(foto LaPresse)

cattivi scienziati

L'incognita terza dose

Enrico Bucci

I dati dicono che l’immunità è garantita. Ma è presto per fare previsioni sul futuro

Avremo bisogno a breve di una terza dose di vaccino? Questa domanda è importante, non solo perché la risposta ci dice qualcosa sull’efficacia dei vaccini attuali, ma anche perché una campagna vaccinale massiva, organizzata a intervalli minori di un anno, richiede uno sforzo sia organizzativo sia economico notevole, uno sforzo che potremmo essere incapaci di sopportare. Nella discussione che segue mi limiterò a considerare i vaccini a Rna, perché per essi per il momento vi sono un po’ più di dati a disposizione, utili a cercare di formulare una risposta.

 

Il primo elemento che ci serve per provare a dare una risposta consiste nella durata della protezione offerta dai vaccini, in studi controllati e su popolazioni ampie. Questi studi esistono, e sono quelli di fase III condotti dalle aziende, ancora in corso: dopo i dati preliminari pubblicati tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, sia Pfizer sia Moderna hanno comunicato i dati a sei mesi, nel caso di Pfizer rendendoli già disponibili in un preprint, mentre nel caso di Moderna comunicando per ora solo il risultato agli azionisti.

Tenendo conto che le aziende hanno vaccinato anche i gruppi di controllo inizialmente sottoposti a placebo (per ragioni etiche), e che gli studi sono passati da controllati con placebo in doppio cieco a studi sostanzialmente osservazionali, in entrambi i casi, dopo sei mesi (e basandosi su osservazioni presumibilmente condotte fino alla fine di maggio – inizio giugno) la protezione contro l’infezione sintomatica è dichiarata superiore o intorno al 90 per cento. Altrettanto buoni sono i dati comunicati, su tutte le fasce di età e sempre a sei mesi, per il rischio di sintomatologia grave e di morte. Dunque, in linea di principio la protezione conferita dai vaccini a Rna è rimasta quasi intatta per almeno 6 mesi; questo a dire delle aziende e in assenza di pubblicazioni scientifiche formali, ma soprattutto in un periodo in cui le varianti maggiormente circolanti erano diverse dalla Delta. Se i dati sono questi, e per ora non c’è ragione di dubitarne, in ogni caso significa che la risposta immune indotta contro i virus da cui il vaccino copre non decade così velocemente; i dati provenienti da Israele non sono spiegabili semplicemente ammettendo un “invecchiamento” dell’immunità nei soggetti vaccinati prima (da sei mesi o leggermente di più), e anche se la correlazione con tale variabile dovesse risultare presente, bisognerà vedere il numero di casi di cui si parla e se vi sono bias di osservazione – se cioè coloro che si sono vaccinati prima, essendo in generale fasce più fragili, non siano controllati più attentamente degli altri e non manifestano sintomi con più frequenza, rendendo più evidente i casi di reinfezione dopo vaccino. Oltre alla durata dell’immunità indotta da un vaccino, è importante sapere se essa sia e quanto protettiva nei confronti della nuova variante, la Delta. Su questo punto abbiamo dati un po’ più consolidati: la protezione, come risulta da molteplici studi già citati  e da un precedente articolo su queste pagine riguardo i recenti dati USA.

Infine, l’ultima pubblicazione di rilievo in merito, un preprint su un numero significativo di infezioni tra vaccinati e non vaccinati, dimostra che nei soggetti vaccinati la carica virale nel naso permane significativa per un periodo molto ridotto rispetto ai non vaccinati, confermando quindi una diversa trasmissibilità del virus da parte dei vaccinati, che potrebbero essere infettivi – quando e se contraggono il virus – per un periodo molto più ristretto, e sono quindi molto meno pericolosi degli infetti non vaccinati, oltre a esibire una risposta serologica neutralizzante molto robusta, e quindi a sperimentare molto meno sintomi.

L’insieme di tutti questi dati porta alla conclusione che, nell’immediato, non bisogna fasciarsi la testa, correndo subito a vaccinarci con una terza dose di richiamo, soprattutto se basata sui vaccini attuali. Una terza dose probabilmente sarà necessaria, ma è presto ancora per sapere con precisione quando; l’ideale sarebbe che per il momento in cui sarà richiesta, fossero già disponibili i vaccini di terza generazione, come quelli per esempio in fase II di sviluppo clinico di Moderna, che ha inviato per la pubblicazione dati che sembrano molto positivi per quel che riguarda tre diversi vaccini da usarsi per il richiamo, capaci di indurre una risposta forte anche contro le varianti Beta, Gamma e Delta, grazie alle opportune modifiche sugli RnaA utilizzati.

In conclusione, quindi, la domanda alla risposta iniziale è che in questo momento sappiamo che potrebbe volerci una terza dose di richiamo, perché, anche se per ora l’efficacia dei vaccini iniziali non si è persa, non sappiamo quanto durerà e quanto coprirà dalle nuove varianti in futuro. Lo so che si vorrebbe una risposta definitiva; ma questo è quanto oggi è disponibile, e non è il caso di azzardare risposte senza il supporto di dati più solidi.

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