Una scena di Ex Machina, film del 2015 scritto e diretto da Alex Garland 

cattivi scienziati

Anche all'intelligenza artificiale può essere attribuito un brevetto

Enrico Bucci

Per la prima volta si riconosce inventività a un algoritmo e alla macchina che lo utilizza. È il primo riconoscimento effettivo di alcuni diritti legali a una macchina

Per la prima volta nella storia, è stata riconosciuta da una corte di giustizia la validità di un tipo di brevetti mai visto prima. L’invenzione, in sé, potrebbe sembrare poco rilevante: si tratta di un nuovo tipo di contenitori per bevande a superficie frattale, la cui descrizione, riportata nella domanda di brevetto, è la seguente: “Un contenitore per uso, ad esempio, per bevande, presenta una parete con una superficie esterna ed una parete interna di spessore sostanzialmente uniforme. La parete ha un profilo frattale con una serie di elementi frattali sulle superfici interne ed esterne, i quali formano cavità e rigonfiamenti nel suo profilo e in cui una cavità vista da una delle superfici esterne o interne forma un rigonfiamento sulle altre superfici esterne o interne. Il profilo consente l’accoppiamento di più contenitori tra loro mediante l’incastro di fosse e rigonfiamenti su quelli corrispondenti dei contenitori. Il profilo migliora anche la presa, così come il trasferimento di calore dentro e fuori il contenitore.”

  
Il punto è che questa invenzione non è scaturita da un intelletto umano, ma da un sistema di intelligenza artificiale, denominato Dabus, riconosciuto come inventore nella domanda di brevetto.

    
Prima in Australia, e quindi in Sud Africa, si è stabilito che, da un punto di vista giuridico, un sistema di intelligenza artificiale può essere riconosciuto come autore di una invenzione. E’ interessante esaminare le motivazioni che hanno spinto il primo giudice che si sia pronunciato su questa possibilità, il giudice Beach, il quale ha dato ragione all’inventore del sistema di intelligenza artificiale, il dott. Thaler, il quale si era opposto alla decisione dell’ufficio brevetti australiano, che aveva dichiarato la necessità per un brevetto del riconoscimento di un inventore umano.

  
Fra le altre cose, il giudice ha così argomentato: “Se l’output di un sistema di intelligenza artificiale è un’invenzione, chi è l’inventore? E se per il brevetto è richiesto un umano, chi scegliere? Il programmatore? Il proprietario? L’operatore? L’addestratore? La persona che ha provveduto i dati di ingresso? Tutte queste persone insieme? Nessuno di loro? E’ mia opinione che, in alcuni casi, nessuno di loro abbia titolo. In alcuni casi, la migliore conclusione cui si può giungere, coerentemente con la sezione 2A, è che il sistema stesso è l’inventore. Questo riflette la realtà. E così si eviteranno incertezze”.

   
La portata di questa decisione, peraltro confermata anche dalla decisione in Sud Africa, è storica. Significa, se sarà ulteriormente confermata, che almeno da un punto di vista giuridico si riconosce inventività a un algoritmo e a una macchina che tale algoritmo utilizzi, e significa affermare che le macchine possono essere fonte diretta e autonoma di innovazione tecnologica, uno status sin qui riservato alle persone.

   
Ora, le considerazioni di ordine filosofico che da una tale decisione giuridica scaturiscono sono molteplici, e tali da eccedere le mie competenze, per cui non intendo in questa sede dibattere su questo fronte; tuttavia, vi sono considerazioni di ordine pratico che possono interessare chiunque produca innovazione e intenda brevettare il frutto del proprio ingegno.

   
Immaginate sistemi di intelligenza artificiale, costantemente volti a esplorare determinati problemi trattabili, per esempio, da una rete neurale che sia alimentata con milioni di esempi e che possa essere fatta procedere su macchine con potenza di calcolo inimmaginabile, come nelle “factory” di Google o di Amazon. Queste macchine, almeno per quel che riguarda determinate classi di invenzioni e di problemi, potrebbero agevolmente identificare un’infinità di soluzioni brevettabili, diventando motore di innovazione e progresso tecnologico per le aziende di settori ben determinati. 

  
In quei settori, l’intelletto umano sarebbe obsoleto, e nessun intelletto umano potrebbe alla lunga competere, così come è già accaduto per esempio nel gioco degli scacchi.

 
In quei settori, l’evoluzione tecnologica potrebbe addirittura essere guidata dalle macchine, e i proprietari di quelle macchine potrebbero essere i proprietari di invenzioni senza inventori umani.

 
Soprattutto, e questo mi pare il fatto più significativo, questo è il primo riconoscimento effettivo di alcuni diritti legali come spettanti a una macchina. Si potrebbe addirittura argomentare che, in forza di questo fatto, la macchina (o l’algoritmo) diviene una persona giuridica, anche se limitatamente alle questioni inerenti al riconoscimento della primogenitura di un’invenzione; un passo enorme, che non era mai stato azzardato prima. Inoltre, poiché, già oggi, le macchine sono in grado di creare musica e opere valutate di sufficiente pregio artistico, per estensione esse potrebbero essere riconosciute come autori di tali opere.

  
Mi sembra quindi di poter concludere che l’innovazione più significativa non è semplicemente l’aver sviluppato Dabus, una intelligenza artificiale capace di innovazione tecnologica; il punto più notevole, se sopravviverà alle giurisdizioni di altri paesi, è che, per la prima volta, certi diritti fanno capo a una macchina; è un primo, notevole passo, in direzione di un futuro fantascientifico.