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cattivi scienziati

Una nuova tecnica di analisi del Dna dimostra che le nostre radici genetiche sono africane

Enrico Bucci

Così la ricerca scientifica ci dimostra quanto siamo imparentati l'un l'altro, e come discendiamo tutti da poche linee antiche superstiti attraverso i millenni

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In tutte le epoche e in tutte le culture si sono sviluppate teorie circa la propria derivazione da questo o quel gruppo di antenati remoti. Derivare dalla gens Iulia, e porre questa in relazione con Enea, è stato per esempio un motivo ricorrente di discussione fra gli antichi romani, ma anche successivamente; e lo stesso si può dire per molti illustri antenati, chiamati sia a rassicurare i viventi circa la propria derivazione da individui eccezionali, sia, più in generale, a vincere l’idea di un’origine dal nulla, ma anche la paura di essere dimenticati, perché il ricordo di antenati remoti è buon auspicio circa la propria sopravvivenza nella memori delle genti future.

È vero, spesso l’ossessione per la ricerca delle proprie origini nascondeva anche la voglia di giustificare le proprie pretese attraverso la discendenza da antenati mitologici o addirittura divini; ma, più umanamente, è l’idea di essere parte di una ininterrotta catena di individui con origini remote, delle quali si è mantenuta memoria, che in un certo qual senso è rassicurante circa il destino della nostra stessa immagine, attraverso il ricordo di una lunga e potenzialmente interminabile fila di discendenti. Questo tipo di idee e di percezioni ha accompagnato per millenni individui di ogni cultura nello sforzo di immaginare e trovare o inventare prove della propria continuità con determinati antenati; oggi, tuttavia, le tecniche di sequenziamento del Dna – quelle stesse di cui più o meno tutti abbiamo sentito parlare, perché sono capaci di ricostruire la genealogia del virus che da due anni ci perseguita – sono in grado di ricostruire su base molto più oggettiva, soprattutto quando incrociate con altre evidenze materiali, la nostra ascendenza anche remota.

Tuttavia, l’albero familiare di tutte le persone viventi e mai vissute su questo pianeta è di una complessità tale, che sebbene esso debba certamente esistere, visto il modo in cui ci riproduciamo, la sua ricostruzione è stata fino a questo momento un’impresa pressochè impossibile.

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Grazie a nuove tecniche numeriche e di analisi statistica, oltre che all’uso intelligente dei genomi di diverse migliaia di individui attuali (sulle centinaia di migliaia disponibili) e di un piccolo numero di genomi antichi ritrovati da resti paleoantropologici (sulle migliaia di genomi disponibili), un gruppo di ricercatori ha descritto su Science la tecnica utile a creare l’albero genealogico universale della famiglia umana, in cui piazzare qualunque individuo mai vissuto e qualunque altro vivente o che vivrà, a patto che se ne conosca il genoma.

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La storia, vista da questa prospettiva genealogica, non è più la storia di questo o quel condottiero, di questo o quel popolo, re, inventore o idea: è la storia di una sola, singola gigantesca famiglia, in cui tutti siamo parenti, ed in cui tutti hanno avuto un ruolo.

Così, i ricercatori hanno osservato come la radice del nostro albero sia in Africa, anche dal punto di vista genetico: dentro, siamo tutti africani, e tutti discendiamo da moltitudini di migranti che in epoche diverse hanno abbandonato la propria terra di origine, per arrivare in terre nuove, disabitate o già abitate, finendo con fondare nuovi popoli o mescolarsi a quelli preesistenti.

Lo sapevamo già, perché questa è la logica della storia stessa; ma oggi possiamo provarlo, e possiamo, per ognuno di noi, scoprire le radici comuni che hanno portato i nostri comuni antenati fuori dall’Africa, e se del caso in Oceania o in Asia, ritrovando negli scheletri che dissotterriamo qui o là non più semplicemente i resti di persone vissute prima di noi, ma parenti che ci accomunano a fette amplissime di altri abitanti di questo pianeta.

Possiamo vedere l’emergere della pelle bianca, degli occhi a mandorla o di altre caratteristiche nei gruppi cugini che colonizzarono il mondo; possiamo scoprire quanto ci è vicino Attila o l’ultimo imperatore Ming, e senza ricorrere più al mito di Troia e di Enea, possiamo sapere come e quanto ci siano imparentati i micenei o qualunque altra antica popolazione, per la quale disponiamo di informazioni genetiche.

Tutto questo può fare e fa la ricerca scientifica: dimostrarci, fatti alla mano, come e quanto siamo parenti, e come discendiamo tutti da poche linee antiche superstiti attraverso i millenni.

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Questo è ciò che pensavo leggendo i dettagli tecnici dell’articolo su Science; ed intanto che il fascino di questi dati, e la bellezza della tecnica con cui sono stati utilizzati, mi dimostrava la grande famiglia della presente umanità, imparentata molto più di quanto non lo siano i coronavirus che ci stanno perseguitando, proprio mentre apprezzavo questo stretto legame di parentela con i più improbabili dei miei vicini o dei miei antenati, sentivo la minaccia di alcuni fra i componenti di questo albero, che come tutti, singolarmente, non ne costituisce che la cima più minuta dell’ultimo dei ramoscelli, minacciare di segare l’intera pianta con l’uso dell’arma nucleare.

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La bellezza della conoscenza che siamo stati capaci di creare, a confronto di ciò che altra conoscenza ha costruito per mantenere alto il terrore, a costo dell’autodistruzione: viviamo ben strani momenti, in cui mai come prima possiamo vedere di esser tutti parenti, eppure come sempre continuiamo a desiderare di scannarci.

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