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Aule senza lagna

La scuola riapre tra pratica e teoria: “Io speriamo che me la cavo”

Parlano i dirigenti scolastica di Emilia e Molise

Marianna Rizzini

In Emilia Romagna il direttore dell’Ufficio scolastico regionale Stefano Versari dice di essersi ispirato, in questo periodo, all’immagine di “Marcellino pane e vino” che ha appeso in studio: “Mi ricorda chi siamo: amministratori che faticano e lavorano con quello che hanno

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“La realtà alla fine è stata più semplice della teoria”, ha detto qualche giorno fa il Provveditore agli studi di Bologna Giuseppe Panzardi, alla riapertura delle scuole, nel momento in cui la riapertura stessa restava sospesa tra grandi speranze, grandi aspettative, grandi polemiche su spazi, banchi e disservizi. Ma che cosa succede nella realtà? E’ stata davvero più semplice della teoria? Ed è dappertutto la stessa cosa? Lo chiediamo ad Anna Paola Sabatini, giovane capo dell’Ufficio scolastico regionale del Molise, la seconda regione che il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina ha visitato nel tour pre-ripartenza. Il momento peggiore sembra superato, nelle parole di Sabatini, ma il ricordo dei mesi duri è in agguato. Non completamente negativo, ché in nuce c’era già tutto: “Era una situazione imprevista e imprevedibile, eppure la scuola, nella mia regione, si è dimostrata resiliente. Abbiamo vissuto un tempo che sembrava infinito, immersi nell’ansia e nella paura. C’era il rischio che uno stato d’animo psicologico negativo condizionasse il percorso, con le famiglie costrette improvvisamente a chiudere i contatti con il mondo. La scuola era in qualche modo l’unico soggetto esterno che poteva entrare nelle case”. Con l’incognita della digitalizzazione, in una regione “che per il 75 per cento è fatta di aree interne: ci chiedevamo come fare, nonostante le carenze strutturali, sapendo che queste dovevano essere colmate con buona volontà e creatività. E il sistema ha risposto: ho visto dirigenti scolastici inventarsene di tutti i colori. E se è vero che la didattica a distanza non è l’ideale ed è perfettibile, è anche vero che l’alternativa era il nulla, e il nulla non ce lo potevamo permettere”. Il momento di svolta anche psicologico è arrivato con l’esame di maturità: “Un momento catartico, nell’incertezza. E quella spinta positiva è stata quella che ci ha permesso di affrontare le criticità, non soltanto nella scuola”. Magari ora, riflette Sabatini, “può sembrare un miracolo che si riparta. Non lo è: dietro c’è molto lavoro, molta determinazione, molta voglia di superare le difficoltà, come e più di ogni anno, pensando: la riapertura è sempre una storia a sé, stavolta è un po’ più dura ma ce la faremo”. Quest’anno si tratta anche “di mettere a sistema tante variabili: dai trasporti alla Sanità. E certo la tentazione della lamentela a volte c’è, ma è prevalso lo stato d’animo combattivo, da ‘io speriamo che me la cavo’. Adesso siamo in una fase diversa, abbiamo tirato il primo sospiro di sollievo, dobbiamo continuare a lavorare. E aggiungo: la scuola può essere avamposto di prevenzione, insegnando ai ragazzi una nuova responsabilità”.

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“La realtà alla fine è stata più semplice della teoria”, ha detto qualche giorno fa il Provveditore agli studi di Bologna Giuseppe Panzardi, alla riapertura delle scuole, nel momento in cui la riapertura stessa restava sospesa tra grandi speranze, grandi aspettative, grandi polemiche su spazi, banchi e disservizi. Ma che cosa succede nella realtà? E’ stata davvero più semplice della teoria? Ed è dappertutto la stessa cosa? Lo chiediamo ad Anna Paola Sabatini, giovane capo dell’Ufficio scolastico regionale del Molise, la seconda regione che il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina ha visitato nel tour pre-ripartenza. Il momento peggiore sembra superato, nelle parole di Sabatini, ma il ricordo dei mesi duri è in agguato. Non completamente negativo, ché in nuce c’era già tutto: “Era una situazione imprevista e imprevedibile, eppure la scuola, nella mia regione, si è dimostrata resiliente. Abbiamo vissuto un tempo che sembrava infinito, immersi nell’ansia e nella paura. C’era il rischio che uno stato d’animo psicologico negativo condizionasse il percorso, con le famiglie costrette improvvisamente a chiudere i contatti con il mondo. La scuola era in qualche modo l’unico soggetto esterno che poteva entrare nelle case”. Con l’incognita della digitalizzazione, in una regione “che per il 75 per cento è fatta di aree interne: ci chiedevamo come fare, nonostante le carenze strutturali, sapendo che queste dovevano essere colmate con buona volontà e creatività. E il sistema ha risposto: ho visto dirigenti scolastici inventarsene di tutti i colori. E se è vero che la didattica a distanza non è l’ideale ed è perfettibile, è anche vero che l’alternativa era il nulla, e il nulla non ce lo potevamo permettere”. Il momento di svolta anche psicologico è arrivato con l’esame di maturità: “Un momento catartico, nell’incertezza. E quella spinta positiva è stata quella che ci ha permesso di affrontare le criticità, non soltanto nella scuola”. Magari ora, riflette Sabatini, “può sembrare un miracolo che si riparta. Non lo è: dietro c’è molto lavoro, molta determinazione, molta voglia di superare le difficoltà, come e più di ogni anno, pensando: la riapertura è sempre una storia a sé, stavolta è un po’ più dura ma ce la faremo”. Quest’anno si tratta anche “di mettere a sistema tante variabili: dai trasporti alla Sanità. E certo la tentazione della lamentela a volte c’è, ma è prevalso lo stato d’animo combattivo, da ‘io speriamo che me la cavo’. Adesso siamo in una fase diversa, abbiamo tirato il primo sospiro di sollievo, dobbiamo continuare a lavorare. E aggiungo: la scuola può essere avamposto di prevenzione, insegnando ai ragazzi una nuova responsabilità”.


In Emilia-Romagna, intanto, il direttore dell’Ufficio scolastico regionale Stefano Versari dice di essersi spesso ispirato, in questo periodo, all’immagine di “Marcellino pane e vino” che da vent’anni campeggia sul muro del suo studio: “E’ un’immagine che mi ricorda chi siamo: amministratori che faticano e lavorano con quello che hanno. E allora dico: diamo fiducia alla scuola. Abbiamo lavorato come dei matti, e quello che ora si vede – un buon risultato, direi – è frutto di quello sforzo. Il sistema ha retto. Se poi si vuole vedere per forza l’imperfezione prego, ma si guardi piuttosto alla condizione di partenza: nessuno sapeva nulla. Non si sapeva come procedere, non si sapeva quale sarebbe stato l’andamento epidemiologico. Si potevano fare piccoli passi soltanto in base alla conoscenza empirica, senza neanche potersi vedere in faccia. Ricordo ancora le conference call a distanza con i presidi, durante le quali facevo fatica a capire lo stato d’animo reale dei miei interlocutori”. Ed empirico è anche l’approccio ora, dice Versari: “Abbiamo preparato una serie di note pratiche su come muoverci in vista dell’apertura. Che cosa fare se uno studente ha sintomi, come misurare la distanza, come adattare gli spazi, come garantire la giusta areazione, anche mettendo le piante in classe per ‘decontaminare l’ambiente’. Cose concrete, al di là delle chiacchiere”. Concrete come coinvolgere gli studenti nel “presidio” del territorio, per controllare che nei pressi delle scuole si indossino le mascherine, e pensare a soluzioni alternative, come quella nel padiglione 34 della Fiera di Bologna, trasformato in scuola su progetto dell’architetto Mario Cucinella. “Fare comunità: questo è il nostro faro”, dice Versari: “Magari in alcuni momenti è sembrato, quest’estate, che stessimo facendo una confusione tremenda. Ma era il massimo per ripartire. Ed eccoci qui”. 

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