Da Caronte a Lucifero, così nasce il "bestiario" del caldo infernale

Luca Gambardella

Temperature che non esistono, nomi raccapriccianti, titoli sensazionalistici. Ecco come una comunicazione antiscientifica genera il panico. E diventa pericolosa per tutti noi

Quando Caronte è arrivato per la prima volta in Italia era l'estate del 2012 e prima di allora nessuno aveva mai pensato di dare un nome al caldo. Poi, insieme a lui, le città avvolte dall'afa sono state invase da Hannibal, Scipione e da Lucy. Caronte però è ricomparso l'anno successivo e ancora quello dopo, quando fu accompagnato da Ciclope, che però si fermò solo a Roma. E così fino al 2017, anno dell'arrivo di Lucifero. Il traghettatore infernale resta comunque il vero protagonista delle nostre estati. Con quotidiani e televisioni che, puntualmente, lo accolgono riproponendo sempre le stesse formule: "Caldo record, arriva Caronte"; "Il caldo rilancia, ecco Caronte"; "Nuova ondata di caldo per il sopraggiungere di Caronte"; "Furia Caronte, mai così caldo".

  

Caronte e Lucifero, in realtà, sono l'anticiclone nordafricano e prima del 2012 a noi bastava chiamarli così. Si tratta di un'area di alta pressione semipermanente, che si alza o si abbassa ciclicamente, a causa di diversi fattori, provocando un aumento delle temperature. Dalla notte dei tempi, insomma, Caronte e Lucifero ci sono sempre stati e stazionano nel cuore dell'Africa a ridosso del deserto del Sahara.

 

  

I primi ad avere l'idea di cambiare il nome all'anticiclone sono stati i tedeschi. All'inizio degli Anni 2000, l'Istituto di meteorologia dell'Università di Berlino ha messo in piedi un sito internet dove chiunque, al costo di 299 euro, può dare un nome di fantasia a un'ondata di caldo. Gli italiani hanno seguito l'esempio e qualche anno dopo sono nati siti che raccoglievano voti online in modo che gli utenti scegliessero i nomi più accattivanti da dare alle ondate di calore. Caronte e Lucifero, in sostanza, li abbiamo creati noi.

 

Ma non è la nostra unica “invenzione”. Insieme alle notizie catastrofiche sui cambiamenti climatici, da alcune settimane quasi la totalità dei media italiani diffonde dati inquietanti sul caldo di questi giorni, riportando “temperature percepite” di 45, 50, 55, 60°C. “Neanche se parlassimo di città africane o mediorientali arriveremmo a tali valori”, dice al Foglio Luigi Latini, amministratore delegato del Centro Epson Meteo, una delle più accreditate strutture private che compie ricerca sulle previsioni meteorologiche. “L’approssimazione di alcuni soggetti e il desiderio di finire sui giornali di altri hanno fatto schizzare le temperature a cifre superiori ai 50°C: addirittura, nei giorni scorsi si vagheggiavano i 63°C. Basta una minima riflessione, e ben si comprende come non sia possibile raggiungere nel nostro paese una tale temperatura percepita”.

 

  

Come si è arrivati a questi dati allora? “Alcuni di questi siti di previsioni meteorologiche hanno usato rilevazioni ufficiali raccolte dall'Aeronautica militare, quindi di per sé più che attendibili, ma le hanno combinate in modo da ottenere valori sensazionalistici. Hanno preso i dati dell'indice Humidex – spiega Latini –, una scala di valore che quantifica il livello di disagio ambientale determinato dall’effetto combinato della temperatura e dell’umidità dell’aria, spacciandolo per la temperatura percepita in gradi centigradi”.

 

Il vuoto normativo e l'assenza di un codice deontologico hanno generato un Far West. “Non esiste una regolamentazione del settore. Se apri un sito di previsioni meteorologiche e gli dai un nome di fantasia dove scrivi che domani piove, puoi farlo senza che nessuno alzi un dito”, continua Latini. “Caronte e gli altri nomi dati all'anticiclone nordafricano nascono da siti dove lavora personale che forse non avrebbe i titoli accademici per svolgere attività di previsione meteorologica. Ma essendoci un vuoto normativo questo non si può sapere”, dice l'ad di Epson Meteo.

 

Da piccoli siti di informazione, questi generatori di previsioni meteo si sono trasformati nei nuovi punti di riferimento per conoscere le condizioni meteorologiche del giorno o addirittura dei dieci giorni successivi. “Per farlo si sono rivolti ai grandi dell'informazione cartacea e televisiva italiana, offrendo il loro servizio a titolo gratuito. Talvolta, anzi, sono loro a pagare la testata per offrire il servizio - dice Latini -. Vivono di clic, di inserzioni pubblicitarie e ora rispetto a noi fanno il doppio delle visualizzazioni”.

 

Il segreto è nei nomi sensazionalistici, spesso inquietanti, usati per sponsorizzare le ondate di caldo. “Dicono che lo fanno seguendo l'esempio degli americani, che da anni hanno un unico centro di ricerca riconosciuto e che dà i nomi agli uragani”, continua Latini, “ma c'è una differenza di fondo: gli uragani sono eventi unici, irripetibili. L'uragano Katrina del 2005 è quello e basta, non ce ne saranno altri. Caronte invece si ripete in continuazione, pur riferendosi a un evento costante e ciclico legato all'Anticiclone nordafricano”. Così, una formula di comunicazione basata su un metodo antiscientifico, poco dissimile da quella usata oggi per i vaccini, è diventata una “pura operazione di marketing”, come la definisce Latini.

 

In ogni caso la tecnica di comunicazione di una scienza applicata alla vita di tutti i giorni, che gioca sulla curiosità di conoscere il tempo di domani, è universale e segue dei criteri e dei canoni precisi, risponde a delle regole. “Conoscere il tempo di domani attiene a quello che succederà nel futuro e in questo senso le previsioni meteorologiche hanno sempre una funzione 'oroscopizzante'”, spiega Carlo Galimberti, docente di Psicologia sociale della comunicazione all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e direttore del Centro Studi e ricerche di Psicologia della comunicazione (CSRPC). In psicologia si parla di “relevance, ovvero di pertinenza della notizia. A volte si sganciano delle 'bombe di pertinenza' con diversi espedienti, come l'uso di figure retoriche o di semplici ridondanze che aiutano ad attirare l'attenzione della persona a cui ci rivolgiamo”. Puntando poi su intensità e ripetitività, l'effetto comunicativo è assicurato: “Basti guardare ai canali all news, che ripetono in continuazione le stesse notizie durante il giorno”.

 

Le notizie di questi mesi sui cambiamenti climatici, dove sembra che al nostro pianeta sia stata assegnata una data di scadenza, spiega ancora Galimberti, fanno da cornice perfetta per scatenare l'allarme tra i lettori: “Ci sono tre aspetti da considerare: il contesto semiotico, saturato dalle conoscenze ormai acquisite sui cambiamenti climatici; le intenzioni comunicative che guidano chi dà le notizie meteorologiche; infine i contenuti, che hanno di per sé una grande presa. Il tutto amplificato dalla tendenza mai completamente scomparsa dalla nostra cultura di dare voce a paure ben rappresentate dal millenarismo il cui impatto è oggi moltiplicato dai meccanismi che caratterizzano la comunicazione nella società di massa”.

 

Le conseguenze di una comunicazione antiscientifica, che descrive un continuo stato di emergenza presunta, sono molto più concrete di quanto si immagini e non incidono solo sulla suggestione collettiva. “Se ripeto in continuazione che ci troviamo di fronte a un allarme meteorologico, anche se il caldo di questi giorni non è del tutto nella norma, gli utenti finiranno per non credermi più quando ci sarà un'emergenza reale”, avverte Latini. “Per questo – conclude – serve una regolamentazione del settore”. Per impedire che chiunque possa improvvisarsi meteorologo, invocando Caronte o Lucifero, quando basterebbe dire che fa caldo perché è estate.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.