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La scrematura delle balle

Luciano Capone

I ciarlatani che spariscono, la scienza che si impone, la consapevolezza delle nostre vulnerabilità e tutte le frottole emerse alla luce del sole (anche quelle pseudo ambientaliste). Il virus come stress test sul carattere di un paese. Idee sul domani che sarà: una chiacchierata con Elena Cattaneo

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Oramai da molti anni, più esattamente dal 2013, è una specie di Grillo Parlante nelle istituzioni. Non nel senso dalla recente figura del saltimbanco che sbraita e infiamma le viscere del popolo spargendo cultura antiparlamentare e antiscientifica, anzi, l’opposto. Nel senso della saggia figura collodiana che cerca di orientare il Parlamento verso le scelte giuste sui temi scientifici, che ammonisce la classe politica sui rischi che si corrono e sulle conseguenze che si pagano prendendo le scorciatoie e dando retta ai ciarlatani e ai “Gatti&Volpi” di turno. Elena Cattaneo, biologa e farmacologa nota per le sue ricerche sulla còrea di Huntington e sulle staminali, nominata senatrice a vita nel 2013 da Giorgio Napolitano, nel dibattito pubblico degli ultimi anni ha impersonato la voce della coscienza scientifica. Quasi sempre inascoltata, proprio come il Grillo Parlante. Su tantissime questioni scientifiche su cui la politica è stata chiamata a dire la sua, ha espresso posizioni nette sia nelle istituzioni che nel dibattito pubblico. Scegliendo spesso il ruolo più scomodo, mentre l’opinione pubblica scivolava verso l’inganno, la suggestione e la superstizione, vittima della paura o preda della falsa speranza. Memorabile è stata la sua battaglia contro il cosiddetto “metodo” Stamina, insieme a pochi altri scienziati italiani: ne è nata un’approfondita indagine conoscitiva che ha evidenziato gli errori del governo, del Parlamento e della magistratura proponendo un decalogo per evitare che accada di nuovo. Oppure quella, altrettanto isolata, a favore degli organismi geneticamente modificati (Ogm): nella sua attività in Senato la Cattaneo ha persino scoperto che alcuni studi di un professore dell’Università di Napoli, Federico Infascelli, presentati in audizione come prova per vietare l’uso degli Ogm, erano taroccati. E poi ci sono stati gli interventi a favore della sperimentazione animale, solo in Italia oggetto di restrizioni enormi che ostacolano la ricerca. E quelli in difesa dei ricercatori accusati di avere diffuso la Xylella, la malattia degli ulivi, in Puglia. Quelli a favore dei vaccini e contro la stregoneria dell’agricoltura biodinamica. Libertà di ricerca, libertà d’impresa, difesa del metodo e delle evidenze scientifiche sono princìpi che guidano la sua attività.

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Oramai da molti anni, più esattamente dal 2013, è una specie di Grillo Parlante nelle istituzioni. Non nel senso dalla recente figura del saltimbanco che sbraita e infiamma le viscere del popolo spargendo cultura antiparlamentare e antiscientifica, anzi, l’opposto. Nel senso della saggia figura collodiana che cerca di orientare il Parlamento verso le scelte giuste sui temi scientifici, che ammonisce la classe politica sui rischi che si corrono e sulle conseguenze che si pagano prendendo le scorciatoie e dando retta ai ciarlatani e ai “Gatti&Volpi” di turno. Elena Cattaneo, biologa e farmacologa nota per le sue ricerche sulla còrea di Huntington e sulle staminali, nominata senatrice a vita nel 2013 da Giorgio Napolitano, nel dibattito pubblico degli ultimi anni ha impersonato la voce della coscienza scientifica. Quasi sempre inascoltata, proprio come il Grillo Parlante. Su tantissime questioni scientifiche su cui la politica è stata chiamata a dire la sua, ha espresso posizioni nette sia nelle istituzioni che nel dibattito pubblico. Scegliendo spesso il ruolo più scomodo, mentre l’opinione pubblica scivolava verso l’inganno, la suggestione e la superstizione, vittima della paura o preda della falsa speranza. Memorabile è stata la sua battaglia contro il cosiddetto “metodo” Stamina, insieme a pochi altri scienziati italiani: ne è nata un’approfondita indagine conoscitiva che ha evidenziato gli errori del governo, del Parlamento e della magistratura proponendo un decalogo per evitare che accada di nuovo. Oppure quella, altrettanto isolata, a favore degli organismi geneticamente modificati (Ogm): nella sua attività in Senato la Cattaneo ha persino scoperto che alcuni studi di un professore dell’Università di Napoli, Federico Infascelli, presentati in audizione come prova per vietare l’uso degli Ogm, erano taroccati. E poi ci sono stati gli interventi a favore della sperimentazione animale, solo in Italia oggetto di restrizioni enormi che ostacolano la ricerca. E quelli in difesa dei ricercatori accusati di avere diffuso la Xylella, la malattia degli ulivi, in Puglia. Quelli a favore dei vaccini e contro la stregoneria dell’agricoltura biodinamica. Libertà di ricerca, libertà d’impresa, difesa del metodo e delle evidenze scientifiche sono princìpi che guidano la sua attività.

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Nel dibattito pubblico degli ultimi anni ha impersonato la voce della coscienza scientifica. Quasi sempre inascoltata. “Gli scienziati lavorano per fornire certezze laddove le possono dare. E anche su questo coronavirus lo hanno fatto in tempi rapidi”

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La professoressa Cattaneo, che non ha abbandonato l’attività di ricerca (dirige il laboratorio di Biologia delle Cellule Staminali e Farmacologia delle Malattie Neurodegenerative e coordina UniStem, il centro di Ricerca sulle Staminali dell’Università Statale di Milano presso l’INGM), ha preso molto sul serio il suo ruolo politico. Anche perché sulle spalle porta il peso di una grande eredità, visto che di fatto Giorgio Napolitano l’ha scelta per prendere il posto di Rita Levi Montalcini, di cui peraltro ricorreva pochi giorni fa l’anniversario della nascita. “Rita – ha scritto la Cattaneo – è stata una donna che ha voluto studiare a tutti i costi Medicina quando alle donne, studiare, non era nemmeno consigliato. Era un’ebrea nell’Italia delle leggi razziali. Emigrata negli Stati Uniti, divenne famosa per essere l’italiana che ‘studiava gli embrioni di pollo’. Voleva capire come si forma il sistema nervoso e come si collega ai tessuti periferici. Tutto qui, si direbbe. Eppure la sua scoperta ci ha aperto mondi immensi”. Ora per una scienziata, benché il tema del riconoscimento delle competenze al femminile sia di assoluta attualità, le cose sono molto più semplici, ma le sfide della medicina e della ricerca sono ancora enormi.

 


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La senatrice a vita Elena Cattaneo (foto LaPresse)


 

La cosa paradossale è che, per anni, quando la comunità scientifica aveva qualcosa da dire con un certo grado di certezza, la politica ha preferito ignorarla. Ora, invece, in presenza di una pandemia e di un virus nuovo di cui si sa ancora pochissimo, la politica pretende certezze dalla scienza. La frase più indicativa dello smarrimento della classe politica e anche dell’incomprensione del metodo scientifico è stata pronunciata dal ministro per gli Affari europei Francesco Boccia: “Chiedo alla comunità scientifica di darci certezze inconfutabili e non tre o quattro opzioni per ogni tema – ha dichiarato al Corriere –. Pretendiamo chiarezza, altrimenti non c’è scienza”. Cosa vuol dire? “C’è un comportamento schizofrenico – risponde Elena Cattaneo –. Prima si denigra la scienza e si disconoscono le evidenze, poi quando c’è un’urgenza e un’emergenza si pretende “la” soluzione preconfezionata. Benvenuti nel mondo dell’incertezza, viene da dire”. Che è il mondo della scienza. “La scienza mira a studiare l’ignoto per restringere gli spazi dell’incertezza. E anche in questo caso, sul nuovo coronavirus, sta lavorando per fornire le risposte migliori. Al momento non le ha tutte, stiamo parlando di un’epidemia che in questi termini si verifica dopo 100 anni, nella straordinarietà di un mondo popolato da 7 miliardi di persone sempre più interconnesse”. Ma tutti si aspettano delle risposte rapide. “Gli scienziati lavorano per fornire certezze laddove le possono dare. E anche su questo coronavirus lo hanno fatto in tempi rapidi. Sappiamo che è un virus. E’ solo dal 10 gennaio che ne conosciamo la sequenza genetica. Dopo 10 giorni abbiamo scoperto il 'recettore', questa proteina Ace, la 'porta d’ingresso' del virus nelle nostre cellule. E così via…”.

 


Illustrazione di Makkox


  

Su tante altre cose non ci sono certezze. “Conosciamo l’esistenza di questo problema da tre mesi. Non riesco a immaginare nessun’altra disciplina umana che abbia potuto arrivare, in così breve tempo, a così tante ‘certezze inconfutabili’ come in questo caso. Su molti altri aspetti importanti (Ci sarà il vaccino? Quale sarà la cura farmacologica? Le persone guarite possono reinfettarsi? eccetera) bisogna studiare. Mai come in questi frangenti, dobbiamo ricordare come lo studio, in qualsiasi attività sia orientato, rappresenti la pietra angolare, l’alfa e l’omega della nostra società. Di fronte a fenomeni complessi, non c’è ‘università della vita’ che ci salvi dallo schiantarci contro il muro dell’ignoranza. Questo non vuol dire che del virus non si sappia nulla: alcune cose le conosciamo già ma con un certo grado d’incertezza. La scienza ci dice quanto può essere vero un certo fenomeno indicando dei gradi di probabilità. Sappiamo da molto tempo che la Terra ruota intorno al Sole, conosciamo tutto il genoma umano, tanti geni responsabili di una malattia, i farmaci per contrastare dolorosi sintomi e molto altro, ma altri ambiti sono in studio, questo grado di sicurezza non c’è. Gli scienziati possono dire al politico che alcune cose oggi sono così al cento per cento, ma su altre cose no, la probabilità è molto inferiore. Domani ne sapremo di più, perché si andrà avanti a indagare per cercare di acquisire come certezza quello che oggi affrontiamo in termini di probabilità. Fa specie che non si conosca questo metodo”.

  

Forse non è quello il punto. E’ che di fronte a una situazione così drammatica la politica non sa cosa fare, non riesce ad assumersi la responsabilità di decidere, e vuole che a indicare come fare siano gli altri. Gli scienziati. La dichiarazione di Boccia infatti prosegue dicendo: “Noi politici ci prendiamo la responsabilità di decidere, ma gli scienziati devono metterci in condizioni di farlo”. Dando “certezze inconfutabili”, appunto. “In una situazione del genere la scienza non si deve tirare indietro, ma la responsabilità della decisione ultima è strettamente politica, nella nostra democrazia spetta al circuito Parlamento-governo. E’ questo il metodo democratico che ci siamo dati – risponde la senatrice a vita – E io nemmeno pretendo che sia la decisione ‘giusta’, perché in una situazione come quella che stiamo vivendo non esiste una decisione giusta. Ciò che si chiede è di decidere su basi responsabili e di essere pronti a darne conto, giustificando le scelte, avvalendosi di fatti e numeri certi e incorporando anche quelli che, per ora, possono fornire solo una ‘forbice’ di probabilità per orientare le decisioni, non una certezza assoluta. Tuttavia, senza la scienza non conosceremmo nemmeno quella probabilità”. E gli scienziati? “Devono essere al fianco delle istituzioni quando si prende una decisione, fornire le informazioni derivate dal metodo scientifico e dal contesto dei principi etici a cui lo scienziato deve obbedire, assicurarsi che siano ben comprese e non vengano distorte o manipolate. Poi il politico decide. Ma non finisce lì. Si osservano le conseguenze della decisione, ad esempio gli effetti della chiusura delle scuole, e si raccolgono le critiche”. Beh, insomma, piano con le critiche. Si dice che non è questo il momento delle polemiche.

   


Ciò che si chiede alla politica “è di decidere su basi responsabili e di essere pronti a darne conto, giustificando le scelte, avvalendosi di fatti e numeri certi e incorporando anche quelli che, per ora, possono fornire solo una ‘forbice’ di probabilità per orientare le decisioni, non una certezza assoluta”


 

E si va diffondendo anche una certa sfiducia nel processo democratico, quasi come se fosse disfunzionale in un’emergenza. “Mi sembra uno strano modo di ragionare. La critica ha un valore straordinario, è il principio del metodo scientifico, lo rafforza. Non mi piace, anche se in una certa misura è strutturale al confronto politico, quando ha il solo fine di delegittimare qualcosa o qualcuno e si degrada a polemica o invettiva, è negativa quando sollecita il conflitto. In ogni caso, ancora più importante della critica costruttiva è la capacità di accoglierla, è questo che migliora le risposte”.

    

Per migliorare le risposte il governo ha aperto diversi “tavoli” e creato numerose task force, con diverse centinaia di consiglieri. E’ un modo per decidere meglio o per scaricare la responsabilità su tecnici? “Ciò che sorprende non è tanto che ci si rivolga a tanti tecnici, perché il governo si trova oggettivamente in una situazione difficile, che fa davvero paura, e ha bisogno di consulenti preparati. La cosa preoccupante è che questi tavoli compaiano adesso, perché vuol dire che prima non c’erano. Cioè non abbiamo strutturalmente degli science advisor, dei luoghi abituali e strutturati dove il decisore politico possa ‘abbeverarsi’ continuamente delle informazioni necessarie per decidere. Se i politici non sono abituati a questo processo, ti spieghi perché aprono un tavolo e pretendono che ne esca una decisione certa e inconfutabile”. Questo vuol dire che le task force sono inutili? “Non è questo il problema – risponde Elena Cattaneo – Ci sono tante persone di valore, che però non si sono mai viste. Se non c’è una consuetudine, con un metodo di lavoro comune, obiettivi chiari e una strategia, è difficile fare una sintesi. Non deve passare il concetto che si accumulano esperti e si scarica la responsabilità sulla task force. Non è che se hai mille esperti scegli meglio”. Anche perché in questa crisi senza precedenti c’è anche un problema di tempestività della risposta. “Qualche giorno fa, intervenendo in un webinar dell’Associazione Luca Coscioni, il professor Lopalco diceva che è sorprendente che solo ora si insedi un team per la ricostruzione: doveva essere insediato due mesi fa! E’ vero che ci troviamo in un’emergenza enorme, senza precedenti, ma tutti gli epidemiologi erano in grado di dire che la pandemia ha un inizio e una fine, quindi già due mesi fa, mentre si chiudeva, si sarebbe dovuto iniziare a lavorare per progettare la riapertura”.

    


“Gli esperti devono avere un metodo per lavorare insieme. Perché la scienza non è solo studiare il virus. C’è una scienza che studia l’economia, che è importantissima per dirci dove investire e come ripartire oggi e cosa succederà ai giovani su cui stiamo caricando, ancora una volta, un debito enorme”


 

Il coronavirus, questa “pallina” microscopica, ha sconvolto tutto. E anche rispetto alle questioni di cui lei si era occupata – dagli Ogm a Stamina – dove la politica avrebbe potuto ascoltare gli specialisti di una sola disciplina, che sarebbero stati in grado di dare una risposta, questa è una crisi che coinvolge tutte le discipline. La sfera sanitaria, ovviamente, ma anche quella economica per tutto ciò che riguarda le ricadute su lavoro e produzione, e quella giuridica, per la limitazione dei diritti e delle libertà individuali. E nessuno può dare una risposta definitiva, limitata al suo campo, senza confrontarsi con gli altri e senza valutare i trade-off anche negli altri ambiti. E’ l’esempio più grande della complessità che viviamo e forse, proprio per questo, la risposta non può che essere politica più che scientifica. “La politica deve indicare le priorità, stabilire gli obiettivi, decidere se privilegiare e in che misura l’aspetto sanitario, quello economico, di privacy o di libertà personali. E’ chiaro che sono ambiti fortemente interconnessi. Ma in scienza abbiamo un metodo per studiare le cose complesse: le dissociamo in tutti i componenti, studiamo ogni singolo elemento, capiamo le regole individuali e poi integriamo tutto per ricomporre il mosaico, analizzando come ciascuna regola è amplificata o ridimensionata dall’altra. Così spesso arriviamo a identificare gli elementi chiave di un evento. Gli esperti devono avere un metodo per lavorare insieme. Perché la scienza non è solo studiare il virus. C’è una scienza che studia l’economia, che è importantissima per dirci dove investire e come ripartire oggi e cosa succederà ai giovani su cui stiamo caricando, ancora una volta, un debito enorme e come li aiuteremo a far fronte a questo onere”.

   

Il coronavirus e il dramma dell’epidemia, con il loro carico di dolore e di morte, hanno però in parte spazzato il campo dagli pseudoscienziati. Solo qualche mese fa, l’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti aveva nominato come consigliere scientifico Vandana Shiva, che afferma che lo spillover dei nuovi supervirus è causato dagli Ogm. E solo poche settimane fa il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva indicato come consigliere economico Gunter Pauli, che sostiene ci sia una correlazione tra 5G e diffusione del Covid. Ora questi personaggi sono stati messi da parte. “Beh, viene da dire che quando le cose si fanno serie… Insomma, non ti rivolgi più a persone prive di credibilità scientifica, scelte per un bias di conferma, perché vicine ai tuoi desiderata”. Ma c’era bisogno di una pandemia del genere per rendersene conto? “In effetti, anche senza pandemia i problemi erano seri. Ora ce n’è uno molto più grande. Forse impareremo a rivolgerci a persone preparate, che magari hanno strategie diverse e anche con dei disaccordi, ma basati sulla sostanza. In ogni caso, anche della selezione di persone che non hanno credibilità bisogna chiedere conto alla politica. In questi casi il ruolo dei media è importante, possono e devono pungolare affinché la politica spieghi il perché di quelle scelte”. Anche noi, operatori dell’informazione, abbiamo delle responsabilità. “Certo, bisogna evitare di esporre la tesi ‘eretica’ di turno per impressionare e aumentare l’audience, come avviene anche su canali e quotidiani importanti. E’ un momento molto delicato anche per la scienza. Il rischio è che alcuni settori dell’opinione pubblica e dei mezzi di comunicazione, che già coltivano posizioni ostili o preconcette, sfruttino questo momento di incertezza, in cui le conoscenze scientifiche sono ovviamente in divenire, per sentirsi liberi di cercare, sulla base di evidenze tutt’altro che solide, le cause di quello che stiamo vivendo in narrazioni complottiste, 'catastrofiste' e antiscientifiche, con correlazioni spurie e, spesso, fantasiose che ignorano le tante variabili in gioco. Ecco allora il legame (inesistente) tra Ogm e Covid, allevamenti intensivi e Covid, deforestazione e Covid o quello, non sostanziato e tutto da precisare tra particolato e Covid. In un contesto in cui è ancora tutto da imparare, è grave sbagliare il bersaglio. In questa tragica pandemia, ad oggi, non c’è nulla di nuovo: le zoonosi sono fenomeni che avvengono da millenni, dall’ultima glaciazione. Ma la politica spesso dà attenzione a ciò che compare sui media. E quando i media si prestano a dare spazio alle baggianate e a persone che propongono tesi senza base scientifica si assumono una grossa responsabilità”.

  

E’ diritto di cronaca, si fanno sentire tutte le opinioni… “Bisogna smetterla anche con questo utilizzo ipocrita di una malintesa par condicio, attraverso cui si mette tutto sullo stesso piano. E’ capitato anche a me di vedere accostate sulla stessa pagina una mia intervista che spiega che l’agricoltura biodinamica è esoterismo privo di base scientifica e una al ‘portavoce’ di quella pratica esoterica che afferma, senza basi scientifiche appunto, che il biodinamico fa bene al mondo e all’anima. E la politica segue, finendo con l’approvare a larghissima maggioranza alla Camera un fantasioso disegno di legge (attualmente fermo in commissione Agricoltura al Senato) che mira a promuovere, tra l’altro, proprio questa pseudo-agricoltura esoterica. Ma potrei parlare di altri temi come l’omeopatia. Un colpo di qua e uno di là. Questa è l’informazione scientifica data da molti media nel nostro paese. E’ una rappresentazione falsata, una cattiva informazione, perché nella comunità scientifica non esiste divisione circa la certezza su questi temi”.

 


“La Natura non è benevola né malevola. Ogni specie biologica lotta per la sua sopravvivenza, tanto i virus quanto l’uomo. Il virus ci sfrutta proprio per sopravvivere. Dobbiamo difenderci dai rischi che nascono dalla natura e da 150 anni lo facciamo abbastanza bene, grazie al metodo scientifico e allo sviluppo economico


 

La comunità scientifica non è monolitica, è divisa su tante questioni. “Certo, ed è la sua forza. La comunità scientifica è divisa su molte cose, quando le sta studiando. Anche io mi confronto quotidianamente con i miei colleghi nelle conferenze e nelle ricerche su quali cellule staminali sia meglio utilizzare per certe malattie: quello è il momento e il modo per apprendere. Ma a un certo punto arriva una prova e le divergenze cominciano a ridursi. La divisione non è un male, ma in genere i media danno del contrasto tra scienziati una rappresentazione sovrastimata, perfino su argomenti dove praticamente non esiste. Pensiamo solo al caso Stamina, non esisteva alcuna divisione tra gli scienziati, erano tutti d’accordo sull’assurdità di una cura inesistente. Eppure, qual è stata la rappresentazione nei media? E non dimentichiamo certe sentenze di ‘par condicio scientifica’ di alcuni tribunali, davvero imbarazzanti…”.

  

Sono spariti i ciarlatani, almeno per il momento. Anche se ho il sospetto che arriveranno presto. Ma l’epidemia ha fatto sparire anche i no vax. Prendiamo la sua massima manifestazione politica. Beppe Grillo, che per anni ha diffuso le peggiori teorie antivacciniste, ora dice che “la sfida attuale è quella di trovare un vaccino per il coronavirus”. E dopo feroci campagne contro l’obbligatorietà vaccinale, il viceministro della Salute Sileri, che è del M5s, dichiara: “Con il vaccino sconfiggeremo questo virus. Non ho dubbi sul fatto che un vaccino del genere debba essere obbligatorio”. L’unico vaccino buono è quello che non esiste? “Buona questa – sorride la Cattaneo –. Il vaccino è ciò che tutti speriamo di avere, perché questa situazione ha fatto riscoprire brutalmente cosa sia il mondo senza vaccini”. Il fatto è che il vaccino è una cosa complicata: quando c’è evita la manifestazione della malattia, e quindi tutti pensano che sia inutile. Mentre quando non c’è e si vedono malati e morti tutti lo invocano come necessario. E’ come se il successo di un vaccino minasse la sua stessa credibilità. “Non è semplice assimilare concetti controintuitivi. Sono i nostri meccanismi cerebrali che ci fanno comprendere soltanto dopo la malattia, e non prima, la necessità dei farmaci, come succede per i vaccini. Il nostro cervello è stato plasmato per la sopravvivenza quotidiana, i neuroscienziati spiegano che è poco adatto alla modernità, la capisce poco. Per certi versi, per un certo modo di ragionare, non siamo poi così diversi dai nostri antenati che vivevano nelle caverne. Loro non vedevano il virus e pensavano non esistesse, noi invece se non vediamo i malati non comprendiamo la pericolosità del virus. Ma dovremmo ricordare che i virus sono sempre in agguato, i patogeni sono in mezzo a noi. Li teniamo sotto controllo, ci impegniamo a prevenire il rischio. Siamo in conflitto con loro, ma anche con i nostri pensieri”.

   

Un altro dei nostri pensieri ricorrenti, che forse questa epidemia si porta via almeno per un po’, è l’idea di una natura benigna, che ci offre abbondanza e protezione. E invece è anche una costante minaccia. “La Natura fa il suo corso, si disinteressa di noi. Non è benevola né malevola, è neutra. Ogni specie biologica lotta per la sua sopravvivenza, tanto i virus quanto l’uomo. Il virus ci sfrutta proprio per sopravvivere. Dobbiamo difenderci dai rischi che nascono dalla natura e da 150 anni lo facciamo abbastanza bene, grazie al metodo scientifico e allo sviluppo economico. Anche questo è parte della nostra lotta per la sopravvivenza”.

    

Un altro argomento su cui lei si è impegnata, e che si incrocia con l’amore per la natura e la lotta per la sopravvivenza, è la sperimentazione animale. Anche se recentemente la sede di Telethon è stata vandalizzata da un gruppo di animalisti (“Telethon tortura, no vivisezione”), il Covid col suo carico di morte pare abbia convinto i chiassosi oppositori a stare in silenzio, perché per fare il vaccino la sperimentazione animale serve. Eppure l’Italia ha la legge più restrittiva d’Europa sul tema. “Non sappiamo più come dirlo. Questo però è forse il momento giusto, nel paese che avversa più di ogni altro stato europeo la sperimentazione animale, per spazzare via divieti assurdi e dare pieno sostegno alla ricerca. Sono decine di migliaia le scoperte che si raggiungono nel mondo, oggi, grazie a una rigorosa sperimentazione animale”. Non ci sono alternative? “Alla scienza viene sempre chiesto di giustificarsi. Ma senza sperimentazione animale non abbiamo nessuna possibilità di proteggerci, di avere farmaci o vaccini. Anche sul Covid, è grazie ai modelli animali che già abbiamo imparato tante cose. La scoperta di come questo virus colpisce l’uomo e gli alveoli polmonari arriva dai topi, si è scoperto che i topolini modificati geneticamente con la proteina Ace umana sono sensibili al virus. Si sta lavorando sui vaccini grazie alle informazioni derivate da un ceppo di topolini utilizzati per studiare la Sars, che dimostrano che è quella proteina la porta d’ingresso del virus nelle nostre cellule. Il Jackson Laboratory nel Maine ha la repository dei topolini usati per la Sars e dalle cellule germinali ha ricreato quei topolini transgenici richiesti ora da mille laboratori in tutto il mondo. Il sito Nextstrain mostra la mappatura dei 3.529 genomi del virus individuati finora in tutto il mondo. Per studiare questi ceppi virali leggermente mutati gli scienziati stanno usando topolini con il gene Ace umano inserito attraverso Crispr (una tecnica di genome editing, ndr). Altri cercano di riprodurre un tessuto polmonare umano nei topi. Altri usano i furetti. Altri stanno usando i criceti perché starnutiscono, e così si può capire meglio il meccanismo di trasmissione. Sulle scimmie, macachi Rhesus, abbiamo scoperto che hanno sviluppato anticorpi dopo l’infezione e che alcune non erano reinfettabili. Sul sito dell’Associazione europea per la ricerca animale (EARA) è possibile vedere quali e quanto numerose siano le sperimentazioni animali in corso su Covid nel mondo. Senza gli animali sarebbe praticamente impossibile fare ricerca”. Ci sono però dei limiti. “Certo, ci sono procedure e regolamentazioni molto rigide di cui render conto agli enti regolatori, più stringenti per gli animali che per gli uomini. Dobbiamo specificare il numero esatto degli animali da includere in ogni test per ogni parametro per raggiungere un certo grado di certezza, che dia significatività. Esiste il famoso “cubo di Bateson”, un modello di analisi costi-benefici composto da tre dimensioni: grado di sofferenza animale, qualità della ricerca e beneficio medico. E’ solo dal risultato prodotto dall’intersezione di questi tre parametri che una ricerca viene o meno giudicata lecita”.

 

Naturalmente non si può sperimentare sugli uomini, o meglio lo si fa in una fase successiva. “Per sperimentare sulle persone non hai le coordinate, è impossibile. Lo faceva tragicamente Stamina, si faceva 150 anni fa quando la medicina come la conosciamo oggi non esisteva. I vaccini che ora accedono alla sperimentazione umana hanno già superato delle verifiche animali piuttosto importanti, come ad esempio quello della Moderna Pharmaceutics di Seattle o quello sviluppato dalla Oxford University con l’Irbm di Pomezia”. Da un lato quindi ci vantiamo del successo di un’azienda italiana, dall’altro abbiamo una legge sulla sperimentazione animale che rende difficile la ricerca. “E’ questo il momento per cambiare la legge che vieta la sperimentazione su cose importantissime, come gli xenotrapianti, fondamentali per la costruzione di nuove valvole cardiache, o le sostanze d’abuso, necessarie per capire i meccanismi delle nuove droghe. Bisogna arrivare a un consenso largo per rimuovere una volta per tutte divieti che abbiamo solo noi, anziché mantenerli e poi continuare a rimandarne l’entrata in vigore. La direttiva europea va recepita correttamente, anche perché siamo esposti alla procedura d’infrazione europea”.

 


“Ciascuno di noi ne uscirà con una maggiore consapevolezza della propria vulnerabilità. Spero che se ne esca anche con la consapevolezza del nostro privilegio di avere strutture sanitarie che hanno lavorato al meglio delle loro possibilità. E con la consapevolezza di dover coltivare la scienza in tempo di pace”


   

Sembrano spariti anche i timori contro l’industria farmaceutica. “Senza industria farmaceutica non andremmo da nessuna parte. E’ vero che la scoperta esce dai laboratori, ma la complessità di portarla all’uomo richiede competenze ciclopiche che solo l’industria farmaceutica ha, nello stabilire i parametri di tossicologia, verificare le dosi, definire gli assetti di regolamentazione”. Così rischia, le diranno che è amica di Big Pharma. “Spesso si sottovaluta la libertà d’impresa, per i grandi e i piccoli, per la farmaceutica come per l’agricoltura. Le aziende devono avere la libertà d’impegnare le proprie risorse e conoscenze negli ambiti dove sono più forti. La libertà è un valore. Ci sono industrie farmaceutiche che si occupano di malattie rare; in ogni caso, un settore pubblico forte nella funzione di regolazione, nella ricerca di base e negli ambiti di fallimento del mercato è essenziale”. C’è chi sostiene, in maniera critica, che le industrie non hanno fatto ricerca sui coronavirus per tempo perché non si vedevano margini di profitto e ora ci troviamo in questa situazione. “Chi sostiene questa tesi dovrebbe accordarsi con quelli che, sempre criticamente, sostengono che l’obbligatorietà dei vaccini sia mossa dal profitto delle stesse industrie farmaceutiche. Se si nutre un pregiudizio verso le case farmaceutiche qualsiasi cosa facciano, la prova di una loro presupposta colpevolezza sarà sempre a portata di mano. Tornando all’oggi, credo che sarebbe stato difficile trovare un rimedio per malattie che, in questa forma, ancora non c’erano. Ma non dimentichiamo che non ci si preoccupava dei coronavirus perché rappresentavano una delle tante urgenze legate a malattie nel mondo, magari non quelle prioritarie. Pensiamo solo a Ebola, in breve tempo si è arrivati ad alcuni farmaci, come il remdesivir, che ora viene sperimentato sul coronavirus.”. A proposito. Tutti aspettano il vaccino, ma non è forse probabile che arrivi prima una cura farmacologica? Cosa è preferibile? “Che arrivi qualcosa, il prima possibile. Se si dimostra che un farmaco che cura i sintomi è efficace, come ad esempio il tocilizumab che potrebbe evitare l’intubazione contrastando l’infiammazione citochinica, ben venga. Aspetteremo poi una soluzione migliore. Vaccino e farmaci sono due strade da percorrere in parallelo”. Recentemente abbiamo visto l’autorizzazione di un farmaco giapponese con una modalità che ha ricordato il processo di autorizzazione delle sperimentazioni del “siero di Bonifacio” del “metodo Di Bella” e del “metodo Stamina”, ma al tempo di internet: a partire da un video di uno youtuber che svelava la cura “segreta”. C’è un rischio che la necessità porti a provare qualsiasi cosa?

 

“Al di là del caso specifico, sarebbe sbagliatissimo fare somministrazioni senza alcun razionale alla base, perché oltre a mettere a rischio il paziente lo si sottrae a una sperimentazione razionale. Altrimenti vuol dire che non abbiamo imparato nulla dalla lezione di Stamina”.

 

A proposito di Stamina, una storia emblematica e ricorrente anche in questa intervista. All’epoca lei, insieme ad altri scienziati italiani esperti di staminali, criticò aspramente le dichiarazioni del prof. Mauro Ferrari alle Iene, che in un certo modo davano credito alla teoria di Vannoni. Proprio nei giorni scorsi Ferrari si è dimesso da presidente dello European Research Council, lanciando un duro atto d’accusa all’Europa burocratica che non si impegna abbastanza contro il Covid. Che ne pensa? “Questa versione dei fatti ha trovato terreno fertile in una certa narrazione antieuropeista. Ma ho visto il comunicato del comitato scientifico dell’Erc, che pubblicamente sconfessava tutta la ricostruzione di Ferrari, e mi ha impressionato, perché non avevo mai letto uno statement così duro da parte di un’istituzione. E’ stato il comitato scientifico, composto da 19 autorevolissimi scienziati e non da burocrati, ad aver chiesto individualmente e all’unanimità a lui di dimettersi. E i termini di quella richiesta evidenziavano una scarsissima coscienza, da parte dell’ex presidente, di cosa siano l’Erc e l’Europa della ricerca”. Ferrari dice che i colleghi si erano messi a disquisire di “sottigliezze metodologiche”, cioè se l’approccio per la selezione dei progetti dovesse o meno continuare a essere bottom-up anziché top-down. “Altro che sottigliezze. L’Erc è un pezzettino della nostra Europa che fa cose straordinarie, un meccanismo che è un gioiello, pensato proprio per dare la libertà a tutti gli studiosi di sottoporre le proprie idee, senza alcuna imposizione dall’alto. Io ho vinto un loro bando; come paese dovremmo investire maggiormente nella ricerca di base per consentire ai nostri ricercatori, ottenuti solidi dati preliminari, di vincerne di più. Negli Usa i colleghi guardano all’azione dell’Europa della ricerca e a questi nostri progetti europei con ammirazione e invidia. Da vent’anni l’Europa ci dice: lavorate insieme. Decine di ricercatori di vari paesi e diverse discipline uniti in un progetto da un’idea lungimirante. Tutto questo meccanismo degradato a una sottigliezza? Mi sembra pazzesco”. Anche su Stamina avete discusso per qualche sottigliezza? “Quando Mauro Ferrari stava per essere nominato presidente della Commissione che doveva valutare Stamina, gli misi a disposizione tutti i documenti e passammo ore al telefono. Le sue posizioni mi sembravano incomprensibili. Cosa c’è da valutare? Se una ricerca non è pubblica non è verificabile né replicabile: vuol dire che per la scienza non esiste. Per fortuna questa tragica storia è alle spalle”.

 

E’ alle spalle se ne abbiamo ricavato un insegnamento. A proposito del futuro, durante questa epidemia ci sono due slogan che abbiamo visto sui giornali e su tanti balconi. Il primo è “andrà tutto bene”, ma ormai ce lo ripetiamo sempre meno convintamente. L’altro è “ne usciremo migliori”. Forse questa è una speranza più realistica? “Ciascuno di noi ne uscirà con una maggiore consapevolezza della propria vulnerabilità. Come singolo individuo, come famiglia, come paese. Spero che se ne esca anche con una consapevolezza del nostro privilegio, rispetto ad altre aree del mondo, di avere comunque strutture sanitarie che hanno lavorato al meglio delle loro possibilità. Ed è un privilegio che deriva da fatiche, sforzi e impegni del passato che non possiamo vanificare. La terza cosa che spero è che ne usciremo consapevoli di dover coltivare la scienza in tempo di pace. Sappiamo che dovremo indebitarci, ma se avremo imparato l’importanza della conoscenza indirizzeremo queste risorse per costruire istruzione, cultura e ricerca, settori ad altissimo valore aggiunto, per cui più che di “spesa” si può ben parlare di investimento. Sarà un debito che darà un beneficio. E infine spero che ne usciremo consapevoli che da soli non si va da nessuna parte”. Se sarà così andrà tutto bene. “Andrà tutto bene? Non lo so. Serve tanta fatica. Ma possiamo cercare di far andare al meglio le cose guardando come si comportano gli altri paesi e imparando dai loro errori e dai nostri”.

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