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Le scuole chiuse e le colpe degli adulti

Contro narcisismo e disinteresse. Per una pedagogia al tempo del Covid

Mario Leone

Il pedagogista Daniele Novara traccia un bilancio drammatico della cultura contemporanea: "Scarseggiano gli asili nido, le città sono concepite dimenticando gli spazi per i più piccoli. Non esiste una progettualità ma solo l’immediato"

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Da poche settimane ha lanciato un appello per la riapertura di tutte le scuole unitamente a insegnanti, psicologi e altri uomini di cultura. Lui è Daniele Novara, pedagogista, una vita spesa a studiare il mondo dei bambini e degli adolescenti; una voce autorevole e spesso scomoda nel panorama educativo nazionale. I suoi interventi hanno smascherato alcune storture del sistema scolastico (bullismo, branco, disturbi di apprendimento, conflittualità…) e tracciato un drammatico ritratto della cultura contemporanea. Novara è l’unico a riproporre parole, ripulendole dalle nevrosi che colgono adulti e istituzioni le quali spesso si aggrappano a spot vuoti e infruttuosi per coprire la propria incapacità. Nelle ultime settimane scandite dalla risalita violenta del Covid, il pedagogista ha pubblicato per i saggi della Rizzoli il volume “I bambini sono sempre gli ultimi”. Un “testo-denuncia” sulla drammatica condizione delle nuove generazioni che svela quanto responsabili siano gli adulti. “C’è una generazione che non è all’altezza della situazione che stiamo vivendo”, scandisce deciso dall’altro capo della cornetta. “Gli adulti stanno compromettendo il futuro di un’intera generazione”.

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Da poche settimane ha lanciato un appello per la riapertura di tutte le scuole unitamente a insegnanti, psicologi e altri uomini di cultura. Lui è Daniele Novara, pedagogista, una vita spesa a studiare il mondo dei bambini e degli adolescenti; una voce autorevole e spesso scomoda nel panorama educativo nazionale. I suoi interventi hanno smascherato alcune storture del sistema scolastico (bullismo, branco, disturbi di apprendimento, conflittualità…) e tracciato un drammatico ritratto della cultura contemporanea. Novara è l’unico a riproporre parole, ripulendole dalle nevrosi che colgono adulti e istituzioni le quali spesso si aggrappano a spot vuoti e infruttuosi per coprire la propria incapacità. Nelle ultime settimane scandite dalla risalita violenta del Covid, il pedagogista ha pubblicato per i saggi della Rizzoli il volume “I bambini sono sempre gli ultimi”. Un “testo-denuncia” sulla drammatica condizione delle nuove generazioni che svela quanto responsabili siano gli adulti. “C’è una generazione che non è all’altezza della situazione che stiamo vivendo”, scandisce deciso dall’altro capo della cornetta. “Gli adulti stanno compromettendo il futuro di un’intera generazione”.

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Una situazione esasperata dalla pandemia le cui conseguenze sono tutte a carico dei bambini e degli adolescenti: “Li chiamerei “lockdown adolescenti”. La Didattica a distanza non è vera scuola e sta precludendo loro la possibilità di crescita”. Nel suo volume Novara individua un problema di narcisismo e di disinteresse verso i figli.  Gli adulti — continua — sono molto più impegnati a occuparsi (con scarsi risultati) del proprio destino o al massimo di quello degli anziani. “In pochi – ci dice – sono disposti a fare un sacrificio per le nuove generazioni. Per la prima volta nella storia si manifesta un atteggiamento simile. Al massimo i genitori fanno gli amici dei propri figli come se i bambini avessero bisogno di compagni e non di adulti. Questo genera, nei minori, depressione e una serie di malattie psichiatriche”. Eppure l’Italia ha dato i natali alla madre della pedagogia moderna: Maria Montessori. Il suo pensiero ha accompagnato lo sviluppo di molti bambini. Per qualche strano motivo, il paese che ha fondato la pedagogia l’ha anche accantonata. E’ un problema culturale che si origina in alcune scelte di fondo. Una donna su quattro decide di non fare figli perché sempre più incerta sul futuro e abbandonata dalle istituzioni. Il costo a carico di una famiglia nel periodo che va dal concepimento al primo anno di vita del bambino è stimato in circa settemila euro, che una coppia deve sostenere autonomamente. Scarseggiano gli asili nido, le città sono concepite dimenticando gli spazi per i più piccoli. Non esiste una progettualità ma solo l’immediato. Questo ha creato i presupposti per una società che Novara definisce “dell’apparire” dove al bambino è stato tolto il gioco, il confronto con gli altri. “Abbiamo sostituito il gioco con il videogioco. Il massimo che possiamo dare è uno smartphone che alla fine permette a noi adulti di non avere troppe seccature mettendoli al riparo da rischi che vedono solo gli adulti”.

 

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Eppure i dati riportati nel suo testo raccontano di un calo della violenza sui bambini e una riduzione della delinquenza minorile. L’Italia è tra i paesi europei con minor presenza di carceri minorili (solo dodici) e i fenomeni “di branco” sono sporadici e ben circoscritti. Allora da dove nasce quest’atteggiamento? “La gente si sente in pericolo perché vede venir meno il terreno sotto i piedi e si rifugia nell’isolamento. Una crisi gravissima dei legami e del senso di comunità che porta alla solitudine, vista come l’unico rimedio per evitare emozioni, paure, incertezze e vergogna, una via d’uscita che sta diventando sempre più diffusa tra i giovani”. Questo spiega perché l’Italia sia il paese nella zona euro con più alto numero di Neet (circa due milioni di giovani che non studiano e non cercano un impiego) e un moltiplicarsi di casi di autolesionismo. “Altro che paura del branco o dei bulli. Ormai i ragazzi si fanno male da soli”. Questo scenario sconfortante si è aggravato con il Covid. Il distanziamento, l’impossibilità di vedersi, il volto per metà coperto dalla mascherina, sono tutti ostacoli alla socialità. Novara non critica le misure sanitarie e non invita a trasgredirle. Quello che chiede è di preservare il più possibile bambini e ragazzi. “Vengono descritti come degli untori – continua – non si ammalano ma possono far ammalare. E se si ammalano non hanno gravi conseguenze”. L’autore chiede alle istituzioni di proteggere la scuola, le attività sportive e di aggregazione. “Avere tutti i ragazzi delle superiori a casa è gravissimo”. Eppure la scuola spesso non è stata in grado di rispondere alle necessità degli studenti. Docenti incapaci di fare una proposta educativa integrale che guardasse alla totalità del discente. “La scuola è stata smantellata con conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Non c’è stato un investimento sulla professionalità degli insegnanti. Una professione di ripiego e non una scelta professionale di prim’ordine come in Germania e Francia. Manca una carriera, formazione continua, incentivi e selezione adeguata. In Italia ci siamo inventati la Mad (Messa a disposizione, ndr): con la laurea o il diploma ci si mette a disposizione per insegnare. Una persona entra a scuola senza aver mai visto una classe in vita sua, senza aver fatto degli studi specifici. Ci si trova di fronte venticinque scatenati che ti mettono alla prova. E tu, docente, devi farli lavorare, gestire le tue e le loro emozioni, organizzare l’apprendimento. Non basta entrare in classe, fare una grande spiegazione, dare loro da studiare e poi interrogarli. Questo potrebbe piacere a Galli della Loggia ma non c’entra nulla con la pedagogia”. 

 


Il ragionamento del pedagogista si riferisce all’acceso dibattito sulla scuola che contraddistinse gli anni Settanta. Centro del dibattito, la contestazione di una scuola idealista, fatta di lezioni frontali, docente in cattedra e voto. Uno scontro titanico che vide coinvolti anche i genitori (una novità enorme) e che serviva ad ammorbidire lo strapotere degli insegnanti. “Ma non cambiò nulla – dice Novara – e rimase tutto com’era. Anche oggi è così. Le faccio un esempio. Recalcati, persona colta e intelligente, ha scritto un libro dal titolo “L’ora di lezione”, dove esalta il valore della lezione frontale. Fare questo significa distruggere la pedagogia e ignorare che in tutto il mondo la buona scuola è considerata quella del laboratorio, quella che fa lavorare i ragazzi, la scuola che li fa interagire. Qui invece si ritorna all’insegnante magister”. Proviamo a chiedere al nostro interlocutore se una crisi così forte come quella che stiamo vivendo possa rappresentare una possibilità di cambiamento. “Sì – ci risponde — forse siamo giunti a un punto di non ritorno. Chi ha in mano il governo della scuola deve puntare sulla formazione degli insegnanti e ripensare tutto il sistema. Viceversa, se ci accontentiamo della retorica dell’insegnante che ce l’ha fatta pur dentro le difficoltà, non cambierà nulla e continueremo a far pagare tutte le nostre colpe ai ragazzi”.

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