PUBBLICITÁ

Vi riconosco, mascherine

Annalena Benini

In classe non ci sono i banchi ma non importa, è troppo presto per arrabbiarsi. Piuttosto, com’è andata oggi a scuola? La domanda più attesa non ha mai una risposta certa, tranne una, nuova: i maschi non fanno più la lotta

PUBBLICITÁ

Com’è andata oggi a scuola?, dopo tanti mesi mi sento finalmente legittimata a fare la più normale delle domande. Con le lezioni online sarebbe stato un po’ ridicolo chiedere: com’è andata a scuola?, affacciandomi in cucina – non che non lo abbia fatto, ma ho ricevuto in risposta sguardi di pietà e ho lasciato perdere. Adesso invece eccoli uscire di casa, con lo zaino sulle spalle, eccoli tornare, affamati annoiati angosciati allegri sudati stanchi e sempre in videochiamata con qualcun altro. Scusa mamma ti puoi spostare?, mi impalli la telefonata. Ok va bene, ma come è andata a scuola? Bene. Cioè? Cioè bene, ho Niccolò come vicino di banco, cioè di sedia. In che senso di sedia? Nel senso che i banchi non ci sono, ci sono solo le sedie. Ah, i banchi non ci sono, ci sono solo le sedie. Me lo ripeto mentalmente, con lentezza, solo le sedie. Certo, solo le sedie. E i quaderni e i libri dove li mettete? Sulle ginocchia, no? Oppure nello zaino per terra. Per terra. Scusa e il vocabolario di Greco dove lo appoggi?, è la prima domanda che mi viene in mente: non il conflitto igienico tra mascherina in faccia e libri per terra, non l’assurdità di stare senza banco dovendo lavorare, non la scuola trasformata in una riunione degli Alcolisti anonimi, con le sedie a semicerchio, ma la collocazione del vocabolario di Greco. Ma lei si è già volatilizzata, non ha neanche finito la pasta, si è chiusa in camera, sta al telefono con Giorgia, la sento che dice: secondo me tua madre non ti lascia a casa domani, e se cominci a starnutire guarda che diventa un casino.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Com’è andata oggi a scuola?, dopo tanti mesi mi sento finalmente legittimata a fare la più normale delle domande. Con le lezioni online sarebbe stato un po’ ridicolo chiedere: com’è andata a scuola?, affacciandomi in cucina – non che non lo abbia fatto, ma ho ricevuto in risposta sguardi di pietà e ho lasciato perdere. Adesso invece eccoli uscire di casa, con lo zaino sulle spalle, eccoli tornare, affamati annoiati angosciati allegri sudati stanchi e sempre in videochiamata con qualcun altro. Scusa mamma ti puoi spostare?, mi impalli la telefonata. Ok va bene, ma come è andata a scuola? Bene. Cioè? Cioè bene, ho Niccolò come vicino di banco, cioè di sedia. In che senso di sedia? Nel senso che i banchi non ci sono, ci sono solo le sedie. Ah, i banchi non ci sono, ci sono solo le sedie. Me lo ripeto mentalmente, con lentezza, solo le sedie. Certo, solo le sedie. E i quaderni e i libri dove li mettete? Sulle ginocchia, no? Oppure nello zaino per terra. Per terra. Scusa e il vocabolario di Greco dove lo appoggi?, è la prima domanda che mi viene in mente: non il conflitto igienico tra mascherina in faccia e libri per terra, non l’assurdità di stare senza banco dovendo lavorare, non la scuola trasformata in una riunione degli Alcolisti anonimi, con le sedie a semicerchio, ma la collocazione del vocabolario di Greco. Ma lei si è già volatilizzata, non ha neanche finito la pasta, si è chiusa in camera, sta al telefono con Giorgia, la sento che dice: secondo me tua madre non ti lascia a casa domani, e se cominci a starnutire guarda che diventa un casino.

PUBBLICITÁ

 

Da dietro la porta chiusa urla, rivolta a me: a dicembre forse arrivano i banchi. Fine del racconto. Sono sei mesi che aspetto il ritorno a scuola dei miei figli, e di tutti i figli di tutti, e sono settimane che firmo circolari di ogni tipo sul rientro, compreso un patto educativo di corresponsabilità tra scuola e famiglia secondo il quale se mio figlio ha il raffreddore è quasi un reato, per non dire delle copertine di plastica dei libri che permetterebbero al virus di resistere per settantadue ore e diffondersi (ma ammetto che questa notizia mi ha inorgoglito, perché sono almeno due anni che ho abbandonato la volontà di mettere le copertine ai libri di scuola). Sono anche sei mesi che dico ai miei figli: sono sei mesi che non andate a scuola, ho iniziato a dirlo a marzo ogni volta che percepivo l’ombra dell’inizio di un tentativo di lamento. Sono sei mesi che aspetto e mi struggo, ma cerco di non parlare mai mai mai di scuola con gli altri genitori. Si sono quasi tutti improvvisamente trasformati in esperti di riforme scolastiche e pedagogiche applicate al Covid, tra Maria Montessori, Luigi Berlinguer, Rudolf Steiner, Gianni Rodari, però anche con competenze medico architettoniche per sanificare le classi. Non esiste conversazione, in cui io di solito mi travesto da vaso di fiori o dico a gesti che sono afona, in cui a un certo punto non venga citata anche la riforma Gentile, perché la soluzione dei problemi va cercata a monte.

PUBBLICITÁ

 

E poiché tutti abbiamo trascorso a scuola un periodo più o meno lungo e fortunato della nostra vita, e insomma siamo stati giovani, sul finire della discussione si va di solito sul sentimentale, e i genitori sentono sempre il bisogno di portare come esempio luminoso la loro personale esperienza, oppure quella che credono di aver vissuto dopo aver letto il libro Cuore di Edmondo de Amicis. Tipo: io andavo a scuola camminando mezz’ora nella neve all’andata e mezz’ora al ritorno. Per significare che è molto capriccioso da parte dei nostri figli lamentarsi del fatto che gli autobus non passano mai e che quando passano sono al completo e non si può salire, e hanno pure soppresso molte fermate per evitare assembramenti. Oppure: io ho avuto una sola maestra per cinque anni di elementari ed era molto meglio (interessante, anch’io ho avuto una sola maestra che mi insegnava le canzoni napoletane, ma che cosa c’entra con il Covid?). Ho molto apprezzato: io andavo a scuola con 38 di febbre perché mio padre mi costringeva e non sono mica cresciuto male (però poi hai sentito il bisogno di metterti il parrucchino, penso da dentro il mio pavido vaso di fiori).

 

PUBBLICITÁ

Tutti hanno una proposta geniale inascoltata: i piccoli gruppi, le rotazioni, portarsi un banco da casa, mandare sul gruppo di classe dei brevi video con data e ora e misurazione della temperatura per ogni alunno e per ogni insegnante, come nei rapimenti. In uno di questi improvvisati e sfinenti convegni sul ritorno a scuola, un padre ha detto solo, con gli occhi bassi: io facevo sempre a botte all’intervallo. Occhiatacce, la violenza non è la risposta, e poi di nuovo si raccoglievano le firme per la richiesta di un termoscanner all’ingresso della scuola. Ho detto a gesti che la mia casa stava andando a fuoco e sono andata via correndo. Però: io facevo sempre a botte all’intervallo ha continuato a girarmi in testa nei giorni successivi. Ho firmato tutti i documenti, ho comprato pacchi di mascherine, e anche le salviette igienizzanti che erano richieste per i banchi. Ma i banchi non ci sono, quindi ora ho tutte queste salviette igienizzanti con cui ho igienizzato anche i muri. Finalmente mia figlia è uscita dalla stanza, piangendo perché dei cento esercizi di Latino assegnati per l’estate ne aveva fatti cinque, confidando forse in un’amnistia dell’emergenza, e invece la professoressa aveva appena scritto un messaggio davvero stupefacente, incredibile, assurdo, cioè: cari ragazzi, domani portate i compiti svolti (“ma come, non dobbiamo parlare del coronavirus?”, “è senza cuore, è la regina delle nevi”, “no regà non esiste”, “no vabbè devo fare il chiusone stanotte”, “ma c’ho l’abbiocco”, “mia madre me corca”, “mainagioia”), e ha detto che così non si può andare avanti, che lei non ce la fa più, e che sente che la mascherina le sta provocando danni al cervello e che senza banco è diventata ancora più gobba. Al terzo giorno di scuola mi sembra un po’ esagerato, e stavo anche per dirle che io alla sua età andavo a scuola camminando per mezz’ora nella neve fresca.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Sono ancora troppo entusiasta dell’inizio della scuola per arrabbiarmi: non importa se in classe devi prendere appunti sulle ginocchia, non importa se non potete passarvi penne, gomme, quaderni e soluzioni dei compiti in classe, non importa se non potete scambiarvi la merenda, baciarvi nei bagni, litigare a un centimetro di distanza, camminare abbracciate in cortile. L’importante è che la scuola sia ricominciata, e che gli insegnanti non abbiano gettato la spugna. L’importante è che ci siano i compiti da correggere, la Divina Commedia da spiegare, i compagni tutti insieme in una stanza, la prof che li guarda e si accorge se sono cresciuti, se sono attenti, se sono cambiati. Al liceo Socrate di Roma, anche loro senza banchi, le ragazze hanno protestato contro la richiesta della vicepreside ad alcune studentesse dell’ultimo anno di non esagerare con le minigonne, perché senza banchi “ai prof cade l’occhio”: si sono presentate a scuola tutte in minigonna, ovviamente, e così almeno questo inizio d’anno per un po’ si è spostato sulla libertà di mostrare le gambe invece che sui metri di distanza. Sono importantissimi ma sono noiosi. Costanza è già a casa perché ha il raffreddore allergico ma è troppo complicato da spiegare, deve portare il certificato medico e però sua madre non vuole che vada nello studio medico “a prendersi il Covid”. Anche mia figlia ogni tanto ha il raffreddore allergico, le lacrimano gli occhi tantissimo e quasi non respira finché l’antistaminico fa effetto, spero tanto che non le succeda a scuola, sennò dovrà andare a chiudersi nella classe dell’isolamento in attesa che io mi precipiti a prenderla.

 

Nel firmare il patto di corresponsabilità ogni genitore si impegna “a precipitarsi a scuola” in caso di necessità. Sarà un delirio, dicono tutti. Penso a mio figlio che ogni volta che suda perde la voce, penso alla mia solita tosse di gennaio, alle inalazioni, al raffreddore normalissimo che adesso nessuno può più permettersi di avere se non chiudendosi in casa, lontano da orecchie e sguardi indiscreti. Penso ai lockdown che ripartono negli altri paesi. Sarà un delirio, è vero. Ma intanto i ragazzi sono tornati a scuola, e le madri delle chat distribuiscono informazioni sugli assembramenti che hanno spiato dall’auto in doppia fila: “abbiamo notato dei comportamenti non proprio corretti davanti al portone, non è un buon inizio”, e molte faccine che piangono, faccine preoccupate, faccine che rimuginano, faccine stupite, faccine arrabbiate, faccine con il cervello che esplode, oltre a una serie di commenti sull’uso delle mascherine in classe, da cui si evince che ogni ragazzo racconta alla madre una cosa diversa per essere lasciato in pace. A me sembra che per il momento abbia ragione Altan, nella vignetta in cui un padre chiede al figlio: sei pronto per la scuola? E il figlio serafico risponde: io sì. Tu prenditi un Valium. Forse dovrei prendermi un Valium, ma aspetto il prossimo raffreddore e chiedo a mia figlia di sforzarsi di spiegarmi che cosa è cambiato a scuola, che cosa c’è di diverso, che cosa è stato rovinato per sempre, che cosa sente quando entra in classe con la mascherina, si siede con la mascherina, e se la toglie solo se il professore lo permette (ci sono professori più fragili di altri, più anziani di altri, ci sono moltissime variabili da prendere in considerazione, ci sono nella stessa mattina insegnanti tranquilli, insegnanti ragionevoli e insegnanti terrorizzati, proprio come per strada, proprio come nei nostri uffici).

 

Lei non ha nessuna voglia di occuparsi della mia curiosità, è alle prese con “La chimera” di Sebastiano Vassalli e io la sto disturbando per capire una cosa che credo di conoscere ma non conosco più per niente, la scuola. Dice che è tutto uguale alla fine, la paura di essere interrogati e le chiacchiere con gli amici, la fame tremenda e l’impossibilità di mettere i crackers sotto il banco, e che stare distanti è impossibile, al cambio dell’ora poi fanno delle specie di ammucchiate, ma dice che una cosa diversa c’è: “I maschi non fanno più la lotta”. Allora aveva ragione quel padre con gli occhi bassi, allora questa è una cosa importante: i maschi non fanno più la lotta, prima la facevano sempre, perché sono maschi e si divertono così, e risolvono tutte le questioni così, si sfogano così, sono così: fanno a botte. In tutti i film a un certo punto ci sono due maschi che fanno a botte e poi si calmano. Fanno a botte sul serio e a botte per gioco. Le femmine li guardano, a volte, e dicono: mah. Il Covid ha portato via ai maschi tutte le botte all’intervallo. E’ un bene? E’ un male? Queste generazioni sapranno crescere senza menarsi in cortile? E se fosse questa la via di uscita da un sacco di problemi? Poiché il virus potrebbe causare epidemie annuali, o comunque potrebbe rimanere in agguato per anni e poi ritornare, potrebbe mutare, questa faccenda delle botte va presa in considerazione. Ma per il momento mi basterebbero i banchi, anche vecchissimi, quelli con il buco per il calamaio che usavo io quando andavo a scuola camminando per ore nella neve.

PUBBLICITÁ