Marcello Cattani (Ansa)

L'intervista

“Serve una strategia per mettere in sicurezza l'Italia”. Parla il nuovo leader di Farmindustria

Annalisa Chirico

"La sfida della salute e della ricerca si gioca in una dimensione globale, i laureati in facoltà Stem vanno all’estero perché vengono pagati meglio. Le autorità regolatorie devono assumere questa consapevolezza e garantire iter decisionali più snelli”, dice Marcello Cattani 

“Abbiamo bisogno di una strategia di cura che metta in sicurezza il paese”, dice al Foglio Marcello Cattani, neopresidente di Farmindustria e numero uno di Sanofi in Italia. Milanese di origine e parmense di adozione, laureato in Scienze biologiche, Cattani è convinto che serva un “cambio di passo” per salvaguardare il primato nazionale. E, nel contempo, invoca una “moratoria” dacché, con i costi dei trasporti lievitati del 45 percento e i prezzi dei farmaci “amministrati” (vale a dire, bloccati), tirare avanti è dura. “Noi non effettuiamo markup, nessun ricarico, semplicemente riduciamo i margini di guadagno – incalza Cattani – Per carità, va bene, siamo disposti a contribuire, ma chiediamo al governo una moratoria su ogni attività di revisione dei prezzi che, nella contingenza attuale, ci metterebbe in ginocchio con inevitabili effetti sulla disponibilità dei farmaci”.

 

Lo scorso anno l’Italia ha perso una posizione sul podio dei campioni europei per produzione farmaceutica: siamo diventati secondi, subito dopo la  Germania e prima di Francia, Regno unito e Spagna. “Con quasi 67 mila addetti (200 mila con l’indotto) e una produzione pari a oltre 32 miliardi di euro, noi generiamo valore per il sistema, non siamo un costo – scandisce Cattani, che è anche presidente e managing director di Sanofi Italia e Malta – Le nostre aziende sono orgogliose di realizzare prodotti che hanno un impatto positivo diretto e indiretto. Grazie ai farmaci, le persone si curano, e così possono lavorare e tenere in equilibrio il sistema previdenziale. E poi c’è la ricerca clinica dove l’Italia primeggia a livello mondiale: ogni euro investito in ricerca genera un beneficio pari a quasi tre euro per il Servizio sanitario nazionale”.

 

Da questo punto di vista, il ruolo dei privati è particolarmente rilevante in un paese che destina solo l’1,3 percento del Pil all’R&D. “La partnership tra istituzioni e aziende è fondamentale per rafforzare la competitività e l’attrattività del sistema. La sfida della salute e della ricerca si gioca in una dimensione globale, i laureati in facoltà Stem vanno all’estero perché vengono pagati meglio. Le autorità regolatorie devono assumere questa consapevolezza e garantire iter decisionali più snelli”. Il governo, anche se ormai ci si avvia alle elezioni di settembre, potrebbe fare di più? “Il governo Draghi si è mostrato attento e collaborativo ma i problemi vengono da lontano. I ministri Speranza e Giorgetti, di concerto con il ministro Franco, vanno ringraziati perché hanno tentato di invertire il trend. Da almeno quindici anni il comparto salute ha subìto un massiccio disinvestimento, il Fondo sanitario è stato decurtato con danno per i pazienti privati di numerosi farmaci innovativi. Mentre il basket della spesa farmaceutica ospedaliera aumentava, quello destinato alla spesa territoriale si è ridotto sensibilmente, provocando un risparmio di 800 milioni di euro destinati a voci diverse del bilancio statale. Vogliamo anzitutto poter contare su procedimenti autorizzativi più veloci, perché oggigiorno i paesi competono anche sulla rapidità decisionale. Si potrebbero, per esempio, potenziare le risorse in capo ad Aifa in modo da garantire iter più tempestivi in seguito alle autorizzazioni di Ema. Soltanto così possiamo assicurare ai cittadini italiani l’early access ai farmaci evitando discriminazioni tra paesi europei e all’interno dello stesso territorio nazionale”.

 

Il Pnrr dovrebbe contribuire a questo balzo in avanti. “In realtà, gran parte delle risorse sono prese in prestito, e le aziende del farmaco, contribuendo al Pil, aiuteranno a ripagare i debiti contratti. Il problema è lo stato di implementazione: ministeri e regioni procedono a rilento perché non sono abituati, né attrezzati, a gestire macroprogetti di investimenti infrastrutturali”. Insomma, non è solo un tema di risorse. “Le risorse contano. Il governo francese ha destinato sette miliardi e mezzo allo sviluppo dell’intera filiera farmaceutica, dalla ricerca alla distribuzione. Noi dobbiamo lottare contro il meccanismo cosiddetto payback che è impossibile da spiegare ai colleghi stranieri e ci costa 1,3 miliardi di euro. In altre parole, dobbiamo fare i conti con una tassazione aggiuntiva reale che strozza gli investimenti”.

 

L’Italia perde terreno nel campo dei brevetti? “Nel nostro paese ogni anno le aziende del farmaco investono 700 milioni di euro in studi clinici. Le sperimentazioni cliniche sono fondamentali per rendere disponibili terapie innovative per i pazienti e per offrire possibilità di crescita professionale a medici e ricercatori. Tuttavia, se guardiamo all’innovazione, il primato è degli Usa, seguiti dal Far East”. L’oriente è anche la terra dei princìpi attivi senza i quali è impossibile produrre i farmaci. “Oltre l’ottanta per cento di questi ingredienti si trova in Cina e India. La vulnerabilità europea è sotto gli occhi di tutti: se questi paesi fossero travolti da una crisi geopolitica o le catene globali del valore si interrompessero, l’industria europea sarebbe messa in ginocchio. Alcuni paesi, va detto, sono più vulnerabili di altri”. Noi come siamo messi? “Non bene”. 
 

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