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Cattivi scienziati

I giovani non sono così al sicuro dal Covid come si dice. Uno studio

Enrico Bucci

Secondo l'indagine condotta in Inghilterra, i rischi per la salute crescono proprio in quella fascia di popolazione che finora abbiamo considerato più al sicuro: i ragazzi. Ecco perché è necessario vaccinare e proteggere tutti

Cosa succede dopo la malattia indotta da Sars-CoV-2, una volta usciti dall’ospedale (nel caso si sia stati ricoverati)? Prova a rispondere a questa domanda uno studio realizzato in Inghilterra, che deve ancora passare la peer review, ma che a me pare convincente essendo basato su dati osservazionali piuttosto semplici da trattare. Non esiste ancora un consenso circa l’impatto del cosiddetto “long Covid”, ma le statistiche indicano che il 20 per cento delle persone sintomatiche continuano ad avere sintomi 5 settimane dopo l’infezione, e la metà di questi continua ad avere problemi per 12 settimane. Nel nuovo studio si sono considerati 47.780 individui ospedalizzati per Covid-19 in Inghilterra tra il 1° gennaio e il 31 agosto 2020.

 

A confronto con una coorte di controllo opportunamente scelta, fatta da individui che non sono mai risultati positivi al Covid nello stesso periodo e con pari caratteristiche generali, il nuovo studio riporta che chi è stato ospedalizzato per Covid ha 3,5 volte più probabilità di tornare in ospedale entro 140 giorni dal momento in cui ha lasciato l’ospedale e ha un rischio di morte di 7 volte superiore. Se consideriamo i più giovani, le cose peggiorano: poiché i giovani hanno un rischio minore in condizioni basali, dopo il Covid-19 il loro rischio individuale di ospedalizzazione e di morte aumenta molto di più che non in coloro che hanno oltre 70 anni (i quali hanno comunque un rischio elevato, e dunque possono aumentare tale rischio in misura minore). Non solo: a quanto pare, il fatto di essere stati o meno in terapia intensiva a causa del Covid non ha un impatto determinante, visto che gli individui che non erano stati in terapia intensiva sperimentano un aumento del proprio rischio di morte che è maggiore rispetto agli altri.
 Sempre secondo gli autori dello studio e secondo i dati che essi presentano, coloro che erano stati ospedalizzati per Covid-19 sono stati diagnosticati successivamente al loro rilascio dall’ospedale per eventi cardiovascolari maggiori, malattie croniche epatiche, malattie croniche renali e diabete rispettivamente 3, 2,8, 1,9 e 1,5 volte volte di più rispetto a un gruppo di controllo con le stesse caratteristiche, ma che non aveva avuto il Covid-19. Anche questi rischi sono risultati più elevati sia nei più giovani sia nei più anziani, in parte per la stessa ragione già enunciata.

 
A questo punto, se almeno la parte descrittiva di questo studio passerà la peer review – come io credo, perché non mi pare di individuare falle troppo estese – è evidente che l’accrescimento del rischio individuale di malattia e morte almeno per chi è stato ospedalizzato a causa del Covid-19 non può non tenere conto di cosa accade dopo il rilascio dall’ospedale, rinforzando il concetto che una larga fetta di popolazione mondiale considerata finora guarita in realtà è a rischio per la cosiddetta sindrome post-Covid. Inoltre, l’accrescimento dei rischi per la salute è maggiore proprio in quella fascia di popolazione che finora abbiamo considerato più al sicuro, vale a dire i più giovani; sono loro che, partendo da una situazione migliore, vedono peggiorare di più le proprie probabilità di rimanere sani, almeno nel caso in cui siano stati ospedalizzati per il virus. Questo è un chiaro messaggio che rende evidente sia perché è una stupidaggine la ricerca di una fantomatica immunità di gregge attraverso l’infezione naturale, sia perché è necessario vaccinare e proteggere tutti, non solo chi rischia di più al momento dell’infezione.

 

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