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Idee per una scuola all’altezza della pandemia

Mario Leone

La Dad non basta. Nuovo personale, rotazione di gruppi, più medici negli edifici. I fondi ci sono e sono quelli del Mes e del Recovery fund. Chi vuole raccogliere la sfida? 

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Alcune premesse doverose. Primo: organizzare, far ripartire e cercare di mantenere viva la normale attività scolastica in tempi pandemici è questione complicatissima, mai affrontata, per la quale non esiste una ricetta univoca. Si naviga a vista, sulla base delle circostanze mutevoli, si va cioè per tentativi. Secondo: avviare l’anno scolastico era doveroso. Lo diciamo con ancora più fermezza dopo un mese di scuola, ne abbiamo anche parlato qualche giorno fa su “La classe non è acqua”, la nostra newsletter dedicata alla scuola. Gli studenti di parecchie classi in giro per l’Italia ci hanno raccontato di essere ritornati a scuola non solo per permettere ai genitori di lavorare per far ripartire l’economia ma anche, e soprattutto, per loro stessi: per studiare e imparare, per conoscere e crescere.

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Alcune premesse doverose. Primo: organizzare, far ripartire e cercare di mantenere viva la normale attività scolastica in tempi pandemici è questione complicatissima, mai affrontata, per la quale non esiste una ricetta univoca. Si naviga a vista, sulla base delle circostanze mutevoli, si va cioè per tentativi. Secondo: avviare l’anno scolastico era doveroso. Lo diciamo con ancora più fermezza dopo un mese di scuola, ne abbiamo anche parlato qualche giorno fa su “La classe non è acqua”, la nostra newsletter dedicata alla scuola. Gli studenti di parecchie classi in giro per l’Italia ci hanno raccontato di essere ritornati a scuola non solo per permettere ai genitori di lavorare per far ripartire l’economia ma anche, e soprattutto, per loro stessi: per studiare e imparare, per conoscere e crescere.

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Terzo: pur tenendo sempre in considerazione la curva epidemica, chiudere gli istituti dev’essere l’extrema ratio. Una polemica, questa, che tiene banco nelle ultime ore. Da un lato i governatori propongono la didattica a distanza per le scuole superiori per alleggerire il carico dei trasporti, possibile fonte di diffusione del contagio; dall’altro il ministro che, numeri (positivi) alla mano, si chiede: “Con questi dati dovrei lasciare gli studenti a casa? Spiace – ha aggiunto – che qualcuno pensi che studenti e studentesse possano essere sacrificabili. […] Nella giornata di un alunno le ore a scuola sono quelle più sicure”.

 

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Al di là delle polemiche e delle tante considerazioni è necessaria un’attenta riflessione sulla situazione che potrebbe venire a crearsi tra due mesi, quando una seconda ondata pandemica potrebbe colpirci con numeri e situazioni molto più gravi di quelli attuali. Se a febbraio nemmeno Cassandra avrebbe predetto simili scenari, ora anche un bambino riconosce che bisogna strutturare soluzioni da mettere in campo al momento giusto affinché cada ogni alibi e non si senta qualcuno pronunciare la fatidica frase: “Ormai è troppo tardi”.

 

L’approccio dev’essere diverso da zona a zona, strutturando interventi che rispondano alle singole situazioni. Proviamo a fare delle ipotesi. Nell’immediato, organizzare una didattica a distanza con le classi di scuola superiore non sembra una bestemmia. Si potrebbero pensare gruppi che si alternano a distanza di quindici giorni in modo tale da “pulire” le classi da eventuali asintomatici e alleggerire il trasporto pubblico, il vero problema dell’attuale fase. Si parla tanto di Dad, Didattica digitale a distanza, potrebbe essere l’occasione per strutturarla seriamente, provando anche a migliorare le infrastrutture informatiche.

 

Risolvere poi la questione del personale docente. A Milano e in molte parti d’Italia sono tante le cattedre ancora vuote, soprattutto quelle di sostegno. Problema gravissimo che ricade su alunni e famiglie e che ha spinto il ministero a inviare una task force che velocizzasse le procedure. Una sorta di commissariamento velato, non gradito all’ex ministro Bussetti. Al di là delle beghe di Palazzo, coprire le caselle mancanti e aumentare ancora l’organico sarebbe doveroso.

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E qui facciamo un passo ulteriore. Molti istituti sono costretti a chiudere o a ridurre il loro orario perché tantissimi sono i docenti tenuti in isolamento fiduciario. Se un ragazzo risulta positivo al Covid, tutta la classe e il corpo docente che ha avuto contatti nelle quarantotto ore precedenti i sintomi va in isolamento. Un protocollo così strutturato porta alla chiusura delle scuole. Nelle prossime settimane i casi aumenteranno, bloccando i docenti a casa, in attesa che trascorrano i dieci giorni di quarantena e il successivo tampone (si spera) negativo. Sono necessarie regole chiare e uguali ovunque, sinergia con i medici di famiglia ma soprattutto prevedere test rapidissimi a scuola per alunni e docenti, anche a giorni alterni come per le squadre di calcio. Fatto il tampone, si ritorna in classe ripetendolo dopo due giorni.

 

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Una procedura, questa, non affidata ai dirigenti, già fiaccati da innumerevoli problemi, ma alla figura del medico scolastico, almeno uno per scuole della stessa zona, con il compito di occuparsi di medicina scolastica, non solo di Covid. I fondi ci sono e sono quelli del Mes (non tutti ovviamente) e ci sono anche i soldi del Recovery fund che come richiamato da Giuseppe Bertagna, ordinario di Pedagogia generale dell’Università di Bergamo, sul numero di ottobre della rivista Nuova Secondaria, rappresentano l’ultima chiamata per una politica che aspiri ancora a governare e non solo a lasciarsi trascinare dagli eventi, con maggiore o minore spreco di risorse pubbliche e improvvisazioni di ogni sorta.

 

Dopo aver stabilito protocolli, indicazioni, come si entra e come si esce in sicurezza, sarebbe anche il caso di ritornare a occuparci di come e che cosa i nostri studenti apprendono quando sono a scuola. È nel mezzo di questa crisi, infatti, che si aprono le – forse ultime – chance per un ripensamento del sistema. Qualcuno sarà all’altezza di raccogliere la sfida?

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