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Dad, Dimenticati a domicilio

Laura Parolin*

Numeri e dati preoccupanti su stress e depressione in aumento tra gli adolescenti. La scuola chiusa fa male. Idee per correre ai ripari

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“Un ragazzo è, di tutte le bestie selvagge, la più difficile da trattare”. (Platone) 

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“Un ragazzo è, di tutte le bestie selvagge, la più difficile da trattare”. (Platone) 

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Sul rientro a scuola dopo la pausa natalizia ha regnato la massima confusione che si è aggiunta all’incertezza e allo stress già sperimentati da otto milioni di studenti, dalle loro famiglie, e da oltre un milione di insegnanti, sopraffatti dall’impossibile organizzazione di turni di lavoro a cui bisogna aggiungere tutte le note ricadute che la Dad ha portato nell’organizzazione quotidiana delle famiglie, dal possedere un computer unico per tutti all’impossibilità di allestire postazioni adeguate per tutti i membri della famiglia in Dad o in smartworking. L’epidemia ha un andamento complesso e la flessibilità è necessaria, ma questo clima non fa bene alla scuola. Scuola qui intesa nella sua accezione squisitamente relazionale dove il confronto con i docenti e con i pari oltre che alle varie materie, permette agli studenti di accrescere il loro bagaglio culturale da un lato ma anche quello delle competenze sociali, relazionali e dialogiche che sono necessarie al loro futuro di adulti.

   
Prendiamo qui in prestito le parole di Erikson: “I compiti che l’individuo deve affrontare, i compiti di sviluppo della vita, sono il presupposto di una crescita sana e soddisfacente nella nostra società. Un compito di sviluppo si presenta in un determinato periodo della vita di un individuo e la cui buona risoluzione conduce alla felicità e al successo nell’affrontare i compiti successivi, mentre il fallimento di fronte ad esso conduce all’infelicità, alla disapprovazione da parte della società e a difficoltà di fronte a compiti che si presentano in seguito”.

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L’adolescenza, come fase specifica del nostro sviluppo, è incentrata sulla dimensione socio-relazionale il cui compito riguarda la ricerca di identità e la possibilità di trovare un proprio ruolo; si tratta di una fase molto delicata, poiché i cambiamenti avvengono contemporaneamente su più livelli, spingendo il soggetto a una ridefinizione del proprio sé rispetto a se stesso e agli altri. Questo complesso processo di ricerca e ridefinizione avviene anche attraverso il distacco dalla famiglia e il senso di appartenenza al gruppo dei pari; proprio ciò che questa pandemia, con la sua necessità di stare in casa e non creare assembramenti, ha reso praticamente impraticabile. La scuola viene quindi anche intesa come luogo di sviluppo, potenziamento e messa in pratica della mentalizzazione: la capacità di avere una teoria della mente, che guidi nella comprensione degli stati mentali e dei comportamenti propri e altrui, è una componente fondamentale per lo sviluppo psicoaffettivo e implica la possibilità di utilizzare competenze empatiche e di stabilire una “giusta distanza” nelle relazioni interpersonali riconoscendo all’altro la facoltà di essere guidato, nei propri comportamenti, da motivazioni e intenzioni autonome. 

 

L’esperienza scolastica è potenzialmente un punto chiave e decisivo per la strutturazione del Sé adolescenziale se fornisce significati utili alla realizzazione del processo di ristrutturazione del mondo interno individuale garantendo all’adolescente momenti di autoriflessione, soggettivizzazione e parallelamente un aiuto alla ricerca di una identità sociale nel mondo esterno; è il contesto principe della socializzazione.

 

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In questo senso la scuola chiusa non “fa bene” agli studenti, tra i quali si registrano “un senso diffuso di stress, nervosismo, irritabilità e depressione” che si sommano al costante senso di precarietà già sperimentato da adolescenti le cui vite sono state messe completamente in pausa anche da una didattica a distanza che sembra più un “disagio a distanza”: può far sì continuare la didattica, ma rende impossibile continuare la scuola intesa quale luogo non solo di apprendimento ma anche di confronto e di appartenenza.

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Se nel primo lockdown le lezioni online erano state accolte come una linfa che aveva unito insegnanti e studenti, nel lockdown di novembre a prevalere sono sentimenti di stanchezza, frustrazione e delusione uniti all’impotenza, da parte degli insegnanti, di non riuscire più a raggiungere i ragazzi attraverso uno schermo, condizioni che hanno purtroppo portato anche all’aumento della dispersione di coloro i quali già manifestavano difficoltà scolastiche.

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Il secondo lockdown arriva dunque su un terreno già provato dai diversi mesi di timori e incertezza: la paura, la malattia, i lutti, le immagini viste, il martellamento mediatico continuo, la crisi economica, la socialità monitorata. Un terreno inquinato dal punto di vista psichico.

   

David Lazzari riporta i dati raccolti attraverso un’analisi trasversale condotta coinvolgendo alunni dalle materne alle superiori e i loro genitori: “Secondo un’indagine del nostro centro studi il 32 per cento dei ragazzi tra 14 e 18 anni è pessimista sul futuro, gli adolescenti ritengono che quando l’epidemia sarà passata la loro vita non tornerà come prima. E’ un dato pesante come altri che abbiamo raccolto in questi mesi: solo il 25 per cento di chi frequenta le superiori pensa che l’emergenza si possa risolvere in tempi accettabili e il 48 per cento ha poca fiducia nel futuro. E questi sono numeri raccolti dopo un paio di mesi di lezioni, oggi la situazione potrebbe essere peggiore”. Per quanto riguarda i genitori, continua Lazzari “ci chiedono aiuto sempre più spesso, sono preoccupati, e il 70 per cneto di loto sostiene che i figli hanno problemi di concentrazione”; si conferma la paura che la pandemia abbia scatenato disagio che velocemente si trasforma in disturbi. Le richieste di sostegno e aiuto psicologico per gli adolescenti, nell’ultimo periodo, sono nettamente aumentate: si parla, nei primi 10 mesi del 2020 rispetto all’anno precedente, del 10 per cento in più di accessi al pronto soccorso per sintomi legati ad attacchi di panico e del 30 per cento in più di prese in carico su richiesta da parte di medici e pediatri; si può parlare di una pandemia nella pandemia.

  

Proprio per affrontare queste difficoltà il ministero intende realizzare una serie di attività rivolte al personale scolastico, a studenti e a famiglie, finalizzate a fornire supporto psicologico per rispondere a traumi e disagi derivanti dalla pandemia predisponendo un servizio di assistenza psicologico per avviare azioni volte alla formazione dei docenti, dei genitori degli studenti, in maniera da affrontare,  sotto diversi punti di vista, le tematiche riguardanti i corretti stili di vita e la prevenzione di comportamenti a rischio per la salute nonché avviare percorsi di educazione all’affettività. Non si può dimenticare inoltre il fatto che la Dad, per alcune categorie, come quella dei ragazzi disabili, non solo non può essere, come per tutti gli adolescenti, una soluzione a lungo termine ma nemmeno transitoria: 70 mila studenti con disabilità, pari al 23 per cento del totale, non hanno partecipato alla didattica a distanza tra aprile e giugno e ora si ritrovano a dover spesso affrontare la perdita dei progressi che avevano faticosamente conquistato. Per concludere, si può certo considerare anche una dimensione di accrescimento alla quale gli adolescenti hanno potuto accedere: questi ragazzi sono stati privati di qualcosa, ma hanno ancora, grazie alla tecnologia, l’occasione di comunicare tra di loro, di rimanere connessi, di creare gruppi, di corteggiarsi e perfino di conoscersi. La pandemia ha dato una grande lezione sul concetto di conseguenza: quello che siamo, quello che facciamo può proteggere noi stessi e, soprattutto, gli altri; a 15 anni, questi ragazzi hanno, tutto sommato, un’opportunità di crescita: stanno spostando lo sguardo sugli altri, sul concetto di bene comune. Tocca però adesso a noi adulti riaccompagnarli verso un quotidiano più simile alle loro consuete routine.

 
*Laura Parolin, Presidente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia

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