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Cattivi scienziati

Covid, così varianti così simili

Enrico Bucci

Quella inglese, quella sudafricana e quella giapponese. Sono diverse, ma hanno due elementi in comune

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La variante inglese. Poi quella sudafricana. Indi quella giapponese. Come volevasi dimostrare, se si comincia a sequenziare a sufficienza durante una fase espansiva del virus si trovano – per ovvi motivi statistici, connessi al numero di eventi replicativi e dunque di mutazioni – nuove varianti che ribollono di continuo, ovunque si guardi. Ma cosa hanno in comune queste varianti? Due elementi: la nostra ignoranza circa il loro effettivo significato e la voglia dei politici di sfruttarle per giustificare il dilagare del virus. Per quello che riguarda la prima variabile, c’è poco da fare: la ricerca per valutare appieno quale sia il motivo evolutivo per cui una determinata variante emerge è fra le più complesse. Soprattutto perché si rischia di scambiare la causa con l’effetto, quando ci si spinge a vedere nell’aumentare dei casi una conseguenza diretta dell’emersione di una nuova variante. Qui mi corre l’obbligo di fare una precisazione al lettore: mentre è chiaro a tutti che, se una certa variante ha un vantaggio nella sua trasmissibilità, essa aumenterà nella popolazione a spese delle altre e causerà un incremento dei casi totali, non è invece sufficientemente evidente ai più che il contrario non è affatto vero. Questa relazione, cioè, non è invertibile: se si sta verificando un aumento dei casi di epidemia, non è affatto detto che la ragione sia l’emersione di una nuova variante la cui frequenza appare nel frattempo aumentare.

 

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Esiste, infatti, un concetto di base di biologia evoluzionistica, chiamato evoluzione neutrale, strettamente connesso a un altro, chiamato deriva genetica. Per semplificare, cerchiamo di immaginare il seguente scenario. Immaginiamo qualche evento di superdiffusione su vasta scala: un certo virus, veicolato da un singolo individuo, trovandosi per caso nelle condizioni di affollamento e ambientali opportune, si diffonde raggiungendo rapidamente centinaia di persone diverse. A livello locale, questo virus avrà un vantaggio probabilistico immediato nella sua diffusione: essendo momentaneamente molto abbondante rispetto agli altri, la probabilità che altri si infettino con quello e non con altri virus sale, e questo ciclo si autoalimenta in numerosi passaggi successivi. Nelle condizioni giuste – principalmente se, a livello locale, non vi è troppo rimescolamento tra persone, così che i soggetti suscettibili tendano a entrare in contatto con questo virus in espansione – generando un’ulteriore crescita in frequenza dei casi di infezione da quella determinata variante. Ricapitolando: eventi casuali di innesco su scala più larga del solito, unitamente a una ripresa epidemica complessiva (che può vedere aumentare i casi per fattori ambientali, sociali, eccetera) possono generare una “deriva” che porta una certa variante ad aumentare proprio quando l’epidemia è in ripresa. Tutto questo, come è evidente, può avvenire per motivi puramente casuali, senza nessun effetto di selezione di versioni più “aggressive” del virus: è per questo che si chiama evoluzione neutrale.

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Per distinguere se una nuova variante è frutto di derive come questa o ha un effettivo vantaggio competitivo, sono necessari esperimenti diretti in laboratorio, che prevedano la misura della trasmissibilità e dell’infettività; e questi, al momento, mancano ancora – da cui la nostra ignoranza in merito al fattore che ha provocato l’emersione della variante inglese, di quella sudafricana o di quella giapponese e di tutte le prossime che troveremo. Nonostante questa ignoranza, però, per un politico che veda aumentare sotto la propria amministrazione il numero di casi, l’occasione è ghiotta per invocare altro che non sia il fallimento della propria politica o dei comportamenti delle persone: si può incolpare una variante localmente emersa, ipotizzando che sia più aggressiva. E dunque questo scenario si ripete in modo sempre uguale, dall’Inghilterra, al Giappone, al Veneto: prima ancora di sapere come stanno davvero le cose, un comodo colpevole è a disposizione per giustificare e assolvere noi stessi, incolpando il fato cinico e baro. Finché, almeno, nelle scuole d’Italia non si torni a insegnare davvero che cosa è la moderna teoria evoluzionistica.

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