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il caso

I limiti sanitari e legali del boicottaggio anti-Israele di Sesto Fiorentino

Giovanni Rodriquez

Sospendere la vendita di prodotti farmaceutici di provenienza israeliana significa sottrarre ai cittadini la possibilità di ricevere il trattamento più adatto per ragioni che non hanno nulla a che fare con la medicina. Quanto può essere pericoloso sovrapporre ideologia politica e servizi pubblici essenziali

A Sesto Fiorentino si è aperto un preoccupante fronte che intreccia politica internazionale e gestione dei servizi sanitari locali. La delibera della giunta comunale che ha imposto alle otto farmacie comunali, gestite da Afs Spa, la sospensione della vendita di prodotti farmaceutici, parafarmaceutici, cosmetici e attrezzature mediche di provenienza israeliana, è un atto senza precedenti nel panorama italiano. E’ il primo caso di applicazione formale del boicottaggio economico nei confronti di Israele da parte di un’amministrazione pubblica, con un impatto su un servizio essenziale.

Il sindaco Lorenzo Falchi ha motivato la scelta facendo riferimento agli sviluppi internazionali, in particolare all’azione militare israeliana contro l’Iran e alla drammatica situazione nella Striscia di Gaza. Il primo cittadino ha accusato il governo israeliano di perseguire un progetto di “sostituzione etnica” definito “disumano e criminale”. La giunta sestese ha così deciso di agire, non solo interrompendo ogni rapporto istituzionale con rappresentanti israeliani, ma anche invitando le aziende partecipate a seguire l’esempio di Afs Spa nel boicottare i prodotti di aziende israeliane o a capitale israeliano.

Ma una decisione di tale portata, al di là delle legittime opinioni politiche, presenta gravi criticità sia dal punto di vista tecnico che giuridico. Prima ancora che un problema morale o politico, infatti, ci troviamo davanti a una forzatura istituzionale che rischia di compromettere il diritto alla salute dei cittadini, tutelato dall’articolo 32 della Costituzione. Lo ha ricordato con Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (Fofi), sottolineando l’illegittimità di un’interferenza politica così marcata. “Il sindaco non può inserirsi nella sfera del professionista che decide qual è la via migliore da seguire per il cittadino”, ha detto Mandelli, ribadendo come la direzione tecnica della farmacia sia competenza esclusiva del farmacista, non del Comune. “Mischiare il diritto alla salute con la politica internazionale è un grave errore”, ha aggiunto, riferendo di aver già ricevuto segnalazioni da parte di medici allarmati dalle possibili ricadute di questa iniziativa sulle prescrizioni e sulla continuità terapeutica.

Il profilo normativo rende controversa la decisione della giunta. Secondo quanto stabilito dal Regio decreto n. 1706 del 1938, i farmacisti non possono rifiutarsi di vendere i medicinali di cui siano provvisti né possono rifiutare la spedizione di ricette mediche per farmaci esistenti. Qualora un farmaco non sia disponibile, è loro dovere reperirlo nel più breve tempo possibile. E’ evidente, dunque, che l’iniziativa del Comune si scontra con un impianto normativo che non ammette eccezioni per motivi politici, tanto meno su un servizio che ha come unico fine la tutela della salute pubblica.

C'è poi un ulteriore elemento da non sottovalutare: l’impatto economico del  boicottaggio. Aziende israeliane come Teva, tra le maggiori produttrici mondiali di farmaci equivalenti, sono ben radicate  sul territorio italiano. Teva Italia, per esempio, ha una sede commerciale ad Assago (Mi) e quattro stabilimenti in Lombardia e Piemonte, impiegando circa 1.400 lavoratori. I suoi farmaci, sviluppati e prodotti  in Italia, fanno parte della quotidianità terapeutica di migliaia di cittadini. Escludere questi prodotti significa colpire l’industria farmaceutica nazionale, gli investimenti in ricerca & sviluppo, oltre all’occupazione.

E’ fondamentale sottolineare che le scelte in materia di politica estera spettano allo Stato, non ai Comuni. Se ogni amministrazione locale iniziasse a ritagliarsi un proprio spazio d’azione internazionale, si creerebbe un corto circuito istituzionale pericoloso e incoerente. Sospendere unilateralmente accordi commerciali, filtrare la disponibilità dei prodotti in farmacia sulla base del paese d’origine, sostituire medicinali senza che vi sia un razionale clinico condiviso, significa snaturare il ruolo  della farmacia come primo presidio sanitario sul territorio. E soprattutto significa sottrarre ai cittadini la possibilità di ricevere il trattamento più adatto, nel modo più tempestivo e sicuro, per ragioni che nulla hanno a che fare con la medicina.

Il boicottaggio attuato a Sesto Fiorentino è un caso emblematico di quanto possa essere pericoloso sovrapporre ideologia politica e servizi pubblici essenziali. Si può – e si deve – discutere, manifestare e criticare ciò che accade nel mondo, ma nel rispetto delle norme e non a scapito della salute delle persone.