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l'intervista

"La vittoria sul virus passa dalla scuola", dice l’ex rettore della Bicocca

Annalisa Chirico

"Le urgenze sono due: investire sulla medicina del territorio e ricostruire il tessuto sociale". Parla Cristina Messa

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Il fronte di chi invoca il ritorno alla didattica in presenza ha un nuovo adepto: Cristina Messa, già rettore dell’Università Bicocca di Milano e ordinario di Diagnostica per immagini e Radioterapia presso il dipartimento di Medicina dello stesso ateneo. “Per i ragazzi, la mancanza prolungata di contatto sociale ha effetti che adesso non vediamo – dice la professoressa Messa al Foglio – In Lombardia all’apprendimento a distanza si aggiunge la negazione di ogni spazio di socialità e incontro, con enormi conseguenze sociopsicologiche sulla fascia giovane della popolazione, per non parlare del deficit formativo in termini di acquisizione delle competenze.

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Il fronte di chi invoca il ritorno alla didattica in presenza ha un nuovo adepto: Cristina Messa, già rettore dell’Università Bicocca di Milano e ordinario di Diagnostica per immagini e Radioterapia presso il dipartimento di Medicina dello stesso ateneo. “Per i ragazzi, la mancanza prolungata di contatto sociale ha effetti che adesso non vediamo – dice la professoressa Messa al Foglio – In Lombardia all’apprendimento a distanza si aggiunge la negazione di ogni spazio di socialità e incontro, con enormi conseguenze sociopsicologiche sulla fascia giovane della popolazione, per non parlare del deficit formativo in termini di acquisizione delle competenze.

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I giovani che vivono in una zona rossa non possono vedere gli amici o fare vita all’aperto, su tutto il territorio nazionale sono chiuse palestre e piscine, in generale sono ristrette le modalità per praticare sport. Durante il primo lockdown poteva esserci un istinto di recupero, adesso è più complicato. Se si rispettano i protocolli di sicurezza, si può e si deve andare a scuola, il tema è come arrivarci: sui trasporti il sistema ha fallito. Dopo la prima ondata, non avremmo voluto vedere le immagini di bus e metro affollati. Facciamo tesoro degli errori commessi”. Agostino Miozzo, il coordinatore del Cts, ha parlato di “sindrome della capanna” e ha chiesto di riaprire le scuole.

 

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“I ragazzi trascorrono sempre più tempo davanti al computer isolati dal resto del mondo. Milano può avere una maggiore capacità di resistenza rispetto ad altre città, qui non ci sono le rivolte di Napoli, ma in questo secondo lockdown non c’è più fermento, la gente non si affaccia ai balconi, non si tengono iniziative di quartiere, in generale si respira un clima di cupa rassegnazione. Viviamo nella totale incertezza, nessuno sa dirci che cosa accadrà a Natale”. Lei ha capito perché il sistema di tracciamento, fondamentale per affrontare qualunque epidemia, sia saltato?

 

“Era prevedibile, adesso l’unico modo per combattere il virus è agire sugli aspetti sociali del contagio per scongiurare che si arrivi alla saturazione di ospedali e terapie intensive. La capacità diagnostica è migliorata, riusciamo ad anticipare le terapie ma nessuna di esse estirpa il virus: al momento attuale, non esistono cure efficaci, neanche il Remdesivir lo è. Se gran parte dei contagiati ha sintomi lievi o nulli, i pazienti sintomatici, anche una volta guariti, riportano nel tempo segni importanti a livello polmonare e cerebrale, accusano sintomi di stanchezza cronica e incapacità di concentrazione”.

 

A proposito degli ospedali, si registra un vistoso calo di screening e interventi chirurgici con il rischio che una diagnostica ridotta provochi un aumento della mortalità dei malati. “Il tema dell’accesso alle cure per i pazienti No Covid è molto importante perché l’Italia ha guadagnato un primato a livello europeo per la sua capacità di cura e prevenzione: non possiamo permetterci di perderlo. Facciamo fatica a convincere la gente a eseguire pap test, mammografie, ecografie… In corsia registriamo l’effetto combinato della paura di recarsi in ospedale per il potenziale rischio di contagio, unito alla ridotta disponibilità di accesso ospedaliero sia per funzioni ambulatoriali che per esami diagnostici. E’ l’aspetto più grave e preoccupante, insieme a quello economico”.

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Lei vive in Lombardia, la regione più colpita dal virus: che cosa non ha funzionato nella Sanità lombarda? “Verso i lombardi e, in particolare, verso i milanesi si alimentano spesso invidie e gelosie. Ciò che è accaduto ha fatto emergere la necessità di aggiornare l’attuale sistema. Ogni modello, del resto, non rimane statico nel tempo ma si adegua al contesto che cambia. In primo luogo, bisogna investire nella medicina del territorio e mettere in rete i numerosi ospedali esistenti che andrebbero collegati tra loro anche in base alle specialità terapeutiche. La Lombardia può contare su strutture che sono eccellenze a livello internazionale, ma è venuto il momento di metterle in rete per evitare l’affollamento di quegli ospedali su cui grava maggiormente la cura del paziente complesso”.

 

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In Bicocca lei è anche presidente della Fondazione Tecnomed che si occupa di tecnologie biomediche di ultima generazione. “La crisi pandemica ha stimolato ulteriori avanzamenti nel campo della telemedicina: per la diagnostica, per esempio, i nostri scienziati hanno applicato l’intelligenza artificiale alle radiografie dei pazienti per individuare le polmoniti sospette e in futuro anche la refertazione a distanza sarà sempre più accurata. Vogliamo imitare Israele che resta un modello insuperato”.

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