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La ricerca scientifica in miseria

Silvio Garattini

Poco personale, pochi fondi e troppa burocrazia: la scienza medica in Italia arranca. E l’Europa è lontana

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L’attuale pandemia ha fatto riaffiorare un interesse per la ricerca, un termine quasi obsoleto a livello mediatico in epoca pre-Covid. In altre parole, la ricerca scientifica ritorna di moda, ma si discute poco su alcuni aspetti fondamentali: ad esempio qual è lo stato della ricerca in Italia? Se si può usare una sola parola per rispondere a questa domanda direi: in miseria, termine che descrive una situazione di grave povertà. I numeri sono certamente più espressivi di tante parole.

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L’attuale pandemia ha fatto riaffiorare un interesse per la ricerca, un termine quasi obsoleto a livello mediatico in epoca pre-Covid. In altre parole, la ricerca scientifica ritorna di moda, ma si discute poco su alcuni aspetti fondamentali: ad esempio qual è lo stato della ricerca in Italia? Se si può usare una sola parola per rispondere a questa domanda direi: in miseria, termine che descrive una situazione di grave povertà. I numeri sono certamente più espressivi di tante parole.

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La ricerca si realizza con i ricercatori. In Italia, fatte le giuste normalizzazioni rispetto al numero di abitanti o di lavoratori, ne abbiamo la metà della media dei paesi europei. Non solo, ma continuiamo a perderne perché in Italia è molto difficile fare ricerca per le ragioni che si cercherà di illustrare. La fuga dei cervelli costa miliardi perché formare un ricercatore richiede molti soldi che di fatto regaliamo ai paesi che sono in concorrenza con l’Italia. La povertà del numero di ricercatori pubblici non è compensata dai ricercatori privati perché siamo anche nell’industria al penultimo posto della classifica europea. Abbiamo poche multinazionali e le piccole-medie imprese che caratterizzano il nostro paese non riescono ad aggregarsi per realizzare strutture di ricerca interaziendali.

 

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Alla povertà del numero di ricercatori corrisponde una povertà del finanziamento della ricerca. I nostri politici, anche per cultura generale, considerano la ricerca una spesa anziché un investimento. Infatti noi spendiamo una cifra equivalente a circa l’1,3 per cento del nostro pil contro circa il 2,1 per cento della media dei paesi europei e il 3,5 per cento della Germania. Per avvicinarci all’investimento in ricerca della Francia dovremmo spendere almeno 20 miliardi di euro in più ogni anno. Anche in questo caso la spesa della ricerca industriale è una delle più basse d’Europa. Inoltre la spesa italiana per ricerca è caratterizzata da complicazioni burocratiche incredibili, dalla mancanza di regolarità dei bandi di concorso e dalla imprevedibilità della disponibilità dei fondi. Per dare un’idea sono stati distribuiti in questi giorni i moduli per ottenere sovvenzioni relative al 2017! La mancanza di personale e di fondi di funzionamento rende molto difficile competere con altri paesi per ottenere le risorse per la ricerca dell’Unione europea.

 

Per quanto riguarda la ricerca per la salute sul fondo dei 115 miliardi di euro del Servizio sanitario nazionale si spende per ricerca solo lo 0,2 per cento. Considerando la complessità del Ssn si tratta di una cifra ridicola se raffrontata al 10 per cento della spesa di ricerca per i telefoni smart o al 7 per cento del fatturato dell’industria farmaceutica. A questo si aggiunga la grande difficoltà nella realizzazione della sperimentazione animale, ancora oggi indispensabile per poter migliorare le nostre conoscenze. Anche per utilizzare un solo topo sono necessarie decine di domande a cui rispondere, protocolli, passaggi attraverso numerose commissioni, molte di più di ciò che è necessario per sperimentare nell’uomo, attendere 4-6 mesi e pagare una tassa per ogni progetto. Diventa impossibile collaborare a livello internazionale dato che gli altri paesi hanno regole molto meno restrittive.

 

Nel campo delle scienze della vita, quelle afferenti alla salute l’investimento in ricerca costa relativamente poco. Con un miliardo di euro si possono creare 9.000 posti di ricercatore con le risorse necessarie per poter lavorare. Un investimento molto competitivo con altri tipi di interventi economici. Il Ssn, un bene straordinario che non dobbiamo perdere, ha bisogno di ricerca indipendente. Non possiamo lasciare la ricerca solo all’industria. Ad esempio nel campo dei farmaci abbiamo bisogno di realizzare ciò che ha scarso interesse per l’industria farmaceutica. Abbiamo oltre 7.000 malattie rare che non hanno terapia perché non sono appetibili dal punto di vista dei ritorni economici. Abbiamo bisogno di studi comparativi tra farmaci che hanno le stesse indicazioni, di conoscere meglio l’efficacia e la tossicità di genere, di ottimizzare le dosi, la durata dei trattamenti e le combinazioni di più farmaci. Senza una ricerca di dimensioni adeguate continueremo a essere un mercato della medicina, anziché rappresentare una risposta ai bisogni degli ammalati.

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Infine la ricerca va vista anche in prospettiva per il futuro. Se non abbiamo ricercatori non potremo attirare attività tecnologiche dall’estero e non potremo aiutare le nostre attività industriali. Senza ricerca non potremo avere innovazione, né prodotti ad alto valore aggiunto. Vi sono già parecchie difficoltà a sostenere la concorrenza per molti prodotti che possono essere venduti a prezzo più basso da parte dei paesi in via di sviluppo che hanno un costo del lavoro più basso. Questa situazione si accentuerà. I posti di lavoro si difendono e si aumentano in prospettiva primariamente con la ricerca. Forse è ora che politici, burocrati, amministratori, imprenditori e sindacati comincino a pensarci.

 

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Silvio Garattini, presidente Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs

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