingredienti che si possono osservare nelle rivolte dei campus americani di questi giorni.

 

Cosa si può fare dunque per combattere queste derive? “Occorre invitare tutti ad accostarsi alla questione israelo-palestinese senza fanatismi”, dice Berti. “La strage dei civili e la tragedia di Gaza suscitano comprensibile orrore, umana pietà, rabbia. Ma l’evento scatenante di tutto ciò, il pogrom del 7 ottobre, le 1200 persone barbaramente uccise nelle proprie case, intenzionalmente, gli stupri, le crudeltà, gli oltre 200 ostaggi israeliani rapiti da Hamas, sono spesso cadute nel dimenticatoio in pochi giorni, in poche ore, se non addirittura reinterpretate cinicamente come un atto di legittima ‘resistenza’. Quando si parla di Israele è sempre in azione il meccanismo del doppio standard. È necessario riflettere e far riflettere sulle contraddizioni in cui sembrano precipitare certi discorsi”.

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E perché queste dinamiche attecchiscono soprattutto sui più giovani? “Le generazioni più giovani sono state nel passato quelle più ribelli, quelle più inclini a contestare l’ordine costituito. La volontà di partecipazione, di dire la propria su un tema come la guerra, di opporsi alla morte e alle distruzioni potrebbe essere anche valutata positivamente, se non prendesse la piega monocorde che stiamo vedendo. La coerenza di questi discorsi politici è a dir poco dubbia: vi confluiscono elementi tratti da terzomondismo, islamismo estremo, aspetti di estrema sinistra e in alcuni casi perfino di destra estrema”, risponde Berti. Che sulle richieste di boicottaggio nei confronti di Israele ha condiviso la posizione del suo ateneo, che si è detto contrario: “Non è contraddittorio che chi critica il muro eretto da Israele chieda all’Università di erigere a sua volta un muro, verso istituzioni culturali? Gli accordi in questione riguardano le università, non i governi. Perché confondere i piani? E perché non chiedere il boicottaggio degli accordi delle Università italiane con le Università di tutti gli Stati che hanno problemi con i diritti umani?”, si chiede ancora Berti. “‘Universa universis patavina libertas’: questo è il motto dell’Università di Padova. I boicottaggi culturali sono contrari a questo spirito, come cercare di impedire l’espressione di idee diverse dalle nostre, soprattutto su questioni dove pare legittimo avere opinioni differenti”.

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