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La notte in cui il 7 divenne 11

Riapertura della scuola, come decidere per non decidere

L'amarezza del ministro Azzolina che ora dice alle Regioni: "Avete contagi alti? Allora chiudete tutto"

Marianna Rizzini

L'accordo faticosamente raggiunto in Cdm su una decisione che pareva già presa a dicembre (con il Pd nell'insolito ruolo di chi spiazza sapendo di spiazzare). Il lavoro con i prefetti sul trasporto locale che non basta a fermare i temporeggiatori. Ha potuto più la posizione di Zingaretti o l'ordinanza di Zaia?

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La chiamano decisione. Decisione sulla scuola superiore: si riapre in presenza l’11, e chi tra i governatori non si sente pronto è libero di posticipare di una, due o tre settimane (vedi Luca Zaia e Massimiliano Fedriga in Veneto e Friuli, ma anche, tra gli altri, Vincenzo De Luca in Campania, Alberto Cirio in Piemonte, Nino Spirlì in Calabria). Ma più si va a scavare nella decisione, più la stessa assume i contorni di un decidere per non decidere, nel senso del gettare un ponte per scavallare l’8 gennaio, data in cui l’analisi dei dati epidemiologici permetterà di colorare di nuovo le regioni di giallo, arancione e rosso, e di modulare le aperture in base ai contagi. Passo indietro: la sera del 4 gennaio, dalle 21 a notte fonda, quando in Cdm va in scena quello che Teresa Bellanova, ministro dell’Agricoltura e capo delegazione di Italia viva, definirà poi “teatrino imbarazzante tra Pd e M5s”.

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La chiamano decisione. Decisione sulla scuola superiore: si riapre in presenza l’11, e chi tra i governatori non si sente pronto è libero di posticipare di una, due o tre settimane (vedi Luca Zaia e Massimiliano Fedriga in Veneto e Friuli, ma anche, tra gli altri, Vincenzo De Luca in Campania, Alberto Cirio in Piemonte, Nino Spirlì in Calabria). Ma più si va a scavare nella decisione, più la stessa assume i contorni di un decidere per non decidere, nel senso del gettare un ponte per scavallare l’8 gennaio, data in cui l’analisi dei dati epidemiologici permetterà di colorare di nuovo le regioni di giallo, arancione e rosso, e di modulare le aperture in base ai contagi. Passo indietro: la sera del 4 gennaio, dalle 21 a notte fonda, quando in Cdm va in scena quello che Teresa Bellanova, ministro dell’Agricoltura e capo delegazione di Italia viva, definirà poi “teatrino imbarazzante tra Pd e M5s”.

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Proprio sulla scuola, argomento che, in teoria, non doveva neanche essere all’ordine del giorno quella sera, visto che tutto pareva essere già stato deciso tempo prima, e cioè il 23 dicembre, quando il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Istruzione a Cinque stelle Lucia Azzolina avevano annunciato l’accordo con le regioni per la riapertura il 7, visto anche il precedente piano d’inizio dicembre sull’adeguamento del trasporto pubblico locale (sotto la guida dei prefetti). E invece.

 

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Invece, in Cdm, ciò che era stato già deciso appariva già ribaltato a prescindere, e non tanto e non solo perché, dal centrodestra, Zaia e Fedriga avevano anticipato il governo con le ordinanze (si riapre il 31), quanto per la perplessità sulla data del 7 fatta trapelare in area governativa. Era infatti dal Pd – un Pd nel ruolo insolito di chi spiazza sapendo di spiazzare – che giungeva un “alt”, un monito prima sotterraneo e via via più esplicito. Due giorni fa era stata la volta di Alessio D’Amato, assessore alla Sanità nel Lazio di Nicola Zingaretti: “Occorre riflettere”. Poi era stata la volta dello stesso Zingaretti, poco prima dell’inizio del Cdm, in veste di governatore e segretario pd: rinviate, sennò decidiamo noi, era il messaggio, giunto dopo che il ministro degli Affari Regionali pd Francesco Boccia aveva sottolineato la possibilità di esercitare il potere discrezionale regionale. E così, la mattina dopo, la “decisione” veniva chiamata “mediazione” (e veniva indicato Dario Franceschini come perno della medesima). 

 
Ma una certa amarezza trapelava sul lato M5s, tanto più visto che, il 4 gennaio, il ministro Azzolina si era esposta sul Fatto con “non possiamo arrenderci”. Lo si capiva dalla dichiarazione da poliziotto cattivo di Luigi Di Maio (“se le regioni non sono pronte diamo altri giorni, ma lunedì si deve riprendere”) e da quella apparentemente da poliziotto buono di Alfonso Bonafede: “In Cdm c’è stato un confronto per trovare la sintesi… si lasci in pace la scuola. Da lunedì, grazie a Lucia Azzolina e ai prefetti, le scuole riapriranno in sicurezza”. L’amarezza, non soltanto sul fronte Istruzione, nell’aleggiare della crisi di governo, riguardava proprio il precedente lavoro con i prefetti. “I piani per il Tpl sono pronti”, ripetono infatti da giorni i territori (come dire: non è più quello il problema) e i Trasporti (come dire: ma non avevamo trovato la soluzione?). E la decisione-non decisione sulla scuola restava lì, a testimoniare tutto e il contrario di tutto: se alcuni dirigenti scolastici scrivono lettere per dire “non ci sono le condizioni”, altri dirigenti scolastici, in particolare in Campania, scrivono lettere chiedendo di riaprire, pena la perdita dei ragazzi risucchiati nel gorgo della strada.

  

Poi ci sono i tecnici: dal fronte pediatri (nel Cts) Alberto Villani ripete che le scuole sono un luogo sicuro se si seguono le regole, come da report dell’Iss. Ma il virologo Fabrizio Pregliasco e l’infettivologo Massimo Galli invitano alla cautela. Il ministro Azzolina, che nottetempo aveva dovuto digerire la non-decisione, provava a sfidare le regioni: volete chiudere perché i dati dei contagi sono alti? Allora chiudete anche il resto, diceva a Rainews 24. E, in un momento di spericolatezza, lodava persino i famosi e famigerati banchi singoli, simbolo del momento di minima popolarità estiva: se i contagi a scuola sono stati bassi è anche merito del tanto contestato oggetto. E ringraziava il commissario Domenico Arcuri, l’uomo che nel frattempo, ieri, compariva via lettera sul Corriere della Sera, per rispondere alle accuse di lentezza sulla somministrazione dei vaccini. 

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