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Spazio Okkupato

La tribù invisibile

Giacomo Papi

Le proteste contro la Dad dimostrano che gli adolescenti esistono e vogliono esistere

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Nella notte di martedì una decina di studenti e studentesse del liceo classico Manzoni di Milano ha occupato la scuola e dormito in classe per protestare contro la decisione della Regione Lombardia di procrastinare la didattica distanza fino al 25 gennaio (e poi si vedrà). E’ la prima volta che accade in Italia, e forse nel mondo, che gli studenti occupino una scuola per andarci invece che per andare altrove. Solo per questo la notizia sarebbe clamorosa, a ulteriore dimostrazione che quest’anno di contagi e chiusure ha ribaltato schemi e riti di passaggio che credevamo immutabili. Da “Pinocchio” fino a “Io&Te” di Niccolò Ammaniti, la ribellione contro la scuola passava dal suo rifiuto. La scuola era considerata un’istituzione totale, una gabbia fatta di gerarchie, orari stabiliti, spazi chiusi, compiti in classe e voti, contrapposta alla libertà della strada e della casa. 

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Nella notte di martedì una decina di studenti e studentesse del liceo classico Manzoni di Milano ha occupato la scuola e dormito in classe per protestare contro la decisione della Regione Lombardia di procrastinare la didattica distanza fino al 25 gennaio (e poi si vedrà). E’ la prima volta che accade in Italia, e forse nel mondo, che gli studenti occupino una scuola per andarci invece che per andare altrove. Solo per questo la notizia sarebbe clamorosa, a ulteriore dimostrazione che quest’anno di contagi e chiusure ha ribaltato schemi e riti di passaggio che credevamo immutabili. Da “Pinocchio” fino a “Io&Te” di Niccolò Ammaniti, la ribellione contro la scuola passava dal suo rifiuto. La scuola era considerata un’istituzione totale, una gabbia fatta di gerarchie, orari stabiliti, spazi chiusi, compiti in classe e voti, contrapposta alla libertà della strada e della casa. 

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Da un anno in Italia, unico caso al mondo o quasi, le scuole superiori funzionano soltanto a distanza. Unica interruzione, un mesetto di parziale apertura tra settembre e ottobre. Gli adulti ripetono da mesi ai ragazzi che non infettare nonni e genitori dipende essenzialmente da loro. È un messaggio violentissimo che li trasforma, di fatto, in untori, e che trasforma la loro pelle, i baci, l’amicizia in un potenziale veicolo di morte. (Era dalla Prima guerra mondiale che non si metteva sulle spalle di una generazione in modo così violento il destino del mondo). Il tutto, però, in assenza di dati certi che dimostrino al di là di ogni ragionevole dubbio che la scuola abbia un impatto sul contagio maggiore rispetto ad altre attività. A spiegare le vere ragioni politiche della scelta è stato, con il consueto candore, il governatore della Lombardia, Attilio Fontana: “O riduciamo la gente che va al lavoro o riduciamo la gente che va a scuola”. La decisione di sacrificare le scuole superiori, cioè, più che dalla diffusione del contagio, sembra essere determinata da ragioni economiche: studenti e professori non vanno “ristorati” e non incidono sul pil. Il problema è che ogni scelta economica è anche, e prima di tutto, culturale. Implica una visione del mondo che sarebbe legittima se fosse dichiarata onestamente e non seppellita sotto fiumi di retorica ipocrita che affermano il contrario.

 

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Anche tralasciando la questione delle diseguaglianze economiche che la Dad fa esplodere e i disagi a cui può andare incontro un adolescente rinchiuso in casa per un anno – disagi che sarebbero in aumento – la chiusura si accompagna da un anno a continui proclami che vengono costantemente smentiti dai fatti. Quando la politica afferma che “la scuola è una priorità” e che “i giovani sono il futuro del paese” intende che non sono il presente. Lo ha scritto benissimo una ragazza di 18 anni in una lettera aperta a Repubblica, dopo avere spiegato che il divieto della scuola non implica quello di uscire con gli amici o andare a fare shopping: “Siamo presi in considerazione solo come consumatori, non come persone”.

 

Qualche giorno fa a “Che tempo che fa” il ministro della Salute Roberto Speranza ha ribadito che le scuole in Italia non sono chiuse, non solo perché c’è la Dad, ma perché da settembre le elementari e le medie hanno continuato in presenza. Anche in questo caso, le ragioni economiche sono decisive. Come scrive la ragazza nella sua lettera: “Certo, questo non vale per le scuole di grado inferiore, indispensabili al Paese in quanto luogo dove lasciare i bambini mentre i genitori lavorano”. La scuola è una gigantesca babysitter, indispensabile finché i ragazzi non sono autosufficienti. E’ un altro punto su cui mi pare valga la pena di soffermarsi perché riguarda la nostra idea dell’infanzia, sacralizzata, idealizzata e iperprotetta fino a quando, appunto, rimane infanzia, fino a quando, cioè, i bambini sono piccoli e manovrabili, fin quando non diventano adolescenti. A quel punto si apre un buco nero.

 

In Italia vivono quasi 3 milioni di ragazzi tra i 15 e i 19 anni, e altri 3 milioni tra i 20 e i 24. E’ il 10 per cento della popolazione, eppure è invisibile. Non sono più bambini e non sono ancora adulti, hanno una vita sociale, sentimentale e sessuale, perfino culturale a cui i grandi non hanno accesso. E’ una tribù misteriosa che per difendersi decide di diventare invisibile. Non hanno più poster in camera e non si sa che musica ascoltino perché lo fanno sempre con le cuffie. Sono sepolti dentro i loro telefonini, ma non permettono agli adulti di frequentarli sui social. L’unica traccia di quello che sono è quello che vogliono, cioè quello che comprano. E così il rapporto tra le generazioni viene mediato dal consumo al punto che il modo più comodo per illudersi di entrare in contatto con loro è comprargli (e vendergli) cose, salvo accusarli poi di essere consumisti e ossessionati dalle mode. Le proteste contro la Dad dimostrano che gli adolescenti, come chiunque, esistono e vogliono esistere indipendentemente da quello che possono comprare.

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