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Il “rischio scuola” non esiste

Agostino Miozzo

Il coordinatore del Comitato tecnico-scientifico critica l’ordine sparso sulla riapertura degli istituti scolastici: “Conte avrebbe dovuto sostituire le autorità locali inadeguate a garantire i diritti costituzionalmente riconosciuti”

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Tra le varie frenesie comunicative lette nelle ultime settimane sulla scuola vale la pena di analizzare attentamente i dati riportati da una indagine realizzata da Ipsos di cui si leggono alcuni passi sul sito di Save the Children: “Si stima che circa 34 mila studenti delle scuole superiori, a causa delle assenze prolungate, rischiano di alimentare il fenomeno dell’abbandono scolastico. Il 28 per cento degli intervistati afferma che dal lockdown di primavera c’è almeno un proprio compagno di classe che ha smesso completamente di frequentare le lezioni. Il 7 per cento afferma che i compagni di scuola ‘dispersi’ a partire dal lockdown sono tre o più di tre. Il 35 per cento ritiene che la propria preparazione scolastica sia peggiorata. Per il 38 per cento degli adolescenti la didattica a distanza è un’esperienza negativa. In generale la principale difficoltà è rappresentata dalla fatica a concentrarsi per seguire le lezioni online e dai problemi tecnici dovuti alla connessione internet/copertura di rete propria o dei docenti”.
Drammatici dati che attengono soprattutto alla sfera educativa, pedagogica e sociale. Accanto a questa analisi merita di essere citato il rapporto del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) su uno studio effettuato in paesi dell’Ue e nel Regno Unito che analizza l’aspetto più tipicamente “sanitario” e che considera l’ambiente scolastico non più pericoloso di altri ambienti esterni, valutando invece i momenti pre e post scolastici quali tradizionali ambiti di vero rischio di diffusione della malattia.

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Tra le varie frenesie comunicative lette nelle ultime settimane sulla scuola vale la pena di analizzare attentamente i dati riportati da una indagine realizzata da Ipsos di cui si leggono alcuni passi sul sito di Save the Children: “Si stima che circa 34 mila studenti delle scuole superiori, a causa delle assenze prolungate, rischiano di alimentare il fenomeno dell’abbandono scolastico. Il 28 per cento degli intervistati afferma che dal lockdown di primavera c’è almeno un proprio compagno di classe che ha smesso completamente di frequentare le lezioni. Il 7 per cento afferma che i compagni di scuola ‘dispersi’ a partire dal lockdown sono tre o più di tre. Il 35 per cento ritiene che la propria preparazione scolastica sia peggiorata. Per il 38 per cento degli adolescenti la didattica a distanza è un’esperienza negativa. In generale la principale difficoltà è rappresentata dalla fatica a concentrarsi per seguire le lezioni online e dai problemi tecnici dovuti alla connessione internet/copertura di rete propria o dei docenti”.
Drammatici dati che attengono soprattutto alla sfera educativa, pedagogica e sociale. Accanto a questa analisi merita di essere citato il rapporto del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) su uno studio effettuato in paesi dell’Ue e nel Regno Unito che analizza l’aspetto più tipicamente “sanitario” e che considera l’ambiente scolastico non più pericoloso di altri ambienti esterni, valutando invece i momenti pre e post scolastici quali tradizionali ambiti di vero rischio di diffusione della malattia.

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Per contro altre valutazioni, molte delle quali di tipo squisitamente statistico/matematico, considerano l’apertura delle scuole (concentrando l’attenzione sugli studenti delle scuole superiori) un fattore di rischio che avrebbe rilevanti effetti sulla curva dei contagi. Qualcuno azzarda a definire gli adolescenti come “fortemente contagiosi”, confondendo presumibilmente il livello di trasmissibilità del virus con i comportamenti dei singoli; aspetto che ci fa dire che (con l’eccezione dei super contagiosi ben descritti in letteratura) non è l’età la responsabile della trasmissione ma, in gran parte, il comportamento delle persone: un adolescente positivo asintomatico che partecipa a una festa (oggi proibita) con 30 suoi compagni è un vero untore, al pari del signore di mezza età positivo asintomatico che organizza un matrimonio con 150 ospiti (oggi proibito) e si comporta da untore dei suoi invitati

 

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Personalmente trovo la comunicazione mediatica sul “rischio scuola” assolutamente irrazionale, fuorviante, decisamente politicizzata, ben poco scientifica e soprattutto carente di proposte. Provo a ripercorrere alcune considerazioni di base. Nessuno si è mai azzardato a dire che la scuola è un ambiente scevro da rischi, si è sempre parlato di “rischio controllato o accettabile” nel contesto di questa devastante pandemia. Si è molto dibattuto ad esempio sul fatto che a scuola i ragazzi sono costretti a comportamenti virtuosi, come l’obbligo di indossare le mascherine, il distanziamento, l’igiene, comportamenti che di fatto riducono notevolmente il rischio di diffusione. Occorre comprendere l’esatta valenza di questa emergenza e sperare che i comportamenti dei nostri adolescenti ribelli possano diventare virtuosi e non solo distruttivi, come purtroppo sempre più spesso vediamo nelle immagini che i media ci propongono.

 

Si è di contro discusso all’infinito sul potenziale rischio degli assembramenti esterni all’ambiente scolastico e su questi sono stati fatti sforzi notevoli, non ultimo quello di istituire i tavoli provinciali coordinati dai prefetti, che hanno fatto nelle ultime settimane un gran lavoro per identificare possibili soluzioni a problemi, peraltro antichi, di malfunzionamento della scuola e di tutto ciò che ne è a contorno come i trasporti piuttosto che i controlli sanitari per l’universo scolastico.

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Devo confessare che a oggi non ho ancora letto un’analisi bene articolata che metta in evidenza il complesso problema rappresentato dalla vita scolastica nel suo insieme in epoca di pandemia, il valore che questo settore della vita sociale di un paese deve avere, e la sua priorità politica, che dovrebbe essere in cima alla classifica dell’attività di ogni governo.  Solo analisi settoriali, quasi estranee al mondo complesso nel quale dovrebbero essere calate, e soprattutto sostanzialmente disfattiste e mai propositive; come a dire che siccome la scuola è oggi un grave problema lo si deve accantonare e se ne potrà parlare a epidemia conclusa. Analisi che inoltre sembrano descrivere un mondo che prima della crisi era perfetto e che oggi, invece, è interessato dal virus. Sappiamo tutti che, prima della dichiarazione di stato di emergenza del 31 gennaio 2020, di perfetto nel mondo della scuola c’era ben poco: non c’erano sufficienti spazi, arredi, attrezzature, personale, trasporti, controlli sanitari. Oggi d’incanto si invocano e si chiedono spazi scolastici sui modelli nordici, aerazione degli ambienti con strumentazione spaziale, controlli sanitari come se la sanità pubblica esistesse e funzionasse come un orologio svizzero, trasporti “come se…”, si chiede tutto “come se…”, ben consapevoli che il tutto non esiste e non sarà mai disponibile negli attuali tempi della crisi. 

 

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Quello su cui possiamo contare sono persone eroiche come i docenti e il personale scolastico che, pur nella disastrata condizione in cui si trovano, tentano di svolgere al meglio il loro incarico, per molti la loro missione, facendo le classiche nozze con i fichi secchi. Mi si consenta di dire a questo punto che trovo insopportabili i professori col senno del poi, quelli che oggi si ergono a pontificare, a indicare soluzioni magiche ben sapendo che di magico c’è ben poco a disposizione, soprattutto con l’attuale precaria situazione politica. I tavoli regionali hanno svolto un buon lavoro, hanno trovato soluzioni pragmatiche e hanno evidenziato problemi che non hanno a oggi soluzioni, e ricordo che le regioni avevano sottoscritto il 23 dicembre scorso un accordo su questo indirizzo. Oggi i tavoli, grazie al lavoro dei prefetti, hanno concluso il loro lavoro e si vedono reazioni negative di molti presidenti di Regione a proposito della riapertura delle scuole il 7 gennaio. Alcuni pare siano disponibili, altri hanno già detto che le scuole saranno chiuse, altri non si sono ancora espressi. Diamo insomma l’impressione di essere un paese decisamente scollegato e frantumato dove ognuno va per conto proprio secondo decisioni compatibili alle condizioni locali.  

 

 

E’ condivisibile che i politici locali decidano secondo le condizioni specifiche del loro territorio che, ovviamente, non sono omogenee in tutto il paese, anche perché si tratta di una responsabilità importante. Allo stesso tempo fa male vedere ragazzi di regioni limitrofe godere di privilegi o di trattamenti diversi. Per concludere questa mia nota devo dire che, in base alla mia esperienza nella Protezione civile, sostengo oggi, dopo quasi un anno dall’esplosione della crisi, di essere più che mai convinto del fatto che, dovendo gestire una crisi di dimensione nazionale, il presidente del Consiglio avrebbe dovuto invocare l’articolo 120 della Costituzione, che prevede il potere di sostituzione delle autorità politiche locali in caso di emergenza, laddove la situazione di crisi non consenta di offrire ai cittadini le medesime condizioni di sicurezza o di godere dei diritti civili e sociali costituzionalmente previsti. 

 

Agostino Miozzo è il coordinatore del Comitato tecnico-scientifico

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