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Cattivi scienziati

Le nuove strategie terapeutiche che partono da uno studio sul diabete

Enrico Bucci

Una recente ricerca apre la via a uno sviluppo clinico di una nuova terapia cellulare per il piede diabetico. Ma la conoscenza acquisita può essere utile anche in contesti diversi. Questo è il modo in cui, sempre di più, funziona la medicina moderna

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Il diabete colpisce più di 100 milioni di persone in tutto il mondo e la sua complicanza più grave, le ulcere del piede diabetico (Dfu), provocano in media un'amputazione ogni 30 secondi. Una delle ragioni fondamentali alla base dello stato di non guarigione delle Dfu, rispetto alle comuni ferite cutanee, è la disfunzione di un gruppo di cellule immunitarie chiamate macrofagi. Queste cellule cambiano le loro funzioni per coordinare la guarigione delle ferite in diverse fasi del processo, ma non riescono a farlo se vi è patologia diabetica.

D’altra parte, gli stessi macrofagi, modificati a causa della crescita di un tumore e chiamati per questo Tumour-Associated-Macrophages (Tam), svolgono un ruolo essenziale nel guidare lo sviluppo del tumore stesso, secernendo fattori che promuovono la formazione dei vasi sanguigni e inibiscono l'attacco immunitario. Queste sono proprio le caratteristiche che si vorrebbero avere per i macrofagi associati alle ulcere del piede nei diabetici; ma come si possono ottenere nel diabete, invece che nel cancro?

Un nuovo lavoro indica una possibile risposta. Un gruppo di ricercatori ha ipotizzato che i macrofagi tumorali rilascino alcuni fattori in grado di arruolare altri macrofagi, conferendo loro le caratteristiche dei Tam. Seguendo questa ipotesi, i ricercatori hanno progettato e ottimizzato protocolli sperimentali opportuni, fino a verificare che i macrofagi normali derivati dal midollo osseo del topo possono acquisire una nuova serie di funzioni pro-rigenerative dopo la co-coltura con i Tam. Quando trasferite nella ferita di topi diabetici, queste cellule hanno indotto potentemente la proliferazione cellulare, risolto l'infiammazione e orchestrato la vascolarizzazione di ferite tipicamente non cicatrizzanti; con ciò, si è dimostrato che davvero le funzioni indotte dal tumore, se trasferite ad un contesto diverso, possono essere utili per guarire.

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Tuttavia, non è pensabile di utilizzare per la terapia una preparazione che contenga anche cellule tumorali; i ricercatori hanno quindi innanzitutto proceduto a investigare mediante sequenziamento di Rna su singole cellule in che cosa i macrofagi “educati” dalle cellule Tam differissero, ovvero che tipo di proteine fossero state attivate dal processo di cocultura, per cercare di isolare quelle potenzialmente implicate nelle capacità curative.

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Ciò ha portato all’identificazione di molteplici fattori che dotano i normali macrofagi di capacità riparative. Isolandone nove fra i più promettenti, si è ottenuta una miscela a cui sono state esposte le cellule da cui hanno origine i macrofagi, ovvero i monociti (scegliendo questa volta cellule umane): in questo modo, si è dimostrato l’ottenimento di macrofagi umani con capacità riparativa, abbandonando completamente l’uso di qualsiasi componente derivato dal tumore (compresi i Tam) e aprendo la via a uno sviluppo clinico di una nuova terapia cellulare per il piede diabetico.

La strada per questo risultato è naturalmente lunga; qui però vorrei evidenziare un aspetto che ritengo interessante. Attraverso l’uso di un insieme corretto di segnali biochimici, in questo caso proteine, si è ottenuta una funzione desiderata; il fatto che questo set di segnali sia utilizzato in natura da cellule tumorali per proteggere e favorire la crescita di un cancro non è affatto d’ostacolo al suo riutilizzo in un contesto diverso, in cui la macchina biochimica che sostiene la vita risponde nello stesso modo, ottenendo però un risultato benefico.

A livello molecolare, cioè, i processi che controllano l’attività dei sistemi viventi sono modulari: riutilizzando ciò che interessa in un modo opportuno, dopo averne delucidato la funzione nel suo contesto naturale, permette in questo caso di riparare un processo fisiologico distrutto da una patologia.

Questo è il modo in cui, sempre di più, funziona la medicina moderna: la comprensione di uno o più meccanismi molecolari permette il disegno di strategie terapeutiche che ricompongano nel giusto modo vie di segnalazione fisiologica, in modo da rettificare uno specifico processo biochimico. Allo scopo, può essere anche un tumore a “insegnare” quale sia il modo in cui funziona un certo meccanismo utile; perché la conoscenza, ovunque acquisita, può rivelarsi utile in modi sorprendentemente imprevisti, grazie alla integrazione e coerenza interna del quadro restituitoci dalla ricerca scientifica.

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