Foto American Museum of Natural History

Gli ultimi studi sull'evoluzione umana sollevano nuovi dubbi

Maurizio Stefanini

L’uomo di Neanderthal arrivò in California? Fu l’”Hobbit dell’Isola di Flores” il primo essere umano a abbandonare l’Africa? Le ricerche più aggiornate hanno suscitato un fiero dibattito tra gli esperti

 Le scoperte che si susseguono invece di chiarire la mappa sulla storia dell’evoluzione umana la stanno intricando sempre di più, facendo saltare schemi che sembravano ormai acquisiti.

 

Una cosa che si sa è che 100.000 anni fa esistevano sul Pianeta almeno cinque specie del genere Homo. Innanzitutto, l’Homo sapiens: noi, che siamo gli unici a esistere ancora. Poi, l’Homo neanderthalensis: scoperto nel 1856, e vissuto soprattutto tra Europa e Medio Oriente, con una limitata presenza tra Asia Centrale e Siberia. Più o meno fino a 40.000 anni fa: ma alcuni reperti ritarderebbero l’estinzione a 32-24.000 anni fa, e recentissimi studi del dna hanno rivelato che gli uomini moderni non africani hanno tutti tracce di materiale genetico neanderthaliano compreso tra l’1 e il 4 per cento, frutto di antichissime ibridazioni. In particolare, i Neanderthal avrebbero contribuito in modo importante in materia di pelle e capelli. Al settembre del 2003 risale la scoperta dell’Homo floresiensis, nell’isola indonesiana di Flores. Ribattezzato dai media “Hobbit” per la sua altezza di appena un metro e per una capacità cranica di soli 380 centimetri cubi, visse almeno fino a 50.000 anni fa: ma anche qui c’è un cranio attribuibile a 18-13.000 anni fa, e leggende folkloriche locali suggeriscono che qualche Homo floresiensis potrebbe essere sopravvissuto addirittura fino al XVIII secolo.

 

Pure in Indonesia ma a Giava fu scoperto per la prima volta nel 1891 l’Homo erectus: sarebbe apparso 2,5 milioni di anni fa, migrò fuori dall’Africa tra 1,8 e 1,3 milioni di anni fa, e sarebbe estinto tra i 70.000 e i 35.000 anni fa. Insomma, è la specie di Homo che è vissuta più a lungo. Infine, l’Homo di Denisova, che sarebbe vissuto almeno tra 70.000 e 35.000 anni fa. In realtà ne è stato ritrovato solo un frammento di mignolo, nel 2010 in una grotta siberiana. Ma il suo dna è inconfondibile, e sempre via ibridazione avrebbe contribuito al 4-6 per cento dell’attuale patrimonio genetico dei popoli dell’Oceania e del Sud-Est asiatico e allo 0,2 di asiatici continentali e amerindi, aiutando tra l’altro i Tibetani a vivere in alta montagna e gli Eschimesi ad adattarsi al freddo. Lo scorso agosto è infine saltata fuori una sesta specie di Homo esistita presumibilmente negli ultimi 100.000, di cui però non c’è alcun reperto, e a cui non è stato dato neanche un nome. Ma il suo dna è chiaramente presente nel patrimonio genetico degli indigeni delle isole Andamane, nell’Oceano Indiano.

 

L’ultimissima scoperta, adesso, è che l’uomo sarebbe arrivati nelle Americhe almeno 115,000 anni prima di quanto non si ritenesse. Tra i 30.000 e gli 11.000 anni fa esistette infatti tra Siberia e Alaska un ponte di terra lungo 1500 chilometri attraverso l’attuale Stretto di Bering, grazie al quale gli antenati dei popoli amerindi poterono spostarsi dalla Siberia. E in effetti una presenza umana è attestata in Alaska da almeno 24.000 anni. Ma solo 16.000 anni fa attraverso i ghiacci che coprivano il Canada si aprì lungo il fiume Mackenzie un corridoio che avrebbe permesso loro di dirigersi verso il Sud. A San Diego, in California, c’è però un sito archeologico su cui mercoledì la rivista Nature ha pubblicato uno studio, e secondo il quale l’uomo sarebbe già stato in California 130.000 anni fa. Lo proverebbero le ossa e i denti di un mastodonte che sarebbero stati chiaramente manipolati in maniera volontaria con alcuni utensili di pietra, e che sono stati datati col metodo dell’uranio-torio. Impossibile appurare quale specie di Homo fosse, in mancanza di ossa. Ma la maggior parte delle teorie correnti ritiene che l’Homo sapiens, nato in Africa 200.000 anni fa, non ne sia uscito che 65-70.000 anni fa. Dunque, a viaggiare dalla Siberia fino alla California potrebbero essere stati Neanderhal e/o Denisova. E avrebbero dovuto andare in barca, visto che a quell’epoca per lo Stretto di Bering c’era il mare, anche se si trattava di un tratto facilmente navigabile.

Insomma, gli studi del Museo di Storia Naturale di San Diego hanno suscitato subito un fiero dibattito, e alcuni paleontologi ritengono che sia più semplice ritenere la apparente “manipolazione” dovuta a altre cause. Ad esempio, l’azione di predatori come il lupo gigante. D’altra parte, appena a qualche giorno prima della pubblicazione dello studio su San Diego risale un altra indagine dell’Università nazionale australiana, secondo il quale l’Homo Floresiensis non si è evoluto dall’Homo Erectus ma dal più arcaico Homo Habilis, esistito da 2,5 a 1,5 milioni di anni fa, e che finora si riteneva non fosse mai uscito dall’Africa. Invece il Floresiensis dimostrerebbe l’inizio di una migrazione che 1,75 miilioni di anni fa lo avrebbe portato in Indonesia. Lo studio, pubblicato su Journal of Human Evolution, si basa in particolare sulla struttura della mascella dell”’Hobbit”, molto più primitiva di quella dell’Homo Erectus. Potrebbe essere stato addirittura questo Habilis-Hobbit ad arrivare fino in California?

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