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In questa scuola precaria la ricchezza è nelle persone

Agostino Miozzo

Insegnanti e ragazzi hanno retto allo tsunami Covid, il sistema no. Gli adolescenti rintanati nella loro capanna devono poter tornare in aula

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Al direttore - Vorrei condividere con lei alcune riflessioni sul dibattito in corso sulla scuola. Un dibattito duro, per certi aspetti confuso ma comunque positivo, alimentato dalla contingente emergenza che ha stravolto le già precarie condizioni dell’intero sistema scolastico nazionale. Raramente ho sentito, nel passato, discutere di scuola in questo modo, al massimo mi è capitato di ascoltare disquisizioni sulla destinazione dei precari all’inizio dell’anno scolastico o sul fatto che, puntualmente, si richiedeva ai genitori di contribuire, in assenza di risorse pubbliche, all’acquisto di beni di prima necessità per il regolare funzionamento degli istituti. Di scuola si è discusso molto a seguito di terremoti o disastri naturali quando un edificio scolastico crollato diventava simbolo dell’incapacità del paese di proteggere i nostri ragazzi.

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Al direttore - Vorrei condividere con lei alcune riflessioni sul dibattito in corso sulla scuola. Un dibattito duro, per certi aspetti confuso ma comunque positivo, alimentato dalla contingente emergenza che ha stravolto le già precarie condizioni dell’intero sistema scolastico nazionale. Raramente ho sentito, nel passato, discutere di scuola in questo modo, al massimo mi è capitato di ascoltare disquisizioni sulla destinazione dei precari all’inizio dell’anno scolastico o sul fatto che, puntualmente, si richiedeva ai genitori di contribuire, in assenza di risorse pubbliche, all’acquisto di beni di prima necessità per il regolare funzionamento degli istituti. Di scuola si è discusso molto a seguito di terremoti o disastri naturali quando un edificio scolastico crollato diventava simbolo dell’incapacità del paese di proteggere i nostri ragazzi.

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Oggi, benché in modo disordinato, il tema scuola pare tornato ad avere una certa priorità nel dibattito politico, spesso strumentalizzato a fini squisitamente localistici, ma nel complesso emergono evidenti i punti critici sulla discontinuità scolastica e sulla precarietà di un sistema che non ha saputo reggere allo tsunami che l’ha sconvolto. In altri termini l’emergenza coronavirus ha messo in evidenza, come sempre accade con le grandi crisi, la fragilità dell’intero comparto e i danni che negli anni si sono accumulati con mancati investimenti strutturali, una politica del personale decisamente miope e l’assoluta mancanza di politiche di monitoraggio della salute psicofisica dei nostri ragazzi.

 

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Un sistema che al pari della sanità pubblica ha pagato quella distrazione politica che negli anni ha privilegiato altri settori dello sviluppo del paese senza considerare che la formazione e la sanità dovrebbero essere i pilastri fondanti una società solida e strutturata. Abusando di una metafora militare, in protezione civile, quando ti prepari alle grandi emergenze, si usa dire che la guerra si combatte con l’esercito che hai a disposizione, se le truppe sono forti e ben equipaggiate puoi sperare di vincere la battaglia, se l’esercito è debole hai molte possibilità di uscirne sconfitto.

 

La cosa interessante che ho visto in questi mesi, da un osservatorio privilegiato che evidentemente è esterno al mondo scolastico, è constatare quanto il sistema scuola sia particolarmente fragile negli assetti strutturali, nella mancanza cronica di risorse ma, per contro, quale sia la ricchezza straordinaria nelle persone che lo compongono, che evidentemente non hanno messo mai di lottare per credere in una scuola migliore. E mi colpisce poi molto il fatto che oggi sembrano emergere elementi di partecipazione attiva dei ragazzi che, finalmente, scelgono la protesta per far sentire la loro voce. Le fotografie di centinaia di liceali in molte piazze del paese, seduti per terra con i loro libri e il loro pc che rivendicano il loro DIRITTO a ritornare a scuola in presenza, sono immagini assolutamente confortanti. Sarò legato a sentimentali ricordi della mia adolescenza e di quel mitico ’68 che ho traversato negli anni del liceo, ma le proteste dei ragazzi mi fanno ben sperare e mi dicono che c’è una generazione di ragazzi che non è appiattita sul modello del “Grande fratello” o di stereotipi della società dei consumi che tutti ben conosciamo.

 

Quello che più mi preoccupa però sono gli invisibili, i giovani che non compaiono né nelle proteste né nella movida, quella quota di adolescenti che sono la maggioranza purtroppo. Parlo di quanti si sono rintanati nel chiuso della loro “capanna”, e che dopo mesi di solitudine accompagnata solo dalla didattica a distanza (laddove questa funziona) hanno sviluppato forme di reticenza, paura, ansia a ritornare nel mondo reale, in quella che dovrebbe essere la loro dimensione di vita naturale, la scuola. Lei direttore sa che tutti i componenti del Comitato che ho l’onore di coordinare si sono sempre espressi per il ritorno a scuola dei ragazzi ritenendo la scuola un ambiente “protetto”, dove il rischio di contagi è sempre presente ma in misura “accettabile” stante la situazione attuale. Abbiamo sempre sostenuto questa posizione in ragione del fatto che a scuola i ragazzi hanno il dovere di seguire regole di comportamento rigorose, e beneficiano dei momenti educativi che vengono loro riservati dai docenti che, oltre ai genitori, sono gli unici in grado di spiegare ai ragazzi cosa sta succedendo intorno a noi, quali sono i veri rischi che corriamo, perché dobbiamo portare le mascherine e essere distanziati, lavarci frequentemente le mani etc. etc. Dobbiamo certo considerare che per arrivare al luogo “protetto” della scuola ci sono difficoltà e criticità tuttora non risolte ovunque, ma per questo dobbiamo confidare nel grande e difficile lavoro di coordinamento che i prefetti stanno facendo in tutto il paese per compensare ritardi e incapacità a trovare soluzioni al problema dei trasporti o dei controlli sanitari in ambito scolastico.

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E’ oggi decisamente confortante vedere bambini dei primi anni delle scuole primarie riprendere i genitori perché mettono male la mascherina o perché non rispettano un metro di distanza quando sono nei negozi; questo accade un po’ dovunque ed è merito di quegli straordinari insegnanti che hanno speso ore per condividere con i loro studenti le informazioni necessarie per trasmettere loro nelle forme più adeguate all’età le notizie più rilevanti per riuscire a convivere con questa drammatica emergenza. Io ricevo sul tema scuola centinaia di mail divise in tre categorie: la maggior parte di protesta, dura, arrabbiata di quanti lamentano il caos nella organizzazione della scuola e di tutti i ritardi connessi; un bel numero di lettere di sostegno alla mia “personale battaglia” a favore della riapertura di tutte le scuole, alcune di queste sono lettere commoventi per il contenuto e per i drammi che raccontano; una buona quota di messaggi contenenti minacce violente, volgari, alcune delle quali potrebbero essere meritevoli di indagini delle autorità di pubblica sicurezza. La cosa certa è che in questo affannoso dibattito, stritolato da contingenti condizioni locali decisamente diversificate nell’evoluzione della pandemia, difficilmente si troverà la ricetta che accontenti tutti: genitori, insegnanti, personale, sindacati e soprattutto i politici. Importante è comunque discuterne, tornare a riflettere sulla centralità della scuola e sulla necessità di considerarla la priorità assoluta per il futuro del nostro paese.

 

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