L'intervista
"Così abbiamo reinventato un mestiere". Parla la dirigente scolastica del Galileo di Firenze
"L’etica del sacrificio dei dottori, che tanto abbiamo visto e letto in questi mesi, è più difficile da traslare nel mondo della scuola", dice Liliana Gilli
“Sono smarrita”, dice al Foglio Liliana Gilli, dirigente del liceo classico Galileo di Firenze e vicepresidente dell’associazione nazionale presidi, appena uscita da una lunga riunione con gli altri dirigenti fiorentini e la prefettura per organizzare la riapertura delle scuole, durante la quale si è parlato di tutto, anche dei trasporti. Un problema sentito in un liceo come il Galileo, che ha il 46 per cento di studenti pendolari.
“Sono smarrita”, dice al Foglio Liliana Gilli, dirigente del liceo classico Galileo di Firenze e vicepresidente dell’associazione nazionale presidi, appena uscita da una lunga riunione con gli altri dirigenti fiorentini e la prefettura per organizzare la riapertura delle scuole, durante la quale si è parlato di tutto, anche dei trasporti. Un problema sentito in un liceo come il Galileo, che ha il 46 per cento di studenti pendolari.
“Questo incontro è stato un bel gesto da parte della prefetto Alessandra Guidi, che è appena arrivata, alla quale sono grata. Io sono una donna dello Stato, quindi mi adeguo a qualsiasi decisione. Ma a livello centrale avremmo apprezzato un maggior preavviso”, dice Gilli che si sta apprestando a scrivere (“Siamo io e il vicepreside, la segreteria è chiusa”) una nuova circolare sui rientri in classe. Il compito di un dirigente scolastico di questi tempi è particolarmente gravoso. Deve garantire la sicurezza degli alunni ma anche quella degli insegnanti, oltre ad assicurare l’organizzazione della didattica. Lei e i suoi colleghi di altri istituti hanno cercato di reinventare un lavoro vecchio come il mondo: insegnare ai ragazzi e alle ragazze. Ogni venerdì dalle 12 alle 2 lei e altri dirigenti scolastici dei licei del centro di Firenze si trovano su Teams per confrontarsi sulle loro esperienze. “Da me, ci sono insegnanti che hanno paura di tornare a scuola. Qualcuno magari vive con un parente anziano in casa, che ha patologie pregresse, e non vuole metterlo a rischio. Io capisco certe situazioni, come si fa a entrare nelle case e nelle vite delle persone? L’etica del sacrificio dei dottori, che tanto abbiamo visto e letto in questi mesi, è più difficile da traslare nel mondo della scuola”.
Dall’esterno, con troppa facilità si fa l’elogio della didattica a distanza, si riduce tutto a una questione tecnologica (computer, un’adeguata banda larga per navigare su Internet, e via). “In questi mesi la scuola ha fatto un piccolo miracolo, perché ha reinventato un mestiere. Però non basta, non è sufficiente. Pensi agli insegnanti di greco e latino. Come possono assegnare, via computer, una versione da tradurre?”. Mentre altri suoi colleghi cercavano una succursale per fare lezione, la dottoressa Gilli – che gestisce una scuola che è cresciuta molto in questi anni, addirittura undici classi in più da quando c’è lei – ha fatto cablare tutta la scuola per consentire il 50 per cento delle lezioni in presenza e il 50 a distanza. In più, era riuscita a ottenere una piccola struttura in centro a Firenze, di cinque classi, per fare i compiti. “Il problema non è fare lezione”, assicura Gilli. “Con i mezzi giusti, i ragazzi di terza, quarta o quinta non hanno grosse problematiche a studiare a distanza. Il problema vero sono i compiti, le verifiche orali. Nessuno a questo ci pensa mai, perché finora si è pensato che ci dovessimo occupare soltanto dei mezzi tecnologici per insegnare. Invece servirebbe una grande ulteriore riflessione su come stiamo insegnando”.