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editoriali

La rivincita di Big Pharma

redazione

E’ ora di smetterla con gli atteggiamenti punitivi verso chi investe nella ricerca

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Il vaccino, anzi ben due vaccini per Sars-CoV-2, quello di Pfizer/BioNTech e quello di Moderna, sono arrivati ben prima di quanto gli esperti sostenessero – limitandosi a quelli riconosciuti dalla comunità scientifica mondiale e dalle agenzie del farmaco statunitense ed europea. La Merck ha firmato un accordo con gli Stati Uniti per fornire in via sperimentale il suo farmaco per il trattamento dei casi gravi. Mentre Ely Lilly attende di avere un quadro definitivo sull’efficacia di un anticorpo monoclonale anti Covid e dalla ricerca sugli anticorpi monoclonali sono attesi a breve altri risultati nella cura nel nuovo coronavirus. Entro giugno altri vaccini otterranno il via libera alla somministrazione, a partire da quello di AstraZeneca. Il mondo di Big Pharma ha risposto con velocità ed efficacia alla pandemia e ha mostrato che i grandi proventi realizzati non vanno a ingrassare gli azionisti e basta ma, nel tempo, e grazie a una dura concorrenza, sono serviti a mettere su un settore di ricerca e sviluppo con pochi uguali in altre industrie.

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Il vaccino, anzi ben due vaccini per Sars-CoV-2, quello di Pfizer/BioNTech e quello di Moderna, sono arrivati ben prima di quanto gli esperti sostenessero – limitandosi a quelli riconosciuti dalla comunità scientifica mondiale e dalle agenzie del farmaco statunitense ed europea. La Merck ha firmato un accordo con gli Stati Uniti per fornire in via sperimentale il suo farmaco per il trattamento dei casi gravi. Mentre Ely Lilly attende di avere un quadro definitivo sull’efficacia di un anticorpo monoclonale anti Covid e dalla ricerca sugli anticorpi monoclonali sono attesi a breve altri risultati nella cura nel nuovo coronavirus. Entro giugno altri vaccini otterranno il via libera alla somministrazione, a partire da quello di AstraZeneca. Il mondo di Big Pharma ha risposto con velocità ed efficacia alla pandemia e ha mostrato che i grandi proventi realizzati non vanno a ingrassare gli azionisti e basta ma, nel tempo, e grazie a una dura concorrenza, sono serviti a mettere su un settore di ricerca e sviluppo con pochi uguali in altre industrie.

 

Per capirci, lo sviluppo di un nuovo prodotto, cioè di una nuova molecola attiva per specifiche malattie o di un nuovo farmaco biologico richiedono investimenti superiori a quelli dedicati ad altri prodotti. L’elettronica di consumo, che domina le spese di oggi, in confronto investe molto meno nell’immissione sul mercato di nuovi strumenti. Questo fa dell’industria del farmaco un caso a sé e ne lega i destini ai rapporti con gli stati, che abbiano essi sistemi sanitari pubblici o che si appoggino invece, come succede negli Stati Uniti, sull’intermediazione delle società assicurative. Negli anni questo rapporto ha creato difficoltà e distorsioni, ma non se ne può fare a meno. E forse è arrivato il momento di smetterla con gli atteggiamenti punitivi rispetto ai profitti delle big del farmaco. Occorre saper distinguere, perché i profitti che incrementano la ricerca dovrebbero essere benedetti non solo dai liberisti ma anche da chi vede di buon occhio le politiche pubbliche. In Italia vige un sistema che taglia automaticamente i profitti e gli investimenti, proprio quando qualche farmaco viene molto utilizzato. Forse, tra le tante cose che dovranno cambiare, è il caso di rivederlo.

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