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Da Tolstoj alla Dad

Antonio Gurrado

Il “libero ordine”, chiave di volta della scuola avanguardista proposta dallo scrittore russo 150 anni fa

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Nel giro di un secolo, preconizzava Tolstoj a metà Ottocento, la scuola sarebbe finalmente stata senza lavagne, senza cattedre, senza banchi. Aveva vaticinato la didattica a distanza, l’istruzione liquida esercitata da ciascuno dove si trova più comodo? Il sospetto che Tolstoj avesse capacità divinatorie si rafforza quando ipotizza che in futuro si sarebbe fatto lezione altrove: “La galleria, il teatro, la biblioteca, il museo”, come nei più sfrenati sogni estivi di Lucia Azzolina. Quanto ai giardinetti Tolstoj non si esprime, ma c’è da presumere li guardasse con favore; nella scuola che aveva fondato a Jasnaja Poljana, sperimentando un metodo d’insegnamento a dir poco avanguardista, si faceva lezione all’aperto quando se ne aveva voglia e l’impietoso clima russo lo permetteva.

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Nel giro di un secolo, preconizzava Tolstoj a metà Ottocento, la scuola sarebbe finalmente stata senza lavagne, senza cattedre, senza banchi. Aveva vaticinato la didattica a distanza, l’istruzione liquida esercitata da ciascuno dove si trova più comodo? Il sospetto che Tolstoj avesse capacità divinatorie si rafforza quando ipotizza che in futuro si sarebbe fatto lezione altrove: “La galleria, il teatro, la biblioteca, il museo”, come nei più sfrenati sogni estivi di Lucia Azzolina. Quanto ai giardinetti Tolstoj non si esprime, ma c’è da presumere li guardasse con favore; nella scuola che aveva fondato a Jasnaja Poljana, sperimentando un metodo d’insegnamento a dir poco avanguardista, si faceva lezione all’aperto quando se ne aveva voglia e l’impietoso clima russo lo permetteva.

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Leggendo il resoconto di Tolstoj su due mesi di ordinaria attività scolastica (li ha pubblicati e/o col titolo “Per una scuola viva, per una scuola vera”), si capisce che le sue profezie si collocano in un futuro tuttora inattingibile. Più che ipotizzare la didattica a distanza, Tolstoj in realtà patrocina una distanza dalla didattica a cui ancora oggi non ci siamo persuasi. All’epoca Tolstoj voleva offrire non un modello da seguire ma solo un esempio di buona pratica, essendo certo che un ideale scolastico non esistesse in quanto non può esistere una teoria didattica; esiste solo l’approccio concreto di insegnare tenendo presente che il corpaccione della scuola di giorno in giorno “è sottoposto a temporanee crisi, infortuni, malattie e cattivi stati d’animo”.

 

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Oggi invece, come se niente fosse, il dibattito autoreferenziale sulla scuola è ancora ancorato a quel formalismo aprioristico che Tolstoj vedeva incarnato in banchi e lavagne. Si è solo cambiato l’ordine di oggetti (con o senza rotelle) di cui discutere, ma immutata è rimasta la pretesa di poter individuare una miracolosa caratteristica universale che, applicata su vasta scala, sia efficace e risolutiva. Per questo bisogna sforzarsi di leggere questo resoconto spogliandolo della tentazione romantica che affiora nelle pagine in cui Tolstoj diventa un po’ troppo don Milani: non faceva portare libri e quaderni agli studenti, li lasciava liberi di presentarsi di non presentarsi o andarsene quando vogliono; quanto ai voti, a Jasnaja Poljana erano considerati “una sopravvivenza del vecchio sistema che spontaneamente inizia a scomparire”.

 

Il vero fulcro del libretto sta invece nell’assalto al presupposto diritto a educare, all’illusione insomma che la scuola renda migliori e che si debba soltanto escogitare lo stratagemma per superare i fallimenti passati. Per Tolstoj la scuola serve a istruire, a comunicare contenuti; non a educare, cioè a rendere l’alunno qualcuno che non vorrebbe diventare. Centociquant’anni dopo, pur con tutte le sue evoluzioni, il dibattito sulla scuola è ancora imperniato sulla “accuratezza esteriore” che Tolstoj criticava. Lasciando gli alunni liberi di arrivare quando volevano e sedersi dove preferivano, Tolstoj stava non solo esprimendo disinteresse per la disciplina (incidentalmente e con indifferenza annota che un alunno ha ustionato la guancia di un altro) ma patrocinando come principio cardine di Jasnaja Poljana la responsabilità del “libero ordine”.

 

Partecipando volontariamente alle lezioni, gli studenti hanno interesse a imparare quindi si organizzano di conseguenza, senza bisogno di stampini calati dall’alto. Oggi la scuola eterna sul registro elettronico i minuti di ritardo dopo la prima campanella mentre a Jasnaja Poljana gli alunni si irritavano se la lezione non iniziava in orario, poiché vedevano leso un proprio interesse e non un ordinamento astratto. “La scuola non deve immischiarsi nel processo educativo, compito esclusivo della famiglia”, scrive Tolstoj.

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“Il miglior modo di amministrare la scuola consiste nell’offrire agli allievi piena libertà di studiare e organizzarsi come vogliono”. Ancora oggi invece, banchi o non banchi, lavagne o non lavagne, il formalismo didattico costringe gli studenti in gabbie disciplinari, condizionamenti etici e strutture teoriche con l’obiettivo di renderli persone migliori o addirittura (lo ha detto il ministro stesso) felici, fallendo da sempre. In compenso li lascia liberi di non studiare, come dimostra qualsiasi confronto fra i magrissimi risultati dei test obiettivi e le percentuali irrisorie delle bocciature inflitte nel corso della carriera scolastica.

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